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Rinascere

Tre lezioni sul rapporto
tra esperienza cristiana e pratica dello Yoga
alla svolta dei tempi

Prima lezione

DISCERNERE TRA IL VECCHIO E IL NUOVO
L’UMANITA’ NASCENTE

1. Intanto un ringraziamento per l’opportunità che mi viene data di un confronto e di un dialogo, infatti io credo che il nostro sia un tempo straordinariamente propizio, nonostante tutte le apparenze, anche perché ci costringe a mettere a confronto le nostre culture, le nostre tradizioni spirituali con le altre.
Questo confronto così serrato è un unicum nella storia di questo pianeta.
Le tradizioni e le culture normalmente o si sono fatte la guerra o si sono ignorate demonizzandosi, oppure banalizzandosi vicendevolmente. Questo oggi non è più possibile per tanti motivi: la comunicazione globale, i trasporti, le migrazioni….. Tutto ciò rende il nostro tempo propizio e insieme faticoso.
Propizio perché nessuno può più illudersi di trovare conferme e di consolidare il proprio pensiero chiudendosi in se stesso, anche se molte persone e molti gruppi si illudono ancora di poterlo fare, infatti i fenomeni di fondamentalismo sono diffusissimi sul pianeta.
Faticoso perché non è facile mettere a confronto seriamente culture, religioni e tradizioni diverse. Anche se qualcuno ci vuole far credere che questo sia facilissimo e addirittura inscritto nella natura umana. Aprirsi all’altro, aprirsi all’universo è giustissimo, però bisognerebbe riconoscere la difficoltà di questo processo. Ce ne rendiamo conto quando nella vita personale incontriamo qualcuno che la pensa diversamente da noi. Infatti siamo tutti tendenzialmente un po’ fondamentalisti, cioè una parte di noi psicologicamente tende alla difesa e all’attacco, a vedere il nemico nella diversità. Credo che nel prossimo secolo sarà opportuno rendersi conto che il confronto su cose straordinarie, come le proprie fedi e credenze, è certamente propizio, anche se difficile. Ecco perché la qualità fondamentale che questo tempo ci richiede è l’umiltà, cioè il riconoscere, tornando ogni volta nel più profondo di se stessi, di non sapere tutto, di non avere conoscenze onnicomprensive, di essere tutti dei principianti. Su questo i sapienti di tutte le culture concordano: essere principianti è sapere ricominciare sempre da capo. È il realismo della sapienza. È il realismo che apre a quella flessibilità che ci consente poi la curiosità per l’altro, per chi, cioè, dice cose che noi ancora non sappiamo. Se noi ci consideriamo principianti e non maestri, saremo curiosi di arricchire la nostra conoscenza e di approfondire quello che crediamo di credere o pensiamo di sapere. E’ in questa prospettiva di dialogo, di confronto, di riflessione, di ricominciamento e di umiltà che io vorrei proporvi in queste giornate alcune riflessioni che possano interagire, integrarsi positivamente con l’esperienza dello yoga e con le aspettative profonde che ognuno porta dentro di sé.

