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Rinascere (2a parte)

Tre lezioni sul rapporto
tra esperienza cristiana e pratica dello Yoga
alla svolta dei tempi

Terza Lezione

L’ascolto del Principio
e la nascita dell’Io Reale

1. Stiamo tentando di comprendere che noi viviamo in un tempo straordinariamente complesso, propizio e faticoso al contempo, perché le culture, le civiltà, le tradizioni della terra si incontrano, si mescolano, rendendo il lavoro creativo più difficile ma comunque sempre alla nostra portata.
Una delle grandi meraviglie della natura umana è la sua plasticità, la sua incredibile capacità di modificarsi, di ambientarsi, di trasformarsi secondo le necessità. In questo tempo così fluido, così articolato nelle sue sfide, tutti i problemi sembrano essere diventati degli ultimatum. Dovunque volgiamo lo sguardo sembra che ci sia sempre un ultimatum a minacciarci. Accettiamo allora la sfida dell’ultimatum! Può essere un buon esercizio per sollecitare alla trasformazione, a prendere sul serio la propria vita.
Nel primo giorno del nostro incontro abbiamo cominciato a comprendere “perché” e “in quale misura” il nostro tempo si possa considerare così singolare.
Nella seconda giornata abbiamo poi incominciato a comprendere che cosa succeda quando il nostro “ego”, la nostra identità illusoria si capovolge e noi cominciamo ad osservarne i moti interiori, abbiamo incontrato così l’io in conversione e abbiamo sviluppato una riflessione psicologica. Il primo giorno abbiamo fatto una riflessione più culturale, il secondo giorno una riflessione più psicologica ed oggi faremo una riflessione più spirituale. Come vedete questi sono proprio i tre livelli formativi che abbiamo sostenuto doversi integrare per facilitare l’emersione della nostra nuova umanità.

2. Ogni volta che a livello psicologico e anche a livello meditativo noi osserviamo una struttura distorta della nostra anima, un certo mascheramento, un certo modo di difenderci, una certa suscettibilità o durezza, ogni volta che osserviamo con attenzione uno di questi aspetti, scopriamo che al di sotto e nel profondo di questo automatismo difensivo e anche al di sotto delle emozioni distruttive che sempre lo accompagnano, al di sotto cioè della struttura Jekill/Hyde, maschera/ombra, ognuno di noi incontra un punto particolarmente doloroso, una specie di lutto o perdita di fondo. La struttura maschera/ombra va però costantemente riattraversata. Ogni volta di nuovo. Non ci illudiamo mai di conoscere appieno la nostra maschera, e la nostra ombra. Quando qualche volta nei miei gruppi rifacciamo gli stessi esercizi, qualcuno si alza e sostiene di sapere già come si maschera. Ecco un buon modo per rimanere egoici! Noi non abbiamo in realtà mai la piena coscienza dei nostri mascheramenti, nemmeno dopo anni. Ogni volta ci rendiamo conto che la struttura egoica è molto più pervasiva di quello che ritenevamo: quindi dobbiamo ricominciare ogni volta daccapo! Ricominciare ad attraversare conoscitivamente la strategia difensiva, i moti interni che la producono, le emozioni distruttive, la paura, e così via. Paura di che cosa? Le emozioni vanno interrogate come fossero spiriti. Evagrio Pontico nel IV secolo ha insegnato come dovremmo interrogare le nostre emozioni. Dovremmo chiedere alle nostre paure: ma tu chi sei? Che vuoi? Di che cosa hai paura? Che cosa hai paura di perdere? Questo vuol dire riattraversare ogni volta la struttura maschera/ombra.
Se facciamo questo lavoro dunque ci rendiamo conto che al di sotto di questi due strati c’è qualcosa di più profondo, una sorta di dolore puro, un punto abissale dentro di noi ma facilmente raggiungibile se lavoriamo bene in questo senso, se attraversiamo bene ogni volta la strategia difensiva e le emozioni distruttive retrostanti.
Più a fondo della tua paura, più a fondo anche della rabbia, del risentimento, c’è un punto di dolore puro, in cui percepiamo anche a livello psicologico quella particolarissima ferita d’amore che ognuno di noi ha subìto. Lì bisogna arrivare, ogni volta più profondamente. Devi tornare e ritornare sul luogo del delitto per cancellarne le tracce. Tornare e ritornare e capire che dietro le tue difese, i tuoi automatismi c’è semplicemente un grande dolore, una grande perdita, un lutto da elaborare, una grande tristezza, una terribile disperazione da accogliere e con cui imparare a convivere, toccando ogni volta con tutto il tuo essere quel dolore e sperimentando ogni volta l’impotenza delle tue strategie di difesa perché lì, in quel dolore, le strategie di difesa riveleranno la loro fatuità.

