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In my end is my beginning

Comprendere e vivere
il tempo della trans-figurazione

Passaggio d’epoca e trasformazione personale

1. Mai forse come in questa fase della storia umana ci si sta appalesando l’ambiguità strutturale dei tempi, e cioè la difficoltà di darne una valutazione univoca, in bianco o nero, e il loro costante procedere invece accrescendo contemporaneamente difficoltà e opportunità, rischi e aperture, opzioni di liberazione e pericoli mortali.
Mai infatti l’umanità si è trovata su un discrimine epocale di portata addirittura antropologica, in un punto cruciale di tale radicalità in cui le alternative sembrano tutte così estreme, dei veri e propri ultimatum, tra distruzione e profondissimo rinnovamento, e tutte simultaneamente coesistenti in ogni persona e in ogni ambito, dalla famiglia alle aggregazioni ecclesiali, dalla scuola fino all’unificazione europea o all’ONU.
Eppure per noi esseri umani rimane una costante tentazione quella di giudicare unilateralmente ogni situazione, e quindi anche le diverse stagioni della nostra vicenda collettiva, perdendo così di vista la traiettoria reale della loro evoluzione, il senso cioè evolutivo dei tempi.
Che tempo fa, insomma, in questo inizio di millennio? Stiamo bene o stiamo male? Stiamo certamente mutando, d’accordo, ma stiamo crescendo in questi mutamenti oppure stiamo solamente declinando, tramontando? Questa crisi è cioè per la crescita o per la morte? O forse la crescita e la crisi terminale non sono poi così opposte e alternative tra di loro come sembrano?

2. Se leggiamo le tante analisi in circolazione ci troviamo di fronte ad una varietà e ad una contraddittorietà di giudizi davvero sorprendente: c’è chi grida all’imminente catastrofe morale e/o ecologica e chi si aspetta beato una nuova era di prosperità o almeno di “sviluppo”, c’è chi si concentra sui dati inconfutabili dell’attuale degrado culturale, dello smarrimento psichico, e della disperazione dilaganti, e chi invece punta tutto sul progresso inarrestabile delle tecnologie. Insomma uno degli elementi che accresce la confusione d’inizio millennio mi pare sia proprio la carenza di prospettive storiche adeguate, e cioè di chiavi interpretative della complessità bifronte (di fine/inizio, tramonto/risorgenza) del presente, che ci aiutino ad immaginare le coordinate di un futuro. Manca, in altri termini, una lettura approfondita che sappia comprendere e discernere che cosa stia ineluttabilmente finendo in questi decenni (e che quindi andrebbe semplicemente abbandonato senza troppi rimpianti), e che cosa stia faticosamente tentando di emergere sul palcoscenico ormai planetario della storia (e che quindi andrebbe riconosciuto e favorito nel suo emergere). Manca in definitiva uno sguardo profetico che sappia individuare e spiegare la natura del cambiamento in atto.

3. Gesù si arrabbia molto con i suoi contemporanei proprio a causa della loro incapacità di penetrare nel senso del loro tempo: “Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”( Luca 12,56). Ma perché definisce proprio ipocrita colui che non sa interpretare il proprio presente storico? Forse in quanto la lettura profetica del proprio tempo collettivo dipende dall’onestà con la quale ci impegniamo innanzitutto ad interpretare le fasi della nostra vita. Se cioè io, in questo momento, non mi impegno con onestà e umiltà a tentare di comprendere che cosa stia succedendo nella mia biografia, riconoscendovi i segni e le inquietudini di una profonda crisi di identità, come posso poi pretendere di capire il senso della crisi antropologico-culturale in atto? Se io, per esempio, non voglio vedere che oggi tutte le figurazioni storiche delle identità, e quindi anche quelle che rivesto io personalmente, sono in fibrillazione e in travaglio; se io, con ostinazione appunto ipocrita, mi rifiuto di riconoscere che oggi ognuno di noi è chiamato a dare senso e vitalità nuovi, e cioè appunto una nuova figura ad ogni con-figurazione di identità ereditata dal passato, come posso poi pretendere di ricevere la luce per comprendere la grande stagione trans-figurativa che stiamo attraversando? Se io, ad esempio, pretendo di poter essere oggi un marito o una moglie, un cristiano o un musulmano, di destra o di sinistra, italiano o europeo, un prete o una suora o una casalinga, un medico o un politico, come lo potevano ancora essere i nostri padri e le nostre madri fino a qualche decennio fa, allora significa che io sto difendendo qualcosa, mi sto difendendo, sto resistendo ai mutamenti in atto, mi sto illudendo che una strategia di chiusura, di tipo per esempio fondamentalistico, mi possa mettere al riparo da ciò che sta accadendo, e quindi sono in fondo proprio un ipocrita, una persona cioè che antepone la difesa di una maschera o di un ruolo o di una qualsiasi forma di potere alla vita nel suo attuale fiorire, e quindi alla verità nella sua essenza trans-formativa. Per cui sarò del tutto inetto anche a comprendere il senso evolutivo del grande passaggio che stiamo attraversando.

