Premi "Invio" per passare al contenuto

La nuova umanità: di pace

La riconiugazione tra la visione escatologica cristiana e la speranza laica alla svolta dei tempi

Leggere la storia con gli occhi dell’ottavo giorno

1. Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes leggiamo: “Il Popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio.”(n.11) E’ cioè l’attenta lettura dei segni dei tempi che ci consente di individuare la presenza vera di Dio nel corso quotidiano della storia, e di tradurre così i contenuti della nostra fede in una comunicazione pregnante e comprensibile per i nostri contemporanei, e cioè in un linguaggio davvero efficace che si sappia fare cultura viva, parola fiammeggiante nella notte del mondo, fiaccola di vero orientamento. Fuori da una lettura ispirata dei segni dei tempi, e quindi fuori dal magma incandescente delle nostre storie, le parole che pronunciamo su Dio o sui fini ultimi (ta eskata) dell’uomo e della storia, rischiano di divenire ostriche vuote, senza polpa e senza perla, vaneggiamenti intellettuali del tutto disincarnati, e quindi sostanzialmente bugie, in quanto la verità che noi conosciamo è solo e sempre incarnazione attuale, discesa odierna, qui e ora, della Parola divina nella carne tutta palpitante dell’uomo storico, crocifisso alla sua limitatissima esistenza terrena, che però è in sé miniatura della stessa vita di Dio, e seme di una eredità incorruttibile ed eterna.
L’eternità, e cioè il mistero glorioso del compimento di tutti i tempi, è come se esplodesse in noi, come gioia già in qualche modo presente, solo se aderiamo fino in fondo a questo adesso, solo se ci lasciamo precipitare senza voli pindarici o scarti o esenzioni “spirituali” nel minuscolo momento di questo respiro, finché appunto non ci si riveli, come un indicibile sollievo, la gloria concessa proprio ad ogni frammento di tempo, se vissuto però in piena fedeltà, e se lasciato aperto già da ora al proprio compimento. Da lì poi, da quell’incrocio di opposti, da quella frizione tra limite e illimitato scaturisce come una scintilla di fuoco la vera visione, e quindi anche la lettura ispirata del tempo e dei suoi segni. Potremmo cioè dire che la funzione profetica autentica, in grado cioè di interpretare il presente storico come segno del disegno divino, scaturisca sempre dall’esperienza spirituale del compimento attuale, e quindi da una mente escatologica; mentre parimenti l’esperienza escatologica del compimento già presente trovi il suo momento di autenticazione solo nelle trasformazioni esistenziali e storiche che produce, in quanto l’esperienza dell’Ottavo Giorno non è altro che il cuore vivente di quella “rivoluzione in permanenza”, come la chiama Karl Rahner, che è da 2000 anni la fede in Cristo.

2. Date queste premesse vorrei tentare di mostrare:

        • a) in che senso stia emergendo nel nostro tempo un forte bisogno di ricominciamento, che porta con sé elementi spirituali, più o meno consapevolmente

    , escatologici

      • ; b) in che senso questo bisogno escatologico si configuri preminentemente come anelito alla pace, sia a livello planetario che a livello interiore e personale; c) in che senso il crescente bisogno di pace non possa trovare adeguata comprensione e concreta soddisfazione se non si riconnette al mistero della Pace (antropo-cosmica) già regnante in Cristo, da cui in realtà deriva; d) in che senso questa riconiugazione tra il bisogno “laico” di pace e le sue radici escatologiche rientri nella più ampia riconciliazione tra modernità e fede cristiana, in base alla quale si sta avviando una nuova epoca della storia della salvezza.