2. Io oggi farò una sorta di introduzione generale al tema che abbiamo chiamato “Discernere tra il vecchio e il nuovo l’umanità nascente”.
Questo titolo indica che la prospettiva, all’inizio, sarà storica: mi chiederò cioè come facciamo a discernere oggi, dentro di noi e nel teatro planetario (che ormai viviamo in diretta e in simultanea) i segni di una nuova figura di umanità. Vedremo come descrivere o intuire una nuova figura di umanità che si sta faticosamente configurando proprio attraverso il tramonto, la crisi, la consumazione, a volte dolorosa, delle varie figure storico-culturali che hanno dominato e si sono affermate sulla terra in questi ultimi cinquemila anni (per un approfondimento si cfr. M. Guzzi, La nuova umanità – Un progetto politico e spirituale, Ed. Paoline 2005).
Il discernimento che io proporrò è calato dunque nel nostro presente storico, percepito nella sua straordinaria singolarità. In questa nostra fase, infatti, molti cicli storici si stanno compiendo. Parliamo perciò di un’epoca post-industriale: si chiude infatti il ciclo delle grandi rivoluzioni industriali e delle ideologie che le hanno accompagnate. Il ciclo per intenderci 1789-1989 nel quale la maggior parte degli umani della nostra parte del pianeta si identificava prevalentemente con l’azione politica intesa come “realizzativa” della nostra umanità.
Si sta compiendo poi l’intero ciclo della modernità: parliamo infatti di postmoderno.
Il ciclo della modernità è iniziato alla fine del ‘400, e si è basato sulla ricerca razionale dei fondamenti della conoscenza e della convivenza, e ha conosciuto poi il suo “mercoledì delle ceneri” lungo tutto il ventesimo secolo, quando la razionalità occidentale ha scoperto non solo i limiti, ma anche la catastroficità dell’uso unilaterale dei suoi mezzi. Cioè ha scoperto dove possa portare una razionalità egoica, egocentrata, che non comprenda i propri limiti e il proprio sfondo di provenienza.
Noi facciamo infine cominciare la storia nel suo complesso con la nascita della scrittura sumerica (3300 a.C.) e questi 5300 anni sono il più ampio ciclo che si starebbe compiendo. Pensatori del ‘900 come Nietzsche o Heidegger hanno tentato di riflettere su questo evento; inoltre il teologo indo-spagnolo Ramon Panikkar parla da tempo della fine della storia, e mi permetto di ricordare che il sottotitolo del mio primo libro La Svolta (Jaca Book 1987) era proprio La fine della storia e la via del ritorno. Questa storia è stata il ciclo delle identità belliche: basta che leggiamo i libri di storia e dai Sumeri in poi troviamo una serie di civiltà che si sono affermate bellicamente l’una contro l’altra sostituendosi al potere e al governo del mondo.
Quest’intero ciclo dell’uomo bellico trova la sua crisi nel 900, cioè quando i poteri di distruzione della guerra sono diventati tali da mettere in crisi l’idea che una civiltà o una cultura si possa rafforzare attraverso il sistema bellico. Dopo Hiroshima e Nagasaki, dopo cioè l’uso della bomba nucleare la guerra diventa fredda, perché diventa impossibile uno scontro finale tra due civiltà attraverso l’uso di tutti gli strumenti di distruzione disponibili. Oggi si incomincia a riflettere perciò sulla fondazione di una civiltà basata sulla pace, spesso dimenticando che quello di cui parliamo è una svolta antropologica. Non è una cosa da poco che si realizza con un po’ di buona volontà: bisogna rendersi conto che chiediamo a noi stessi un mutamento radicale. Tutte le civiltà della terra si sono fondate sul sangue degli eroi o sui sacri confini da difendere o, comunque, sull’idea fondamentale già presente nella Grecia classica, che noi siamo la civiltà mentre gli altri sono semplicemente barbari. Questa parola “barbari” nasce in Grecia dove si chiamavano barbari quelli che parlavano in una lingua incomprensibile. Questo pensiero si sviluppò d’altronde anche in altre parti (India, Africa,…): noi siamo gli uomini veri con i pieni diritti umani, gli altri invece sono i barbari senza diritti; più ci si allontana da noi, più ci si allontana dall’umanità.