4. Per comprendere la natura dell’attuale fase storica dobbiamo perciò in prima persona farci assorbire sempre più integralmente dal vortice della trasformazione, ed entrare in quella dinamica di perdita (delle vecchie identificazioni)/guadagno (dei nuovi contenuti identitari), che è poi il motore stesso della vita pasquale, e cioè dell’esperienza spirituale cristiana autentica. E’ solo la nostra crisi personale, in altri termini, accolta essenzialmente come fatica purificativa, che può aiutarci a percepire, ad illuminare, e ad annunciare il senso evolutivo del nostro presente, di quest’età di crolli e di tramonti definitivi, ma anche di inaudite sorgenze e nascite imprevedibili.

La liquidazione dell’io bellico
e l’emersione della nuova umanità

1. Nella Traccia di riflessione scritta in preparazione del Convegno ecclesiale di Verona previsto per l’ottobre del 2006, dal titolo Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo, leggiamo: “Domande acute sorgono dai mutati scenari sociali e culturali in Italia, in Europa e nel mondo, e ancor più dalle profonde trasformazioni riguardanti la condizione e la realtà stessa dell’uomo. Nel tramonto di un’epoca segnata da forti conflittualità ideologiche, emerge un quadro culturale e antropologico inedito, segnato da forti ambivalenze e da un’esperienza frammentaria e dispersa. Nulla appare veramente stabile, solido, definitivo. Privi di radici, rischiamo di smarrire anche il futuro. Il dominante ‘sentimento di fluidità’ è causa di disorientamento, incertezza, stanchezza e talvolta persino di smarrimento e disperazione”. Certo, l’analisi è giusta, ma dovremmo anche chiederci: questa liquidazione delle identità “forti e solide” della storia non ci sta portando, insieme a tanta confusione, anche un anelito alla pace, una propensione al dialogo, e un’apertura alle diversità, che mai prima avevamo sperimentato nella storia? Insomma, quando le identità culturali e religiose erano (o almeno sembravano) così solide, stabili, e definitive, per esempio nel XVI o nel XVII secolo, non ci si sterminava anche, e perseguitava, e torturava senza troppi scrupoli in nome di queste solide verità, e magari proprio in nome dell’amore di Dio o della fedeltà alla Chiesa? E dove tuttora le identità e i “valori” sono forti e pochissimo fluidi, per esempio in Iran o in Arabia Saudita, non assistiamo a violenze, a mancanze di libertà, e a soprusi di ogni genere che, grazie a Dio e alle acquisizioni della modernità, non sono più possibili qui in Europa, in questa Europa appunto molto più fluida, ma forse proprio per questo anche molto più tollerante e sensibile verso chi non la pensi come tutti gli altri? C’è, in altri termini, un nesso tutto da pensare tra l’indebolimento delle identità rigide della storia e l’emersione di una nuova figura di umanità più aperta alla relazione, al cammino comune, e al dialogo reale, quello cioè in cui ciascuno si dispone realmente al proprio mutamento.

2. Potremmo tentare di definire l’essenza del mutamento antropologico-culturale in corso in vari modi, ma qui mi limiterò ad un solo aspetto fondamentale del passaggio:

noi stiamo attraversando un enorme tornante della storia del pianeta in cui ogni figura di identità fondata sulla chiusura dentro di sé, e quindi dentro le proprie verità date per definitive, e di conseguenza sulla contrapposizione all’altro, e in definitiva sulla guerra, sta collassando, e manifestando la propria natura distruttrice.

Questo io umano che pretende di possedere la (propria) verità, e che perciò costruisce la propria identità religiosa o culturale come un recinto da proteggere, si sta mostrando a tutti i livelli come un principio sostanzialmente illusorio e intrinsecamente bellico. Questa figura ego-centrica di io umano ha già vissuto il proprio mercoledì delle ceneri lungo tutto il XX secolo, sia in ambito teorico: dalla crisi del pensiero egoico-logico in Heidegger alla relativizzazione dell’autocoscienza egoica in Freud, fino al tramonto del progetto di oggettivazione scientifica della realtà in Heisenberg; sia in ambito storico, dove abbiamo amaramente constatato che l’ego unilateralmente razionalistico e orgogliosamente padrone di se stesso precipita facilmente nell’orrore delle guerre mondiali, di Auschwitz, dei Gulag, e di Hiroshima.