 

Il bisogno escatologico di un ricominciamento

1. Che il nostro tempo sia attraversato ad ogni livello da un fortissimo anelito di ricominciamento è sempre più evidente, è anzi divenuto il contenuto della cronaca giornalistica quotidiana. Tutti avvertiamo, sia nelle nostre esistenze individuali che a livello sociale e storico-planetario, che siamo arrivati ad un punto critico decisivo, ad una svolta. Molte idee, costumi, forme dell’identità, linguaggi, abitudini mentali e comportamentali del passato, infatti, non reggono più, sembrano del tutto esauriti, e producono perciò situazioni insostenibili. L’insostenibilità di conseguenza è divenuta la categoria generale per qualificare la natura del nostro tempo. Una insostenibilità non solo ecologica o dovuta agli squilibri economici tra nord e sud del mondo; ma anche psicologica, calata ormai fino in fondo nelle nostre vite quotidiane, nei nostri orari di lavoro, nei nostri ritmi urbani sempre più patologici. Questa insostenibilità globale crescente indica come un termometro la gravità della nostra malattia, e l’urgenza di trovare una cura, una terapia per l’uomo e per il mondo.

2. La consapevolezza di trovarci in un momento del tutto singolare della storia, d’altronde, in cui un’intera civiltà, addirittura una figurazione antropologico-culturale complessiva, giunge alla propria consumazione, e ci si protende quasi a tentoni verso una trans-figurazione del volto dell’umanità, questa coscienza sostanzialmente escatologica di vivere una soglia finale/iniziale dei tempi, attraversa con accenti diversi, ma concordemente, tutto il XX secolo. Heidegger come Jung, Einstein come Eliot o Ungaretti, Freud come Bonhoeffer, Simone Weil come Teilhard de Chardin ci ripetono che ci troviamo effettivamente in un punto cruciale della vicenda storica dell’umanità, in cui un certo modo di essere uomini, e cioè la modalità autodifensiva e bellica della nostra soggettività, quel credere di essere qualcosa (un io, un popolo, una religione, etc.) proprio separandosi/scindendosi (dentro e fuori di sé) e opponendosi comunque a tutti gli altri, si sta sfaldando nelle tragedie delle guerre mondiali, interiori e planetarie, che comunque produce; mentre la nuova umanità appena nascente stenta ancora a riconoscersi e a svilupparsi adeguatamente.
Siamo cioè costretti a pensare per estremi temporali (fine/nuovo inizio), in quanto viviamo di fatto in un tempo estremo, e questo pensare per estremi rimette necessariamente in gioco la riflessione millenaria ebraico-cristiana sulla consumazione dei tempi (della separazione egoica) e sul nuovo Giorno, e cioè sul Regno della pace che viene. Spesso questa esigenza di riconfrontarsi col pensiero escatologico ebraico-cristiano erompe spontaneamente da dentro le ricerche più avanzate del XX secolo, addirittura contro la volontà degli stessi autori, come accade, ad esempio, in Heidegger, che attinse continuamente al mistero cristiano del ricominciamento eonico, e della decisione anticipatrice della morte che lo lascia avvenire nella singola persona, senza mai confrontarsi però direttamente e adeguatamente con ciò che da dentro lo animava. Così, riflettendo su Anassimandro, Heidegger arriva a scrivere: “Se penseremo in base all’escatologia dell’essere, dovremo un giorno aspettare l’estremo del mattino nell’estremo della sera, e dovremo imparare oggi a meditare così su ciò che è all’estremo.”
Pensiero escatologico ben poco greco. Pochi anni dopo, intorno al 1950, il teologo cattolico Romano Guardini precisava in questi termini la natura escatologica del nostro tempo: “Con assoluta certezza si può dire che da ora innanzi comincia una nuova era della storia. Da ora in avanti e per sempre l’uomo vivrà ai margini di un pericolo che minaccia tutta la sua esistenza e continuamente cresce.” L’annuncio di una nuova era è infatti un tema tipicamente escatologico e propriamente cristiano. Siamo noi cristiani infatti ad annunciare un ordine del tutto nuovo delle cose, una nuova creazione addirittura, un nuovo uomo, che in Cristo già è presente e operante nella storia. Forse se noi cristiani fossimo testimoni più credibili e visibili di questa novità sempre presente, che irrompe a sconvolgere i sistemi artritici della storia, molte new ages non comparirebbero secolo dopo secolo. Se fossimo noi a porre al centro di tutti i nostri discorsi questo fatto centrale e decisivo, che cioè “l’umanità è alla svolta di un’era nuova”, come proclamò solennemente Giovanni XXIII nella Bolla d’indizione del Concilio Vaticano II Humanae salutis, molte persone non avrebbero bisogno di cercare surrogati mondani o settari della speranza escatologica cristiana.