3. Quel dolore abissale non lo togli da solo. Puoi fingere di essere forte, buono, spirituale, puoi fingere di aver superato il dualismo, ma quel dolore non viene tolto. Se sei onesto e ci vai, lo trovi sempre là. Questo senso di impotenza può, come dicevamo già ieri, istruirci ad approfondire l’autentico abbandono.
Potremmo dire che l’ego si dissolva nel punto in cui è nato, cioè nel punto di separazione, in quel punto, che è la ferita del nostro amore, ci siamo separati dall’amore, e dalla vita. In quel punto non abbiamo più creduto, non è stato più possibile credere. In quel punto, tornando in quel punto, sperimentando l’impotenza di qualunque strategia che voglia nascondere la verità, impariamo ad abbandonarci con tutto il cuore.
Conviene, a quel punto, leggere o rileggere il libro del Qoelet che, come sapete, ci insegna appunto che tutto è vanità, anche la sapienza è vanità, tutto è vanità, polvere e cenere. Questo è uno stato naturalmente, non è lo stato definitivo, ma è uno stato da riattraversare, uno stato purificativo. Non è un caso che nel canone biblico subito dopo il Qoelet ci sia il Cantico dei Cantici, la celebrazione dell’amore erotico, incredibile! Quando tutto va in cenere, tutto quello che è vanità va in cenere, la vita fiorente, l’eros, la passione, la coniunctio tra il maschio e la femmina, la generazione della vita diventa vera, non più una mascherata, ma potentemente vera! L’ego si dissolve nel punto di separazione in cui è nato. Questo viene percepito, se volete, come un’esperienza di morte. E’ un’esperienza di morte, morte dell’ego. Ma non facciamoci pie illusioni, la morte dell’ego è una morte, dal punto di vista emotivo. Il maestro zen Deshimaru diceva: Iniziare Za-Zen, vuol dire entrare nelle propria bara. La propria tomba! Il mio padre spirituale, anzi il padre spirituale di mia madre, grande taumaturgo ed esorcista, il servita padre Gabriele, per molti anni dormì in una bara per ricordarselo. Voi sapete che i Padri del deserto nei primissimi tempi dormivano proprio nei cimiteri, nelle tombe.
Questo passaggio non è quello finale, è solo una fase di un ciclo. Si torna però sempre lì. Bisogna tornare lì, a mio parere, in ogni sessione meditativa, in ogni ricerca psicologica, ogni giorno, anzi ad ogni respiro, quando ne saremo capaci. Questo ci aiuta a cedere proprio nel punto in cui abbiamo imparato a contare sull’ultima difesa e a contrarci. Impariamo a cedere, a mollare, a crollare. A crollare proprio lì, dove abbiamo impiegato tutte le nostre forze nell’illusione di dover resistere e reggere: Il mondo lo reggo io!
“Tutto il mondo del dolore io debbo sopportare”, ricordate lo Atlas di Schubert?
Ramana Maharshi diceva:- La maggior parte degli uomini passa tutta la vita a fare una fatica terribile per tenere due valigie in mano senza accorgersi di essere su un treno.-
Siamo portati da un’onda spaventosa, che ci ha portato anche fin qua ad Assisi.
Pensate alle miriadi di opportunità, casi, provvidenze che hanno fatto sì che questo gruppo di persone si potesse riunire qui, oggi venticinque di settembre del 2005. Ad Assisi sotto la grande protezione del Santo. Saranno tutti casi fortuiti? Io personalmente non ho mai creduto al caso. “Il caso è il nome bendato del Re“ dice un verso…