3. Ecco perché sosteniamo di essere in un periodo di trasformazione così profonda e radicale della natura umana. Potremmo riassumere questa prima parte del nostro discorso così: la struttura umana che si dà un’ identità culturale, religiosa, e personale chiudendosi in se stessa e quindi contrapponendosi all’altro (io sono io perché sono contro di te, io sono io perché mi separo da te), egocentrata e quindi bellica, sta tracollando paradossalmente proprio nel momento del suo massimo trionfo, mostrando di essere un principio di insostenibilità. Questo è il paradosso del XX secolo. Gli umani stanno anche sperimentando personalmente che, se si “egocentrano”, la vita diventa insostenibile. Ecco quindi la psicopatologia sempre più grave presente nel nostro tempo e direi anche il senso quasi terapeutico della nostra analisi che le va incontro e tenta di arginarla e di interpretarla.
Non possiamo più costruire una famiglia, non possiamo più costruire uno stato, una nazione, non possiamo più costruire nulla se non a costo di morti sempre più evidenti e crescenti.
Non c’è bisogno oggi di essere profeta, basta essere un giornalista, basta seguire la cronaca terribile e mortuaria: racconta il mondo dell’ego che tracolla e persiste nel proprio dominio, tra catastrofi, assassini, orrore e varietà. Ecco l’agonia, la schizofrenia dominanti, sappiamo infatti che l’ego è intrinsecamente un principio folle, è un principio di identità fondato sulla separazione da sé. Leggiamo alcune parole del maestro di Yoga Gérard Bliz: “Viviamo in un’epoca di automatizzazione e meccanizzazione del pensiero e dell’azione in cui lo scisma che è in noi comporta una serie di grandi malattie di cui non si riescono a definire l’origine e la terapia, una situazione psicosomatica sempre più grave e insormontabile”. E ancora: “L’uomo deve scomparire come ego, deve tornare alla sua vacuità, spogliarsi delle sue proiezioni mentali, non difendere sempre l’immagine che si è fatto di sé, vivere pienamente, coscientemente, umilmente. Il Cristo dice ‘essere poveri in spirito’.”

4. Quotidianamente sperimentiamo nelle nostre vite che egocentrandoci ci distruggiamo e questa evidenza dolorosissima ci sta spingendo verso una scelta. Potremmo dire che il grande tempo che stiamo vivendo sia mosso da due motori apparentemente opposti ma sinergici. Tutti vogliamo cambiare in qualche modo perché sentiamo un forte malessere crescente, ma anche perché intuiamo una novità di vita, una possibilità di essere più pienamente umani. Questo malessere e questa prospettiva sono un germe interiore che preme. Nel XX secolo ogni manifestazione ed espressione della vita (arte, fisica, filosofia, psicoanalisi, letteratura, da Freud a Nietzsche, da Kandinskij a Rimbaud, Heidegger, Einstein etc.…) ha dissolto la presunzione dell’ego, mettendo in evidenza che il nostro io egocentrato, che vuole oggettivare la realtà e rappresentarsela per dominarla, è un punto di vista molto relativo. Ci dicono tutti che ben altra è la possibilità di conoscenza dell’uomo, ben altra è la possibilità di relazione con la realtà e con se stessi. E ci dicono anche che la unilateralità di questo sguardo può essere terribilmente distruttiva. Le due guerre mondiali, i campi di concentramento sono aspetti che evidenziano questa distruttività interna. Voglio leggervi a questo riguardo alcune righe di uno dei più grandi pensatori del ‘900, Martin Heidegger. Egli, guardando la realtà dell’uomo così com’è, arriva a considerazioni che per un praticante di yoga dovrebbero essere abituali. Scrive: “innanzitutto io non sono io nel senso del me stesso, ma sono come gli altri nella maniera del “si”: penso come si pensa, parlo come si parla, ho le opinioni che si hanno”.
E’ a partire dal “si” ( frutto del condizionamento sociale, delle idee che vengono dalle altre persone, dall’ambiente, dalla società) che ci scopriamo alienati e da qui possiamo iniziare un lungo cammino di decondizionamento. La nostra autenticità la possiamo realizzare solo attraverso la riduzione degli oscuramenti, dei condizionamenti e delle contraffazioni con cui l’esserci si rende prigioniero di se stesso.
Nonostante queste grandi acquisizioni teoriche e tanti allarmi, sappiamo tutti che la figura di un’umanità egocentrata continua a dominare su questa terra, devastando i nostri cuori, desertificando anime e città, prostrando l’umanità in una girandola di sofferenze e orrori. L’umanità egocentrata sta vivendo la sua crisi terminale e sta consumando ognuno di noi che, essendo una cellula di questo grande corpo, possiederà dentro di sé una specifica configurazione egoica in stato terminale. Ognuno di noi infatti è anche questo: un io egocentrato paralizzato nella sua crisi terminale. Ognuno di noi è chiamato perciò a riconoscere in maniera sempre più profonda la propria personale modalità di alienarsi. Questo si può realizzare, a mio parere, attraverso un lungo lavoro di discernimento che riconosca sempre più profondamente le forme ramificate in cui continuiamo, il più delle volte inconsapevolmente, a dare corpo al nostro io alienato. Solo così riusciremo a liberarci dagli automatismi e a far spazio a tutto ciò che in noi sta emergendo: una figura nuova di umanità appunto, più libera e più consapevole, che si sta facendo strada nel panorama planetario.
Con la fine delle ideologie storico-politiche, per le quali cambiare il mondo voleva dire far fuori i cattivi, ci rendiamo conto che l’elemento politico-storico della trasformazione è indissolubile da quello psicologico-spirituale. Se non cerchiamo la nostra trasformazione personale, non possiamo diventare una cellula sana del corpo, ma saremo soltanto un’altra metastasi.