Ricominciare significa darsi pace

1. Dunque il bisogno di ricominciamento è davvero molto presente nella cultura del XX secolo che giunge fino a noi, e porta effettivamente con sé elementi spirituali di natura escatologica, tutti da sondare e da comprendere meglio. Una delle modalità più evidenti in cui l’anelito al rinnovamento prende corpo da alcuni decenni è il crescente bisogno di pace, bisogno anch’esso tipicamente escatologico. Il bisogno di pace cresce lungo il XX secolo proporzionalmente all’incrementarsi del potenziale distruttivo delle guerre, secondo il tipico schema apocalittico, per il quale l’irruzione divina del bene accade spesso proprio al culmine dello scatenamento di tutte le potenze negative. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, e dopo “the great new fact”, come lo chiamò Churchill, e cioè dopo l’utilizzo delle prime bombe atomiche su Hiroshima, la guerra, intesa come scontro frontale tra due schieramenti intenzionati a prevalere l’uno sull’altro con ogni mezzo, è divenuta praticamente impossibile, in quanto anche l’eventuale vincitore avrebbe subìto una distruzione totale. Come disse Einstein, se avessimo intrapreso una Terza Guerra Mondiale, la quarta poi la avremmo dovuta fare con le pietre. La guerra perciò diventò fredda, e perse progressivamente ogni alone retorico o epico, finché la stessa parola “guerra” sembrò inutilizzabile in senso positivo, tanto che dagli anni ’90 in poi le operazioni militari incominciarono a chiamarsi peace-keeping o peace-enforcing, divennero cioè operazioni “di pace”.
Sappiamo bene che nel frattempo ci sono stati decine di milioni di morti nei conflitti locali che tuttora devastano la terra; ma è indiscutibile che la crisi della stessa possibilità concreta di una guerra totale segni l’avvio di un ripensamento radicale delle forme di identità (tutte sostanzialmente belliche) entro le quali l’uomo si è storicamente riconosciuto, e cioè una vera e propria soglia antropologica, in cui si inseriscono potentissimi elementi escatologici (e cristologici) che vanno attentamente evidenziati, affinché possano operare nel senso migliore, come vedremo più avanti.

2. Ciò che vorrei sottolineare invece a questo punto è che il bisogno di pace diventa una necessità di pura e semplice sopravvivenza non solo a livello storico-politico, ma anche a livello psicologico-esistenziale, come già abbiamo detto.
Mai l’umanità ha sperimentato forme di vita così frantumate, così assurde e insostenibili come quelle che ci troviamo a vivere. Mai l’irrequietezza, l’insoddisfazione, la guerra di tutti contro tutti, e di tutti contro se stessi, è stata la tonalità di fondo della vita sociale, tanto che quasi non sono più sufficienti le parole delle molteplici analisi sociologiche che tutti i giorni leggiamo, e sembrano più pertinenti parole profetiche, come quelle proferite paradossalmente da uno psichiatra come Ronald Laing, da una persona cioè abituata ad ascoltare il grido di dolore delle anime umane: “La guerra infuria dietro l’uomo, sopra di lui, fuori e dentro di lui. L’uomo, io e voi, non è l’unico campo della battaglia, è una zona di esso. Spirito e corpo sono straziati, lacerati, fatti a brani, saccheggiati, prostrati dalle Potestà e dai Principati in un loro cosmico conflitto che noi non possiamo neppure comprendere”.

