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Nuove Visioni

Incarnare la verità che si esprime

1. Abbiamo urgente bisogno di nuove visioni. Grande infatti è la cecità, e quindi lo smarrimento che ci circondano e abitano dentro di noi. A volte nella storia dell’umanità viene a mancare la luce, e quindi non riusciamo più a vedere. Nel Primo Libro di Samuele si racconta che in quell’epoca, che corrisponde al 1000 a.C: “La parola del Signore era rara, le visioni non erano frequenti” (1Samuele 3,1). E il Libro dei Proverbi ci dice poi che “Senza la visione il popolo diventa sfrenato” (Proverbi 29,18). Senza visioni infatti il popolo perde ogni prospettiva, ogni tensione progettuale, e quindi si affloscia nella palude delle piccole soddisfazioni, come l’ultimo degli uomini di Zarathustra. Senza visioni l’umanità è pronta ad asservirsi a chi prometta rapide felicità nel buio, a chi cioè ci garantisca che l’ingozzamento possa sostituire una reale soddisfazione pienamente umana.

2. Ma che cosa intendiamo propriamente con l’espressione “nuova visione”? Credo che dobbiamo innanzitutto comprendere che un’autentica nuova visione non è soltanto una costruzione astratta, una semplice teoria filosofica o sociologica o economica o storico-culturale. Se fosse così, oggi ne avremmo innumerevoli di nuove visioni, per ogni gusto o tendenza. Oggi ognuno dice la sua e spara sentenze, senza minimamente pensare di dover confermare con la propria vita e con le proprie scelte concrete la validità dei propri assunti. Ma una vera nuova visione è proprio un diverso punto di vista sulle cose, e quindi in definitiva un modo diverso di essere uomini e donne, che emerge in un dato momento della storia per illuminarla in un altro modo, e proprio così riorientarne il processo di sviluppo. Una vera nuova visione è cioè possibile solo attraverso gli occhi nascenti di una umanità nuova. La verità dell’essere, direbbe Heidegger, procede per appropriazioni concrete di esseri umani. Noi facciamo esperienza autentica di un pensiero innovativo, e quindi apriamo varchi alla luce di visioni inedite nella storia, solo nella misura in cui il Pensiero stesso si impossessa di noi e ci trasforma in tramiti della sua luce: “Fare esperienza di qualcosa significa: che quel qualche cosa al quale giungiamo, mentre siamo in cammino per raggiungerlo, proprio esso ci sopraggiunge, ci colpisce, ci pretende in quanto ci trasforma secondo se stesso”.
Questa concezione della verità, che procede nella storia per incarnazioni umane che divengono portatrici appunto di nuove visioni e di aperture profetiche, appartiene al grande pensiero filosofico del ‘900, e, come è evidente, riattualizza, spesso inconsapevolmente, il mistero cristologico dell’Incarnazione appunto, del farsi umanità storica, del Logos divino.

3. Allora, quando parliamo di una Nuova Visione in realtà alludiamo e aneliamo ad un radicale rinnovamento della nostra umanità, parliamo di una nascita, del sommesso natale di una nuova figura di uomo, come scrive bene Maurice Bellet quando si chiede che cosa dovremmo inventare in una situazione estrema come quella che sta attraversando il cristianesimo storico: “Inventare che cosa? Una teoria, un’analisi, uno studio approfondito del passato o del presente? Perché no? Tuttavia, se guardiamo le crisi del passato del cristianesimo, ci accorgiamo che ogni volta ciò che è nato e ha aperto un avvenire è un tipo d’uomo nuovo, originale: (…) Qualcosa nasce in qualcuno: se dovrà vivere, vivrà, e forse per prendere il posto di ciò che viene meno.” Ma questa intuizione della necessità della nascita di una nuova umanità vale per l’intera storia del pianeta in questa fase, e non solo per il cristianesimo visto come una tra le religioni. Siamo infatti collettivamente in un faticosissimo tempo di avvento, come, a volte, solo i poeti hanno saputo vedere e dire:

il bambino nel grembo. Il bambino che si prepara a nascere
e spreme le vene di letizia e di dolore diffuse in tutto il brulichio stellare di passato, presente, possibile – quel siero
bruciante, quell’unico indivisibile alimento … E palpita
la sua solarità ancora in ombra
non ancora salutata dai tre battiti d’ala della fenice, eppure imminente,
eppure certa, mi dico, e lo antivedo
che un angolo di notte ben gemmata
gli scivola via dagli occhi umidi girati verso l’alba. (Luzi)

4. A novembre dello scorso anno partecipai ad un ciclo di conferenze a Misano Adriatico che si chiamava appunto Visioni. Ogni autore era chiamato a parlare di un personaggio della storia che fosse portatore di una visione capace di orientarci lungo il XXI secolo. Io parlai di Etty Hillesum, con sommo stupore di molti, in quanto gli altri nomi indicati erano dell’altezza e della rinomanza di Socrate e di Gesù, di Jung e di Dante, e così via. Ebbene io credo che Etty incarni una autentica nuova visione nel senso che sto cercando di spiegare. Essa infatti ha vissuto fino in fondo il pensiero che elaborava, ha testimoniato con la sua vita che è possibile continuare ad amare, a custodire un cuore pensante, anche nell’inferno del campo di smistamento di Westerbork.
Il suo Diario e le sue Lettere non sono determinanti in quanto prodotto letterario o elaborazione filosofica, ma in quanto testimonianza di un esperimento con la propria esistenza, di una trasformazione di se stessa che è riuscita .
La sua nuova visione è riassunta in queste poche parole: “Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi.” “Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume.” “E non erano teorie: i nostri professori sono imprigionati, un altro amico di Jan è stato ammazzato, ma c’è ancora dell’altro – troppo per farne un elenco – e noi ci dicevamo: sono così a buon prezzo, quei sentimenti di vendetta. Era proprio una luce, oggi.”
Questa è una nuova visione, una nuova luce che sorge dal cuore di una nuova umanità: dobbiamo coniugare il lavoro di liberazione interiore con i progetti concreti di trasformazione del mondo, senza più produrre odio o violenza. Se questo è stato possibile ad Etty nell’orrore dei campi di sterminio, potrà esserlo anche per noi.