5. In questo contesto la domanda che emerge è: come possiamo favorire questa reazione negli uomini, come possiamo contribuire a questa trans-formazione. La risposta iniziale credo che consista nello sviluppare una consapevolezza più profonda della crisi che stiamo vivendo, rileggendo senza paura gli eventi storici e le filosofie del secolo passato.
Avere una consapevolezza adeguata è un lavoro culturale e spirituale. Anche culturale cioè. Ciò va detto con chiarezza. Ad esempio talvolta noi occidentali, senza conoscere a fondo l’Oriente, ne banalizziamo il pensiero, riducendolo ad una sorta di alibi per la nostra ignoranza, ma basterebbe conoscere la filosofia induista o buddhista per sapere che le riflessioni di queste tradizioni sono spesso più profonde e complesse di quelle occidentali. ( i monaci tibetani si confrontano fin dalla giovanissima età per sostenere dialetticamente tesi di teologia.)
Per sviluppare un certo discernimento del nascente credo che il lavoro sia molto complesso e debba coinvolgere tre livelli fondamentali della formazione: psicologico, mentale, e culturale, non inteso come intellettualismo, ma come pensiero, e quindi spirito. Il pensiero infatti è essenzialmente spirito. Occorre anche aiutare la persona in trans-figurazione nel suo specifico travaglio psichico.
Questo discernimento, questa dinamica di lasciare emergere il nuovo richiede due movimenti interrelati: la ricezione dei lineamenti del nuovo volto dell’uomo e il riconoscimento e il dissolvimento progressivo dei tratti di ciò che in me è morente.
Vuotare per lasciarsi ricolmare.
Svuotare la mente, svuotare il cuore, svuotare lo sguardo, svuotare perché il nuovo avvenga, possa trovare lo spazio. Questo è in realtà un movimento ciclico, a spirale, perché più diventerò ricettivo, più imparerò a ricevere la luce che mi trasfigura, e meglio saprò discernere ciò che è alienato in me e nella mia cultura, infatti il processo è micro e macro, personale e storico-culturale nello stesso tempo. Più io imparerò a dis-identificarmi dalle mie parti belliche, difensive, dai miei automatismi, dalla mia immagine di perfezione, cioè dal mio personalissimo inferno, e maggiore luce potrà venire dal centro interiore.
Il circolo virtuoso della trasfigurazione si sostituisce così al circolo vizioso della ripetizione delle idee, che ripete infinitamente i codici della propria dannazione.
Questa coazione a ripetere è una grande scoperta che anche Gérard Blitz tratta: “lo yoga ci permette di calmare e controllare il mentale con tutti i suoi automatismi: qui qualcosa avviene, qui il nuovo ha nascita.” Il nascente può venire fuori.
In questo ciclo di ricezione e svuotamento però la ricezione ha una sua priorità, che nello yoga è la priorità dell’ascolto. Se io non ricevo, se io non ho già in me la percezione del nascente, non potrò nemmeno avere la forza e la lucidità per dissolvere il morente. “Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato, se già non fossi dentro te” dice Dio a S. Agostino.