3. La guerra interiore ormai è insostenibile come quelle esterne tra i popoli, in entrambi i casi rischiamo semplicemente di autodistruggerci, per cui abbiamo tutti urgente bisogno di darci pace, di fare di questa inedita modalità di essere uomini e di relazionarci tra di noi la sorgente di quel rinnovamento antropologico cui tutti aneliamo. Ma come possiamo concretamente darci pace? Quale figura di umanità è in grado di darsi pace e di dare pace agli altri? Sussiste una figurazione non bellica di umanità? Tutte le civiltà infatti non si sono fondate e rinforzate proprio sulla guerra contro gli altri? La storia del mondo cioè non è essenzialmente la storia delle guerre ininterrotte tra tutti i popoli? E allora questo anelito alla pace, che diventa necessità biologica di sopravvivenza, non porta con sé, implicitamente, un giudizio su tutta la storia del pianeta e un impulso a ricominciarla daccapo, che trova la sua forza, e la sua legittimazione, solo nel mistero cristologico (ed escatologico) di una nuova umanità pacificata che è comunque già data, e quindi anche per me, anche adesso, possibile? E qui passiamo al nostro terzo punto di riflessione.

La natura escatologica dell’attuale bisogno di pace

1. Forte dunque è il bisogno di ricominciamento, che si connota preminentemente come anelito ad una pacificazione, mondiale e al contempo interiore, che sembra non avere più alternative praticabili. Ebbene a questo punto però dovremmo precisare due punti sostanziali, ancora ben poco assorbiti da quella stessa cultura della pace, che rischia di diventare, proprio a causa di questa carenza di profondità riflessiva, una nuova, o forse l’ultima forma di ideologia novecentesca. Il primo punto da evidenziare è che a noi umani darci pace non ci viene affatto naturale, a noi viene naturale farci la guerra, come tutta la storia del pianeta ci dimostra e come un’onesta osservazione della nostra personale vita di relazione può dolorosamente metterci sotto gli occhi tutti i giorni. Per cui non basta gridare per le strade: Pace! Pace! per diventare veramente pacifici e quindi capaci di autentiche azioni pacificatrici. Incamminarsi verso la pace richiede viceversa un immenso e costante lavoro interiore, il riconoscimento quotidiano di tutto l’odio che ci abita, di tutti i dinamismi bellici, di attacco o di difesa è lo stesso, che mettiamo in atto ovunque e con chiunque. La pace la si costruisce innanzitutto dentro di sé, incontrando tutti gli spiriti polemici che ci dominano e che sono gli stessi che operano poi ai livelli planetari che vorremmo pacificare. Il mio desiderio “pacifistico” non ha cioè alcun senso e alcun valore se non si radica in un travaglio personale di autotrasformazione. Questo dobbiamo dirlo con assoluta chiarezza, se vogliamo lasciarci alle spalle gli orrori del Novecento, che spesso proprio in nome della giustizia e della pace ha lasciato dietro di sé oceani di sangue innocente. Il XXI secolo si apre viceversa con la consapevolezza, purtroppo ancora ben poco divulgata, che i cambiamenti di rotta verso cui siamo ineluttabilmente pressati, richiedono di correlare strettamente, e in forme del tutto inedite, il livello storico-culturale con quello psicologico-spirituale della trasformazione.