4. Ieri dunque eravamo arrivati a questo. Il capitolo del libro di Gérard Blitz in cui parla dell’abbandono si chiama appunto L’ego si dissolve. Direi che si dissolve completamente proprio in questo abbandonarsi, nella consapevolezza che tutte le strategie egoiche di risposta al problema sono vane. Ecco, in questo stato che noi attraversiamo nella meditazione, ma anche nelle sessioni di autoconoscimento psicologico fatte bene, noi incominciamo a sperimentare a tratti anche qualcos’altro e, cioè, una libertà, una sorta di libertà de-condizionata. Io non sono soltanto la struttura difensiva che ho costruito sulla base delle ferite che ho subito. Non sono solo questo. Posso osservarla, posso identificarne i meccanismi disidentificandomene. C’è dunque una libertà! Questo sollievo può crescere, lo sperimentiamo sempre come una pace che può ampliarsi in un grande silenzio. Tutte cose che a voi sono abbastanza familiari nella pratica. In questo stato che naturalmente si amplia e si approfondisce con gli anni di pratica e di fedeltà, noi ci disponiamo all’ascolto. Ci disponiamo all’ascolto di qualcos’altro rispetto a tutti i codici male-detti/detti-male che abbiamo riconosciuto e continuiamo a riconoscere come programmazioni del nostro ego, cioè del nostro fallimento. Ci mettiamo in ascolto d’altro. E che cosa ascolteremo? Noi ascolteremo e faremo esperienza solo di ciò cui avremo precedentemente creduto. E questo è un punto di capitale importanza nel nostro itinerario di comprensione dei processi trasformativi. In quello stato, potremmo dire verginale, dell’ascolto, noi sperimentiamo spiritualmente solo ciò cui abbiamo deliberatamente creduto. Qui sta la potenza straordinaria di qualcosa che sembra di minimo valore, e cioè della fede. La fede, in fondo è una piccola richiesta, all’inizio. Quando Giovanni incontra Gesù in fondo gli chiede:- Ma tu chi sei?.- E Gesù gli risponde:- Venite e vedrete.- questa cosa è un piccolo atto di fede. Questa piccola cosa però è tutto, è determinante. Da quel momento tu segui questo o quello. Poi verificherai:- Venite e vedrete -. C’è sempre un processo conoscitivo. – Credo ut intelligam!- dice sant’Agostino. – Credo per conoscere! – per capire. Però il primo passo è quello. Perché altrimenti non lo segui, non vai a casa sua per conoscerlo. Conoscerai altre cose, però quello non lo conoscerai. Questo è un piccolo gesto, piccolissimo ma determinante. Poi andarono a casa di questo strano personaggio e videro, non si sa cosa, non lo dicono. Il giorno dopo, Andrea che era con Giovanni, incontra il fratello e gli dice:- Abbiamo incontrato il Messia!- Che cosa avranno visto? Non è spiegato. Evidentemente devono aver visto qualcosa che li ha convinti, anche perché per un pio israelita del I secolo dire di aver incontrato il Messia non era cosa da poco.
Questo piccolo gesto iniziale che è il credere e il seguire diventa poi determinante per tutto ciò che sperimenterò nella mia pratica spirituale, quando avrò raggiunto quello stato di assoluto silenzio e ascolto. Cosa ascolterò? Ascolterò ciò in cui ho creduto. Farò esperienza di ciò che mi hanno insegnato essere possibile. Noi cioè non crediamo in ciò che vediamo, ma vediamo ciò cui crediamo.

5. Sull’assoluto primato della fede concordano tutte le tradizioni spirituali che ho cercato di studiare. Voglio leggere alcune brevissime citazioni per confortarvi e confortarmi su questa concordia universale.
La prima è di Sankara, uno dei più grandi maestri dell’induismo, che parla appunto di śraddhā, śraddhā è il concetto di fede: “śraddhā è la fede che aderisce per un atto deliberato di comprensione mentale alla verità quale è esposta nelle sacre scritture e dal guru. Essa rappresenta il mezzo tramite cui la realtà ultima viene percepita.”
Dice dunque Sankara: io non farò mai esperienza se non di ciò cui ho deliberatamente aderito per fede. Un maestro zen non vedrà mai Gesù Cristo nelle sue meditazioni. Non farà mai esperienza dello Spirito Santo. Farà esperienza del Satori, cui appunto crede. E’ importante comprendere questo. Perché è importante? E’ molto importante perché l’uomo contemporaneo, l’uomo occidentale si illude spesso di poter aderire ad una sorta di esperienza spirituale pura, a prescindere da qualsiasi adesione di fede. Ed è una pia e disastrosa illusione che genera, a mio parere, enormi pericoli di egoità gigantesche, perché tu in definitiva ti illudi di poter sperimentare l’Assoluto per via diretta e a modo tuo, gestendo tu le forme e i modi.
E’ invece solo attraverso la seria e umilissima adesione ad un cammino storico concreto che io poi potrò vivere questa grandissima transizione antropologica che stiamo sopportando. Ma non illudendomi di poter scavalcare in toto il punto più difficile e doloroso, e cioè appunto l’umiltà del credere.
Un altro grande maestro indu contemporaneo, che ha scritto un libro molto bello di confronto tra la mistica carmelitana e la tradizione indu, Swami Siddhesvarananada, dice: perciò la fede scaturisce dall’audizione. E sembra San Paolo: Fides ex auditu. Come faccio infatti a credere a qualcosa? Qualcuno deve raccontarmela. Come posso credere in qualcosa se non c’è qualcuno che me ne parli? Vedete, le cose umane reali sono semplici. Perciò la fede scaturisce dall’audizione. Nella Brhadāranyaka Upanishad si sostiene che dapprima bisogna intendere la verità, quindi occorre riflettere sulla verità stessa ed infine realizzarla.
Se passiamo poi alla tradizione cristiana troviamo le medesime parole, espresse naturalmente con un codice diverso. Il cardinale Henry de Lubac, grande teologo cattolico del novecento, scrive: L’esperienza mistica è il frutto della fede. Non c’è una mistica senza fede. Non c’è esoterismo senza exoterismo. Chi pretenda di avere alte esperienze spirituali senza seguire prima di tutto i dettami umilissimi della propria tradizione verrebbe preso a calci da qualunque maestro autentico.
De Lubac continua: “L’esperienza mistica è il frutto della fede. Non si tratta di un tentativo di evasione attraverso l’interiorità. Si tratta del cristianesimo stesso”. Questa è l’esperienza spirituale. Ancora de Lubac: “La mistica cristiana sarà essenzialmente un’intelligenza della Sacra Scrittura. L’intelligenza mistica o spirituale della scrittura e la vita mistica o spirituale sono la stessa cosa”.
Leggiamo infine lo stesso Gérard Blitz: “Esistono tre fili conduttori nello Yoga, intimamente legati: il primo, da cui si parte, quello dei testi ispira, mostra la via, l’essenziale; il secondo, quello della pratica segue questa direzione e trasforma”. Fai pratica cioè ancora una volta soltanto di ciò cui hai creduto leggendo la scrittura e approfondendone il significato.