6. Tornando ad un orizzonte storico, più emerge in questo tempo la nuova configurazione umana dentro noi e più impariamo a giudicare disastrosa la vecchia realtà.
Qui ci sarebbe da fare riferimento ad alcune riflessioni molto interessanti che Derrida ha fatto prima di morire, riguardo all’attuale crescita della richiesta di perdono da parte non più degli individui ma da parte delle istituzioni culturali e religiose. E’ come se l’intera umanità si rendesse conto dei crimini che ha commesso contro se stessa. Questo reato non a caso è stato ideato a Norimberga, in quanto non esisteva prima. Derrida sostiene che l’umanità sembra aver bisogno di chiedere perdono per tutto ciò che le deviazioni egoiche hanno generato negli scorsi millenni, ecco perché anche la chiesa cattolica ha sentito il bisogno di chiedere perdono. Aspettiamo una analoga richiesta di perdono anche da parte di altre religioni o ideologie, come ad esempio da parte di alcune scuole di Buddismo Zen Giapponese, perché, come sapete, sono state forti sostenitrici dell’espansionismo imperiale nipponico.
Questa dialettica del nuovo che sostituisce il vecchio o del nuovo che in qualche modo è migliore del vecchio, questa dialettica che si fa dialettica storica e non soltanto spirituale è, direi, la caratteristica fondamentale dell’epoca moderna. Tutta l’epoca moderna è nata così e si è presentata come una nuova umanità che emergeva e voleva sostituire la vecchia, una umanità che pretendeva di essere superiore alle antiche, che pretendeva di giudicare le civiltà antiche e che pretendeva di esser portatrice di una verità, di una capacità di conoscenza, e di una capacità di organizzare gli uomini secondo una giustizia che ancora sulla terra non si era avuta.
Noi sappiamo bene che la modernità nel suo processo ha portato dentro di sé anche momenti molto, molto oscuri, però io credo che ci troviamo in una fase fondamentale della storia in cui siamo chiamati a purificare alcune linee di tendenza fondamentali della modernità, che restano nella sostanza ancora valide. L’idea di questa nuova umanità, più libera e più unita, per esempio, resta ancora valida, il cammino che è stato fatto finora però richiede una purificazione: una profondissima purificazione.