3. Il fenomeno antropologico-culturale più eclatante è però la fine della guerra come principio di fondazione egoica di tutte le civiltà umane. E’ vero che, dopo the great new fact, come lo definì Churcill, e cioè dopo l’esplosione atomica di Hiroshima, e dopo che la guerra dovette diventare inevitabilmente fredda, abbiamo comunque assistito e assistiamo tuttora a molteplici conflitti terrificanti; ma ormai è chiaro a tutti che la guerra non potrà più essere invocata come fondamento coesivo di una collettività umana, e quindi appunto come principio genetico di identità. E dobbiamo comprendere bene che questo è un dato antropologico del tutto nuovo, che sommuove antichissime convinzioni, spesso del tutto inconsce, e mette di conseguenza in fibrillazione l’intero pianeta. Noi umani, infatti, siamo spontaneamente, e appunto da millenni, abituati a pensare in questi termini: io sono greco proprio perché non sono come te, che sei barbaro, e quindi in fondo un non-uomo, o almeno un quasi-uomo; io sono maschio, proprio perché non sono come te, che sei femmina, inferiore, e devi perciò obbedirmi e stare zitta; io sono cristiano, proprio perché non sono come te, che sei un pagano, che io devo distruggere o quanto meno convertire, e così via. Siamo cioè spontaneamente egoico-bellici, rafforziamo il senso della nostra identità contrapponendoci all’altro, polemica-mente, radicandoci in uno stato psichico di attacco/difesa, che è quanto mai anti-evangelico, qualunque sia poi il contenuto razionale, la razionalizzazione che diamo alla nostra inevitabile violenza. Non ha alcuna importanza cioè se io sono egoico-bellico in nome dei miei interessi privati, in nome della nazione, della classe sociale, o in nome della Chiesa e di Cristo. Il dato determinante è lo stato egoico, chiuso, aggressivo/difensivo della mia anima. Oggi è questo il nuovo discrimine da individuare: lo stato reale (ego-centrato o trans-egoico) del nostro cuore, a prescindere da ciò che crediamo di credere o proclamiamo di essere. E’ questo lo stretto passaggio, il duro setaccio, la porta stretta attraverso la quale passiamo, sia come persone che come culture o religioni, verso la nuova figurazione della nostra umanità, e cioè ci trans-figuriamo.

4. Allora il grande problema che abbiamo davanti, e che più che un problema è un vero e proprio salto evolutivo è questo: come posso essere un maschio senza dovermi separare rigidamente dalla femmina e dai contenuti femminili del mio essere, senza dovermene andare a fare la guerra con e contro altri maschi, mentre la mia donna se ne sta con altre donne ad allevare i miei figli? Come posso essere un cristiano senza presumere che questo significhi possedere e imporre tutte le mie verità a tutti, ma anzi vivendo la mia identità proprio come un esodo da ogni certezza posseduta, come un dono da ricevere tutti i giorni, come una continua trans-figurazione appunto, che procede proprio nella misura in cui so perdere i miei presunti possessi concettuali e aprirmi all’altro, imparando la sua lingua e confidando che è solo l’amore concreto e personale che può propagare il Regno? Insomma come posso diventare un io in trans-figurazione, che si consolida nel faticoso cammino relazionale, un io che è tanto più forte quanto più si indeboliscono le sue presunzioni egoiche, le sue paure infantili, e le sue chiusure millenarie, un io non più bellico insomma, ma coniugale ? Il grande problema che abbiamo davanti è cioè essenzialmente formativo: come possiamo favorire la formazione di persone in trans-formazione? Persone che sappiano prendere bene l’onda gigantesca che ci sta trasportando al di là di tutte le figurazioni d’identità incartapecorite della storia? Come possiamo diventare dei bravi surfisti, che sappiano appunto sfruttare la velocità e la potenza dell’Onda dei tempi, senza esserne travolti per paura? E, in termini cristiani: come possiamo diventare più integralmente esseri divini, spiriti liberi e creativi, sempre più simili a nostro Padre che è un Essere che ama e che crea, che crea solo per amore e che ama solo per creare sempre nuova vita e bellezza? Come possiamo purificare la nostra fede da tutto ciò che di egoico e di bellico ancora la distorce, la paralizza, la deforma, e ne limita l’effusione di grazia? Come possiamo inaugurare il tempo della Cresima del Mondo, a duemila anni dal Battesimo in Palestina? Come possiamo diventare più integralmente la Nuova Umanità, il nuovo Genere Umano davvero coniugativo, e cioè costruttore di unità e di pace, che preme nel grembo della storia e in ciascuno di noi? E qui si apre un campo sterminato di ricerca e di sperimentazione spirituale e formativa. Ma questo sarebbe il tema di un altro intervento.

Pubblicato su Via Verità e Vita – Comunicare la fede
numero 1/2006 – anno LV