6. Che cosa vuol dire, in definitiva, il primato della fede? Che cosa significa questo primato delle Scritture rispetto a qualunque pratica spirituale, la quale si inserisce sempre nell’orizzonte aperto da una specifica rivelazione?
In poche parole significa che Dio, l’Essere, il Mistero Ultimo, la Realtà Assoluta si rivela. E’ Dio che prende l’iniziativa e si rivela. E’ Dio cioè il Principio. Significa in altri termini riconoscere semplicemente che Dio è Dio. Le umanità poi ascoltano e rispondono a questo rivelarsi che si svolge lungo diverse epoche. Questa risposta genera quelle tradizioni religiose entro le quali ogni praticante fa esperienza di ciò cui crede. Questo è il movimento. Questa è la parte del discorso cui eravamo arrivati toccando l’esperienza del perfetto silenzio, dell’ascolto e dell’abbandono.
Per cui a quel punto, sciolto almeno in parte il mio ego e abbandonatomi a questa esperienza areata di libertà, a questa pace, le esperienze si differenzieranno a seconda della fede del praticante. Ed è bene che il praticante sia consapevole di avere una fede! E che la scelga con consapevolezza, senza illudersi di essere in un qualche spazio al di là; perché ognuno di noi è sempre dentro un orizzonte storico-religioso preciso che ha pre-scelto.
Ora perciò non posso che parlarvi del mio cammino, del cammino che propongo nei miei gruppi e che si inserisce nel discorso che ho tentato di proporvi, cioè che siamo in una fase di grande trasformazione antropologica, in cui sta emergendo una nuova figura di umanità. Anche questo pensiero è profondamente radicato dentro la storia, in una tradizione precisa, che è poi quella cristiano-occidentale. Il primo giorno abbiamo detto che Blitz sostiene con grande precisione che lo yoga non può presumere di modificare la nostra cultura e nemmeno di sostituirsi alla nostra religione. Leggo ancora un suo testo: “Ci si domanda se lo yoga è una religione. La nostra cultura, generalmente giudeo-cristiana, si interessa a questa domanda. Molte persone sono credenti e si chiedono se lo yoga è una sostituzione a livello religioso, se vi è una connessione con l’induismo, penso che la risposta sia negativa.” Blitz in fondo dice: io non sento la necessità di uscire dalla mia tradizione, dalla mia religione, dalla mia cultura. Sono un uomo occidentale di tradizione giudeo-cristiana, quindi, sono perfettamente inserito in questo orizzonte rivelato: Fraternité, egalité, ricordate? Ma la fraternité implica la tradizione cristiana, altrimenti, che cosa vuol dire? Parlare di Fraternité vuol dire: noi siamo sorelle e fratelli, e cioè siamo essenzialmente persone spirituali. Esiste cioè un’identità umana che non è l’ego. Esiste la possibilità di essere un Io che non si separa e non separa. Ma un Io “comunionale”. Un Io comunque, un’identità umana, libera di dire sì o no. La Realtà Ultima, il Dio Trinitario in Tre Persone, è appunto una comunione/relazione tra persone non egoiche, non separate ma libere, responsabili. E ogni persona umana è essenzialmente relazione responsabile. Siamo tutti responsabili gli uni delle altre, fratelli e sorelle appunto. Chiedo e lascio alla vostra riflessione, se all’interno della coerenza buddista avrebbe senso parlare così fortemente di fraternità o di una Realtà Assoluta e finale intesa proprio come rapporto tra persone che hanno un padre, perché per essere fratelli bisogna pure avere un padre, una genesi comune, un Genitore( Cfr. D. Gira, La scelta che non esclude – Buddhismo e Cristianesimo, Ed. Paoline 2004).