7. Quindi ci troviamo anche dal punto di vista del rapporto tra Occidente e Oriente in una posizione difficile e insieme molto feconda, in quanto a mio parere l’Occidente è chiamato a ricomprendere che cos’è, chi siamo, quali siano i valori e le prospettive che portiamo nella nostra storia, aprendo però questo progetto ad una purificazione inedita, ad uno scioglimento degli elementi egoici che hanno accompagnato il processo di modernizzazione di almeno cinque secoli. E’ proprio qui che, secondo me, si inserisce il provvidenziale confronto con le tradizioni orientali. In questo passaggio, che può risultare molto difficile, Gérard Blitz ci dice che lo yoga ci deve aiutare a “correggere i nostri eccessi, gli effetti della nostra stessa civiltà.” Gli insegnanti di yoga cioè, dice ancora Gérard Blitz, non devono “fare nulla che possa fare supporre agli allievi che vi sia una sostituzione di cultura, perché sarebbe una mascherata. Lo yoga è una proposta favolosa, ma sarebbe un disastro chiedere alle persone di cambiare la loro cultura perché anche se lo volessero non potrebbero.” La cultura infatti è qualcosa di intrinseco, di sostanziale, come il terreno sta all’albero, come il paesaggio sta ad una linea di vitigni. Noi dobbiamo perciò comprendere in un modo nuovo chi siamo e quale sia la nostra vera cultura, che cosa significhi essere occidentali, che cosa significhi essere ebraico-cristiano-occidentali. Gérard Blitz ci dice anche che “la società occidentale ha bisogno dello yoga per aiutare la gente a vivere e non a sopravvivere. (…) Non dimentichiamo che il nostro motto, scritto nelle leggi e profondamente nei nostri cuori, è ‘libertà, eguaglianza, fratellanza’. Ed è per questo che non vedo la necessità di un’altra cultura diversa da quella nella quale vivo”. Piuttosto per noi si tratta di comprendere profondamente e in modo nuovo che cosa significhi essere occidentali ebraico-cristiani, utilizzando tutti gli strumenti che le tradizioni spirituali ci offrono per purificarci dagli elementi egoici, dagli elementi bellici che hanno accompagnato lo sviluppo a volte catastrofico della modernità. In questo modo potrà emergere un volto inedito, pacifico, spirituale dell’uomo. Quindi il discernimento del nascente, a cui siamo chiamati, che è un lavoro tanto interiore quanto culturale, richiederà un forte impegno di purificazione per tutte le componenti spirituali e culturali che oggi vanno a confluire l’una nell’altra. Dovremo purificare senza rimuovere, ma rielaborando, e questo è il difficile. Questa è una lezione molto importante che ci viene dalla psicoanalisi: non si sfugge al passato rimuovendolo, non ci si libera dalla storia tremenda che ogni famiglia porta con sé scappando in Tibet ( “…. porterai nello zaino insieme all’hashish la mamma che ti dice di metterti la maglietta ….”).
Se questo vale per le storie delle nostre famiglie, tanto più è valido per la storia della nostra civiltà. Noi dobbiamo entrare nell’ottica di un lavoro spaventoso sull’intera cultura del mondo occidentale. Dobbiamo riuscire a rielaborare l’intera nostra storia per arrivare alla “digestione”, allo scopo di liberare gli elementi evolutivi profondi che essa porta dentro di sé, compresa l’idea vitale di una nuova umanità storica, che non è raggiunta soltanto misticamente dall’individuo, ma è qualcosa che si fa cultura planetaria. Questa oggi non è un’opzione morale ma è una questione di sopravvivenza. Ecco l’apocalitticità dei tempi, la loro bellezza e la loro difficoltà. Non possiamo stare tranquilli. La vertiginosa accelerazione del processo che porta l’ego a manifestare apocalitticamente la sua insostenibilità ci spinge ad inventarci qualcosa d’altro. E questa è la grandezza dell’umano, che inventa sempre qualcosa di nuovo. Ciò fa ridestare anche lo spirito occidentale nel senso migliore e non più geografico. Infatti l’Occidente non è più un’area geografica, ma è un’ epoca del pianeta. Siamo tutti occidentali: italiani e musulmani, talebani e americani. Stiamo tramontando tutti come figurazioni egoiche, come civiltà egoiche. E tutto ciò che caratterizza le nostre culture in questo senso restrittivo e chiuso scomparirà prima o poi. Il problema è: a quali costi di sofferenza? Quanto dovremo soffrire per capirlo?
Siamo tutti in Occidente orma e solo Bin Laden può ancora illudersi che l’Occidente sia una tra le tante culture. L’Occidente non è una cultura, è un’ epoca nella quale i popoli europei sono stati i primi a subire le trasformazioni più terrificanti, a partire dalla cultura greco-romana o da quella cristiano-medievale. Quest’ultima è stata la prima a subire modificazioni sconvolgenti quando, a partire dal ‘400, l’uomo è stato messo al centro e, con un travaglio di almeno 400 anni, sono state poste, tra l’altro, le fondamenta dello stato laico. E noi dovremmo capire che siamo tutti dentro questo travaglio.