2. Il secondo punto che va sottolineato con forza è che questo anelito alla pace universale, del cuore e del mondo, scaturisce dalle profondità spirituali della nostra cultura ebraico-cristiana, ed è perciò solo ricollegandosi ad esse che potrà trovare la sua giusta misura, e anche la sua efficacia. Per noi cristiani la pace vera, e cioè il nuovo ordine delle cose, fondato sulla riconciliazione tra Dio e Uomo, è già presente nella divino-umanità risorta di Gesù Cristo. In Gesù infatti l’uomo fa innanzitutto la pace con il proprio Creatore, si riconcilia con la sorgente della propria vita, e così fa pace anche con se stesso, si libera cioè da ogni scissione e alienazione interiori, da ogni senso di colpa e da tutte le forme di aggressività che ne derivano. Solo grazie a questo continuo processo di pacificazione (assoluzione/integrazione) interna l’uomo può fare la pace anche con gli altri, e incominciare così a mettere ordine nel proprio mondo, in casa, in famiglia, sul posto di lavoro, o all’ONU, in definitiva è la stessa cosa. Non sussiste in altri termini alcuna reale possibilità di pace per una umanità separata dalla propria sorgente divina e quindi interiormente non integra, non in via di unificazione. L’unica pace autentica ci viene come dono da quell’Uomo di Pace, da quella figura inedita di umanità, che è però già in noi in forma nascente, coniugata ormai indissolubilmente con la nostra natura umana, grazie al mistero dell’Incarnazione, e che quindi è impressa in ciascuno di noi come un codice genetico, come il DNA della nostra ri-generazione appunto nella pace. Detto in termini evangelici: non sussiste pace per il nostro uomo vecchio, che non vuole rinascere ed essere pacificato: il suo gracchiare di pace e sicurezza è solo una variazione al suo tema unico, che è sempre e comunque modulato sulle note della guerra e dell’odio.
Dobbiamo infine tenere ben presente che il Regno escatologico di Pace si dilata nel tempo finale consumando fino in fondo ogni separazione, ogni nostra bellicosità interna ed esterna, ma la sua piena manifestazione non avverrà su questo piano storico, per cui la pace resta comunque almeno in parte una profezia, e mai un raggiungimento definitivo su questa terra. E questa consapevolezza dovrebbe attenuare ogni fretta o illusione palingenetica sul piano intramondano. Ridare il giusto spessore escatologico cristiano, e quindi illuminare la corretta natura spirituale dell’emergente bisogno di pace, ci evita dunque sia il pericolo ideologico di un pacifismo senza conversione (l’abuso egoico delle promesse di Cristo), sia il pericolo di messianismi o attese di imminenti apocastasasi storiche, che hanno già rivelato il loro volto catastrofico di anticipazioni anti-cristiche del compimento delle promesse.

La pace di Cristo trasforma più a fondo la storia

1. La Pace dell’Uomo Risorto è dunque l’eterno ORA: la fine dei tempi che è però già qui presente per chi se ne lasci assorbire. Quest’ora della salvezza, questo Regno di Dio, questo Giorno Nuovo del Signore, questo Ottavo Giorno, questa Domenica (kyriakè emèra), questa Pace che si espande nel tempo, è tutto ciò che desideriamo ed amiamo, è l’unica vera mèta personale e planetaria, che ne siamo consapevoli o meno. Ed è solo la pressione crescente di questa Pace escatologica che ci spinge proprio ora, in questa fase della storia e magari all’interno di una coscienza del tutto “laica”, a desiderare livelli più radicali di pacificazione. Dobbiamo comprendere cioè che anche la storia del cristianesimo si trova ad una soglia inedita in cui l’esperienza escatologica della pace di Cristo richiede di incarnarsi più profondamente nella carne storica dell’umanità, per trans-figurarla in aree mai prima toccate dalla grazia. L’intera crisi della modernità d’altronde, che dal XVI secolo giunge fino a noi, può interpretarsi proprio in questo senso, se ne individuiamo la traenza evolutiva, discernendola tra tanti sviamenti ed orrori: la potenza pacificatrice e trasformativa dell’Incarnazione della Parola ri-generatrice di Dio nell’Uomo ha toccato via via strati sempre più profondi dell’anima terrestre dell’umanità per liberarli dal dominio dello spirito dell’uomo vecchio, e questo ha comportato necessariamente, e comporterà ancora per molto, il tracollo o almeno la severa purificazione di istituzioni secolari, di assetti politici e religiosi che per millenni si sono consolidati proprio sulla base bellica dell’opposizione all’altro, dell’oppressione, o del controllo delle coscienze, e cioè sulla base del vecchio Adamo e della sua schiavitù mentale. Questo però è il tempo, straordinariamente propizio, in cui possiamo discernere con nuova chiarezza lo Spirito di Cristo operante nei moti rivoluzionari della modernità, purificando così e rilanciando la sua spinta evolutiva, troppe volte degenerata in controfigurazioni anticristiche. Questo è il compito “di una gravità e ampiezza immensa”, come profetizzò Giovanni XXIII nella Bolla Humanae salutis, che spetta alla Chiesa: “Si tratta, infatti, di mettere a contatto con le energie vivificatrici e perenni dell’Evangelo il mondo moderno.” Si tratta, ancora più radicalmente, di riconoscere le stesse energie di pacificazione e di liberazione del Cristo operanti, sia pure in forme a volte confuse e contraddittorie, in molte lotte della modernità, come ha ribadito anche Giovanni Paolo II nella Esortazione apostolica Ecclesia in Europa: “La modernità europea stessa che ha dato al mondo l’ideale democratico e i diritti umani attinge i propri valori dalla sua eredità cristiana”(n.108). Si tratta cioè di mettere fine allo scisma plurisecolare tra religione storica cristiana e cultura moderna, riconciliandole nel cuore dell’Uomo di Pace che oggi vuole inaugurare una fase più profonda di realizzazione del proprio Regno, e cioè una sua nuova era.