7. Proseguiamo dunque il cammino tenendo presente questo presupposto: io faccio esperienza spirituale solo di ciò in cui credo, e credo in ciò che le scritture mi hanno detto. Credendo imparo e verifico. Non è una fede cieca, è una fede ragionevole in cui io credo in qualcosa, faccio il passo umile, e poi credendo incomincio il cammino che mi dà verifica di quello in cui credo, altrimenti si cadrebbe nel fideismo che è stata una delle eresie che il cristianesimo ha dovuto distruggere nei secoli, poi purtroppo l’ha spesso riprodotto! Ma il fideismo non è cristianesimo.
Gesù dice ai tutori della legge: – Voi avete preso la chiave della conoscenza, gnoseos, non siete entrati voi e non avete fatto entrare gli altri.- La fede, quindi, è una sottile apertura per una conoscenza autentica e personale, per una vera esperienza conoscitiva. Questo vale per tutte le tradizioni autentiche.
Continuando dunque nel nostro cammino, noi dovremmo riconoscere, anche con Blitz, di essere già dall’inizio dentro l’orizzonte spirituale ebraico-cristiano, e dovremmo piano piano riaderirvi con nuova consapevolezza, non per convenzione sociale né per sola fedeltà culturale, come gli odierni atei devoti. No, è la mia carne, sono le mie emozioni fondamentali che devono parlarmi e dirmi in che senso e fino a quale misura io sono cristiano, non posso non essere cristiano, sono schiavo del battesimo, come diceva Rimbaud. Allora, se io riaderirò deliberatamente all’orizzonte storico-rivelato cui appartengo, in quel silenzio, che avrò ogni giorno faticosamente ritrovato, in quella verginità d’ascolto, io ascolterò parole precise. Ascolterò le parole che Dio ha rivolto a noi, le ascolterò nella relazione dialogica che mi costituisce, e risponderò a quelle parole ancora una volta con le parole che Dio mi ha rivelato. Entrerò così in un dialogo di parole che mi rigenereranno, mi riveleranno la mia nuova identità, la mia identità non più male-detta ma bene-detta, detta bene perché detta da chi parla fin dall’origine, detta da chi mi ha creato, detta da chi conosce la direzione delle cose.

8. Nella tradizione ebraico-cristiana Dio si rivela storicamente per gradi a seconda della tua capacità di comprenderlo. Il processo rivelativo di Dio cioè non è disgiungibile dallo sviluppo storico dell’autocoscienza umana. Tra Dio e l’uomo cioè vi è una connessione intima, una alleanza appunto, non una separazione e nemmeno una identità indistinta ma una relazione talmente intima che noi la capiremo soltanto vivendola.
Quindi, io in quel silenzio non rimarrò in silenzio, ma ascolterò una parola. Ascolterò una buona notizia che mi dirà rivolgendosi personalmente a me:- Sii felice, Marco, perché tu sei perdonato. Tutto quello che tu vedi di negativo dentro di te è come se non fosse mai esistito. In questo momento ti genero nuovo. Fidati completamente di me.-
Una nuova creazione è in atto. Gesù inizia la sua predicazione con le parole:- Il tempo è compiuto.- Il tempo del dominio dell’ego è finito. Non ci vorranno eoni ed eoni, perché il tempo è breve, molto breve. Certo il tempo di Dio non è il nostro; lo dice anche San Pietro:- Mille anni sono per Te come un’ora.- Ma non ci vorranno milioni di anni. Guardate il ciclo complessivo della storia, ne abbiamo già parlato, si tratta di cinquemila anni. La rivoluzione del neolitico è di otto-diecimila anni fa, poca cosa. Il tempo è accelerato. Questo mondo sta per finire. E’ già finito dal punto di vista spirituale. Ho visto precipitare Satana dal cielo – diceva Cristo. Il potere dell’illusione è già stato scacciato dai Cieli, dice l’Apocalisse.
L’Io che entra in relazione, quindi, ascolta ciò in cui crede e in questo caso ascolta l’annuncio continuo della sua nascita, della sua nuova nascita. L’Io in relazione scopre ogni volta con sorpresa di poter essere solo ciò che la fonte della vita gli dice di essere. Io voglio essere solo ciò che tu dici che io sia. Non voglio più pensare di me tutto quello che ho pensato, tutto quello che ancora ronza dentro la mia testa come maledizione. Voglio soltanto pensare di me ciò che tu pensi di me, ciò che tu dici di me, e tu dici sempre belle cose di me. Mi benedici sempre incondizionatamente. Mi dai sempre e soltanto conforto. Mi dici sempre parole di amore. Lo Spirito Santo è infatti proprio il Consolatore, il dolcissimo Consolatore dei nostri cuori feriti. Lo Spirito Santo, che è l’energia divina della nostra nuova nascita, dice sempre in noi parole di conforto: “Non avere paura, stai calmo, non ti giudicare, non ti condannare. E’ sempre un nuovo inizio. Io oggi ti genero, ti ri-genero.”