8. Una delle difficoltà di questo tempo sarà nel trovare la misura e la connessione tra il lavoro personale, il gruppo spirituale e il processo storico. Dobbiamo evitare entrambi gli unilateralismi: quello ideologico (che si perde nel fare le marce), e quello spiritualistico interiorizzante (che ci illude di poterci salvare senza curarci del mondo, come se il mondo non fosse dentro e fuori di noi). Concluderei con il pensiero di Gérard Blitz che ci riporta però alla priorità del lavoro interiore, del lavoro che comincia dal cuore perché è sempre da lì che si deve partire. L’equilibrio tra azione interna e azione esterna possiede un punto di priorità che è l’ascolto, da qui il processo va innestato come trasformazione profonda. Nella tradizione giudaico-cristiana è Dio che indica cosa fare, altrimenti rischi di fare egoicamente. Meister Eckhart diceva: “sei tu che rendi sante le opere, tu sei il canale, non sono le opere che ti renderanno buono o santo, ma sei tu che devi santificare le opere e quindi costantemente trovare lo stato di santità, in cui il tuo fare è comunque fare il bene perché non lo fai tu.” Simone Weil diceva: “L’unico bene che realmente fai è quello che fai senza nemmeno accorgertene, senza saperlo”. Anche secondo il pensiero di Blitz, il problema dell’uomo sulla terra oggi è molto più nella trasformazione dell’individuo che nella trasformazione della società.
Dobbiamo ricominciare dal cuore sapendo che il cuore dell’innamorato si mette sempre all’opera.
Esistono due modalità di vivere e di intendere l’identità umana. Esiste una modalità egoica che concepisce l’identità come costruzione di una difesa, di un fortino mentale, che serve a “distinguermi da te, separarmi da te, contrappormi a te.” L’altra modalità, di cui parliamo, è una grande svolta antropologica che si riferisce ad un altro modo di intendere l’identità umana: “sono tanto più me stesso, quanto più entro in relazione con te, dialogo con te”, sono in un’identità relazionale e trans-figurante. Questa modalità di vivere l’identità non nasce dal nulla, ma ha anch’essa antichissime radici, che sono giudaico-cristiane, e il modello di identità è l’esodo. Abramo, il padre, viene mandato da Dio fuori dalla sua città e quindi perde la sua identità naturale. La sua nuova identità è proiettata in una terra promessa che non sa nemmeno cosa sia, quindi è un pellegrino, un nomade. Queste radici ebraico-cristiane sono state poi il nutrimento dell’idea moderna di trasformazione. Pico della Mirandola, uno dei padri della modernità, scrisse alla fine del ‘400, che l’uomo è come Proteo, in continua trasformazione. Dio non gli ha dato alcuna identità fissa come agli altri animali e gli ha detto: “Tu sarai ciò che vorrai essere. Se vorrai essere bruto, bruto sarai. Se vorrai essere divino, divino sarai.”
La trasfigurazione storica ha il suo sviluppo e arriva fino ad oggi, a questo inedito passaggio cruciale. Il trans-figurante che è in noi va verso forme inedite e quindi anche pericolose di umanità. Ma, come dice Hoelderlin, solo dove c’è il pericolo cresce anche la salvezza.

Seconda Lezione

L’emersione del Nascente
Dall’io ego-centrato all’io in conversione

1. Ieri abbiamo tentato molto sommariamente di comprendere la specificità di questa nostra fase storica, che diventa poi la specificità e la singolarità della fase biografica che ognuno di noi sta attraversando. Se io non avverto, nella mia vita, di essere in una fase di svolta radicale, non sono evidentemente in sintonia con quello che sta avvenendo sul pianeta. Oggi e domani tenterò di dare qualche piccolo elemento intorno a come favorire il processo di cui stiamo parlando, come favorire l’emersione in me, in ciascuno di noi e quindi a livello culturale e sociale, di una figura inedita di umanità che sappia vivere la propria identità non più come difesa e attacco, ma come apertura e trans-formazione. Se ieri abbiamo iniziato sottolineando l’importanza dell’umiltà, in questa fase di confronto tra le culture e tra le sapienze, ancora più oggi dobbiamo mantenerci in questo spirito umile nel trattare con molto tatto e moltissima prudenza alcuni elementi che possano favorire il processo.
Abbiamo detto che dovremo elaborare delle sintesi nuove di tanti filoni conoscitivi della storia che arrivano fino a noi. Ideare, incarnare delle sintesi nuove è molto arduo, tanto più quando ciò che è da sintetizzare è così ricco, così vario, così complesso. Ecco il motivo della necessità di una ricerca costante, umile, attenta e paziente.
Quelli che tenterò di proporre come elementi, a mio giudizio fondamentali, da integrare in un processo di trasformazione oggi, e sottolineo l’oggi, sono elementi tratti da un lavoro concreto che svolgo ormai da vari anni con gruppi di trasformazione in cui tentiamo di mettere in pratica, appunto in uno spirito di umile sperimentazione e di verifica, le sintesi di cui parleremo (Cfr. M. Guzzi, Darsi pace – Un manuale di liberazione interiore, Ed. Paoline 2004).