2. Stiamo parlando in fondo di una nuova epoca di inculturazione storica della fede cristiana: un’epoca in cui la fede nella pace, che già è in noi come Spirito della nostra nuova umanità, può e quindi deve incarnarsi e verificarsi più concretamente sia nelle nostre esistenze personali che nella storia politica e culturale del nostro pianeta. In fondo l’attuale crisi culturale del cristianesimo storico coincide proprio con questa difficoltà a trasmettersi come cultura viva, come provocazione attuale, come progetto nuovo e sconvolgente. E questa difficoltà, a sua volta, dipende in gran parte dal non sapere ancora corrispondere adeguatamente alle potenzialità inaudite di evangelizzazione che sono oggi aperte. E’ come se lo Spirito dell’Uomo Nascente fosse troppo più avanti di noi, che riteniamo di esserne i discepoli. Molte persone oggi vorrebbero vivere una fede davvero contemporanea, ma poi ascoltano quasi solo parole d’altri tempi, spesso addirittura più vecchie di quelle che dice il mondo, e si ritirano perciò amareggiate e deluse. Ancora una volta sarà lo Spirito del Cristo Nascente a configurare in noi le nuove figure di umanità che saranno in grado di animare il suo popolo, e quindi di testimoniare la pace, costruendola in questo XXI secolo che si apre.
Grande è il lavoro che ci attende. Si tratta sostanzialmente di rendere sempre più concrete e vere le parole della nostra fede: che cioè in primo luogo la pace (psicologico-spirituale) del cuore, e quindi la guarigione, la salute, la sanità di mente, cresca veramente nelle singole persone attraverso gli itinerari iniziatici che la Chiesa propone, e che poi, di conseguenza, l’ordine politico della pace “fondato sulla verità, costruito grazie alla giustizia, nutrito e animato dalla carità, e messo in atto sotto gli auspiri della libertà” (Pacem in terris, 167), cresca concretamente sul pianeta terra. Incarnandosi più radicalmente le parole della nostra fede devono accettare cioè la verifica psicologica e politico-storica, e cioè il vaglio tutto moderno (e insieme profondamente evangelico) di chi chiede che alle parole corrispondano fatti, eventi, comportamenti conseguenti. Io credo che sarà su queste frontiere della concreta trasformazione interiore e della concreta trasformazione dei sistemi oppressivi del mondo che tornerà a brillare la testimonianza di una pace escatologica, già capace però di dare luce e gioia e forza ai dinamismi evolutivi di tutte le biografie e di tutte le storie.

Marco Guzzi