9. Oggi io sono nato, oggi, ogni oggi, ogni adesso è il kairòs della nascita. Questo è uno dei significati dell’icona dell’Annunciazione. Maria è infatti l’anima in silenzio. Spesso è rappresentata con la scrittura in mano. Ha letto la scrittura e ha raggiunto il silenzio. Lì riceve la luce. La luce, una cosa nuova, che non crea lei, che anzi non potrebbe nemmeno immaginare. Lei è in meditazione, è in silenzio, è in ascolto, ha creato la condizione ma non può generare la luce che, infatti, è sempre una sorpresa. L’angelo appena arriva le dice:- Rallègrati, sii contenta, stai tranquilla, il Signore è con te, è dentro di te. Sei ricolma di grazia, sei tutta grazia, sei sanata, perdonata, non c’è più colpa. Non c’è più la ferita della separazione, sei integra e per questo puoi ricevere il seme del nuovo uomo. – Non conosco uomo.- dice Maria. Lei non conosce l’uomo vecchio. Non è fecondata dall’uomo vecchio. I semi, che sono in sostanza i pensieri dell’uomo vecchio, non la fecondano. Per questo può ricevere il seme della nuova umanità. Da questa relazione che è fedeltà, ascolto, umiltà e gioia, l’Io in relazione viene fecondato costantemente e genera costantemente i lineamenti della propria nuova umanità, ma della propria specifica e personale nuova umanità. Noi facendo questo processo facciamo nascere il nostro Franco Cristo, Luigi Cristo, Tiziana Cristo, cioè la nostra persona spirituale trasfigurata, invasa dalla sovrabbondanza della nuova umanità, il nostro Vero Io.
Quanto più la nostra mente sarà rigenerata – e non dimentichiamo che la parola fondamentale di questa rinascita nel cristianesimo è proprio metanoia, che vuol dire trasformazione della mente, del nous – tanto più procreeremo un mondo riallineato nella sua verità originaria. Quindi l’io in relazione è totalmente funzionale alla nascita dell’Io vero, il terzo ed ultimo stato della nostra trans-figurazione. La Madre di Dio, nell’iconografia cattolica, è totalmente funzionale, nell’ordine della salvezza, alla nascita del Figlio. Lo scopo dell’io in relazione è soltanto di essere uno stadio intermedio così come l’io in conversione; sono due stadi intermedi. Se voi li vedete a livello biblico l’io in conversione è la figura di Giovanni Battista. Giovanni Battista che chiama alla conversione, ma che però non entra nel nuovo regno; infatti Gesù dice che anche il più piccolo del regno dei cieli è più grande di Giovanni Battista, perché l’io in conversione non è ancora la nuova umanità. E’ solo Maria che, entrando in relazione con il Principio e ricevendo la parola nuova, dà inizio all’alleanza nuova.
Da una parte c’è dunque Giovanni Battista, l’io in conversione; dall’altra, Maria, l’io in relazione, entrambi protesi però verso l’Io Nuovo, il Cristo. Questa icona classica, che rappresenta i tre stati della trasformazione, si chiama deisis che vuol dire intercessione. Ed è la più perfetta rappresentazione simbolica di tutto quello che ho cercato dire, e cioè dei tre stadi della transfigurazione che vanno sempre riattraversati. Qui voglio citare Meister Eckhart che dice: “Perché Dio si è fatto uomo?- Io rispondo:- Perché Dio nasca nell’anima e l’anima a sua volta in Dio.- Per questo è stata scritta tutta la scrittura. Per questo Dio ha creato l’intero mondo, affinché Dio nasca nell’anima e l’anima a sua volta in Dio.”

10. Tutto questo mistero grandioso che ha nutrito l’intera nostra civiltà nel bene e nel male, oggi, a mio parere, chiede di essere risperimentato ad un nuovo livello di profondità, anche grazie al grande afflusso sapienziale che ci viene dall’Oriente. L’Oriente ci aiuta a correggere, a parer mio, tutte le incredibili distorsioni egoiche di questi misteri. Il Cristianesimo storico infatti dimentica spesso e non pratica seriamente i primi due stati: l’Io in conversione, il vero raggiungimento del crollo dei fondamenti dell’egoità, e l’Io in relazione, la novità dell’ascolto della parola di Dio. Per questo motivo ci presenta un Cristo che è purtroppo, il più delle volte, una specie di super-ego, che rinforza l’identità egoiche, delle persone. Questo spiega gli orrori della storia e allontana in maniera siderale dalla verità dei misteri professati. Il confronto con la psicoanalisi, le acquisizioni che ci dà la psicologia del novecento sulle strategie difensive dell’ego, le acquisizioni sapienziali delle pratiche dell’Oriente, che ci aiutano a fare una critica più attenta, un’osservazione più profonda dei nostri meccanismi mentali, possono farci rientrare nell’orizzonte di questi misteri in una maniera inedita ed imprevedibile. E qui ci ricolleghiamo al problema di partenza. Questo è il segno di una nuova umanità che non è certamente una mia invenzione, ma il portato misterico di tutta la tradizione ebraico-cristiana occidentale che è impastata nella nostra carne, nella nostra storia, nelle nostre mura e che noi dobbiamo rianimare, non rimuovere ma rielaborare, non far finta che non ci appartenga ma riattraversare ritrovando la potenza della sua verità, affinché ognuno di noi possa stare qui ad Assisi come a casa propria, non come un ospite quasi estraneo o come un semplice turista. Che cosa ha a che vedere questo luogo con ciò che facciamo noi? Per me sarebbe inconcepibile non sentirmi completamente protetto nel mio lavoro dallo spirito di Francesco! Sarebbe inconcepibile stare qui, mi sentirei a disagio.
Dante dice che Assisi non va chiamata Assisi ma Oriente. Sentiamo dunque quest’Oriente, questo Sorgente, questo Risorgente, questo Umano Inedito che germoglia dentro di noi. Io credo che questo sia il grande discernimento oggi. Un grande lavoro per tutti, ma ripeto alla nostra portata.

11. Vorrei concludere con una brevissima citazione dalle Lettere di Paolo, che chiuderà il mio discorso, perché in realtà è al suo inizio, ne è l’apertura rivelata. Io infatti, in base a quanto abbiamo detto, non sono altro che un ripetitore di una parola ricevuta, non nel senso meccanico del termine, in quanto ripetere vuol dire “chiedere di nuovo”: ri-petere, chiedere e chiedere di nuovo. Che cosa? Io chiedo che quello che qui ascolto lo viva veramente. Io chiedo di vivere la mia rigenerazione. Io chiedo di vivere i miracoli della rigenerazione. Io voglio vedere il miracolo della mia rigenerazione. Devo dire che ho già visto qualcosa. Io sono in fondo uno scettico, sono figlio dell’illuminismo, del positivismo, sono un occidentale, proprio perché cristiano, secondo me, perché non è un caso che l’illuminismo nasca qui. Il cristianesimo autentico è materialismo sotto certi aspetti: le cose le voglio toccare. San Tommaso vuole mettere il dito nella piaga altrimenti non crede. Ha ragione, almeno in parte! Ricordate che San Tommaso è stato, secondo la tradizione, l’apostolo che è andato in India ed è sepolto lì.
Leggiamo dunque per chiudere questo brano di San Paolo, che ci parla di come avvenga la nostra trasfigurazione e dice: “Il Signore è Spirito e dove c’è lo Spirito c’è libertà e noi tutti a viso scoperto” non c’è più separazione cioè dalla fonte diretta, Mosè doveva ancora coprire il suo viso, adesso non c’è più il velo, il velo del Tempio si squarcia quando Cristo muore sulla croce, non c’è più velo, non c’è più mediazione sacerdotale o rituale. Il rapporto è diretto: siamo a viso scoperto come Maria davanti a Gabriele. “Noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trans-formati in quella medesima immagine. Di gloria in gloria. Di potenza di luce in potenza di luce, secondo l’azione dello Spirito del Signore.” Questa è l’esperienza spirituale che fonda la speranza di una nuova vita, di un nuovo Io Umano. Auguri!

Domande

D. Se una persona non crede e non ha fede, visto che siamo tutti sullo stesso treno, vede coloro che hanno fede come se corressero su questo treno per raggiungere la meta più in fretta, in realtà la meta la si raggiunge comunque, perché tanta fatica?

R. E’ un problema complesso perché noi abbiamo attribuito alle parole fede o credere dei significati errati per cui quando una persona dice: Io non credo, mi viene subito da dire: neanche io. Io credo che quando una persona dice non credo, dica no a una serie di cose alle quali io per primo dico no! Penso che dentro ognuno di noi ci sia una parte credente e una parte non credente. Il problema da porsi è: perché io do più credito alla parte non credente? Oggi molte persone credono di credere oppure credono di non credere, ma sulla base di un’idea di credenza, più che di fede, che è una cosa che appartiene totalmente all’ego. Mentre la fede richiede proprio di dissolvere l’ego e di entrare in un orizzonte del tutto diverso del pensiero. Nel periodo della riforma protestante, all’inizio del XVI secolo, le chiese si sono dovute fronteggiare addirittura militarmente e allora si sono arroccate sulle definizioni di fede e dicevano: Tu credi in questo, tu credi nella chiesa gerarchica?- Qualcuno diceva no e finiva male, come Giordano Bruno. Questa cosa è rimasta nei secoli successivi, perché quando la chiesa cattolica si è riorganizzata dopo le guerre di religione, che per trent’anni sono state combattute in Europa, il Concilio di Trento ha definito la fede cattolica con definizioni concettuali che sembrano a volte quasi delle mattonate, andando molto lontani da ciò che è la povertà della fede. La fede è leggera, infatti, come il soffio dello Spirito.
Spesso noi non crediamo, ma non soltanto in Dio, noi non crediamo proprio in niente.
C’è una parte bambina, ferita, in noi che non crede nell’amore, negli altri, che non crede che la vita abbia un significato. Andiamo a vedere allora chi ti ha fatto del male. Se qualcuno venisse da me e mi dicesse di non credere, io gli chiederei in primo luogo: chi ti ha fatto del male? Chi ti ha ferito? Perché sei diventato così chiuso e difeso, così cinico in un’area della tua anima? Tiriamo fuori il cuore dalla ghiacciaia, può tornare a battere, può tornare a credere, ma non a credere in Dio o nell’anima, ma a credere intanto che oggi è una bella giornata, e che magari qui intorno ci sono degli spiriti, tante cose che non vediamo. Noi vediamo pochissimo!
Oggi la scienza sta decostruendo la visione materialistica della realtà. Qui adesso ci sono miliardi di onde, p. es. radio, con tutti i canali televisivi e radiofonici captabili, ma se io non ho una radiolina da accendere e sintonizzare è come se non ci fossero. Allora quante altre realtà, musiche, onde sono presenti qui ma non abbiamo la radiolina capace di captarli? Oppure forse ce l’abbiamo la radiolina, ma non sappiamo ancora come utilizzarla e nemmeno ci proviamo, in quanto non ci crediamo, e noi sperimentiamo solo ciò in cui crediamo.

D.: Ho capito che non c’è nessuno che non crede in Dio!?
R. Brava! Tutti non crediamo e tutti crediamo in qualcosa.
D. Quindi bisogna continuare in quello in cui crediamo?
R. E ampliare l’orizzonte della ricerca, cioè, porsi sempre il problema, piuttosto che fissarsi sull’oggetto credo-non credo, riportare lo sguardo su di me: perché io credo o non credo a questo o a quello? Cercare di capire, come dicevo, che spesso il vero problema è un altro. Prima di andare a parlare di Dio parliamo di come dormi la notte, che cosa ti mette paura, che sogni hai fatto, che rapporti sentimentali affettivi, erotici o sessuali hai e come vanno, che rapporto hai con la mamma, e così via. Queste domande credo che siano utili per poi poter arrivare a parlare di Dio.

Conferenze tenute ad Assisi nel settembre 2005 in occasione dell’incontro organizzato dall’Istituto Internazionale Ricerche Yoga sul tema generale del Discernimento/Viveka.