2. Siamo partiti ieri dalla comprensione della particolarità di questa fase storica, e abbiamo detto che questa singolarità può definirsi così: la configurazione egoica, egocentrata, di umanità che, a livello storico dominante, ha governato finora la storia umana, dando vita a tutte le civiltà che sono in definitiva fondate sulla guerra, questa figura antropologico-culturale si sta tragicamente consumando davanti agli occhi di tutti, si potrebbe dire in simultanea diretta planetaria. Essa tramonta in noi e sul pianeta, tra guerre mondiali e crisi psichiche personali, sempre più gravi e dolorose, tramonta cioè nel mondo e nell’anima simultaneamente, essendo appunto una struttura tanto interiore quanto cosmico-storica, e cioè produttrice di mondi.
Questo tramonto, questo tramontare della figura egoica dell’umanità potrebbe essere interpretato anche come il senso occulto di ciò che noi chiamiamo Occidente, non più inteso però come area geografica euro-americana, ma più propriamente come epoca della trans-figurazione, epoca del tramonto appunto di una figura intera di umanità e della faticosa emersione di una nuova figura. In tal senso, come abbiamo detto, siamo tutti occidentali, siamo tutti tramontanti, Cristiani Indù Americani Afgani Iracheni Buddisti, tutti tramontanti nel senso che quel tanto di configurazione egoica, che è interna a tutte queste figure culturali, si sta letteralmente liquidando.
Qui volevo citare un’altra frase di Heidegger che in un saggio del 1946, diceva: “Siamo forse alla vigilia della più mostruosa trasformazione della terra intera e del tempo dello spazio storico a cui essa è legata? Siamo alla vigilia di una notte che prelude ad un nuovo mattino? Siamo in cammino verso il luogo storico di questo crepuscolo della terra? Sta nascendo solo ora questo luogo della sera? Questo Occidente diverrà, al di sopra dell’Occidente e dell’Oriente, il luogo della storia futura più originariamente conforme al destino? Possiamo già dirci occidentali nel senso rilevato dal nostro passaggio attraverso la notte del mondo? Siamo noi veramente gli ultimogeniti che siamo? Ma siamo anche nello stesso tempo i precorritori dell’aurora di una ben diversa epoca?” Belle domande! Davvero domande cruciali!

3. Allora come favorire l’emersione di questa nuova figura di umanità?
L’idea centrale del lavoro che noi facciamo è che l’umanità nascente in noi abbia bisogno, per emergere, per essere favorita, di una formazione integrata, una formazione cioè che integri livelli formativi che normalmente oggi sono ancora separati. Come abbiamo già detto ieri, parliamo del livello formativo culturale e mentale, della condizione psicologica personale e della formazione spirituale. Questi tre livelli sono scissi, quasi sempre molto separati: si va all’Università per farsi una cultura, si va dallo psicoterapeuta per risolvere i problemi con papà, e si va in un gruppo spirituale cristiano o magari buddista a “fare la spiritualità”. Questi tre livelli difficilmente si integrano perchè, nel momento in cui proviamo ad integrarli, le cose si complicano non poco. Lo sperimentiamo tutti i giorni nei nostri gruppi: l’integrazione implica un processo radicale di conversione dei livelli di cui parliamo.
Se io, per esempio, integro seriamente l’elemento culturale contemporaneo con le mie pratiche spirituali, inevitabilmente arriverò alla necessità di fare delle scelte, mi renderò conto che alcune pratiche liturgiche, parlo anche della religione cristiana, non sono più reali nelle forme e nei linguaggi in cui si esprimono, cioè non corrispondono più alla mia anima, alla mia estetica, perchè non corrispondono più all’estetica del tempo. Tutto ciò perchè la liturgia cattolica contemporanea non ha assorbito il ‘900 poetico, non ha assorbito l’800 e il ‘900 estetico, pittorico, per cui tu entri in queste chiese e sono spesso orribili, ti fanno vedere delle immagini che non parlano. Il Cristianesimo ha sempre espresso un’arte enorme, quando era vivo, ha espresso l’arte del suo tempo. Quando Duccio espone la sua Maestà a Siena, è l’intero popolo di Siena che accompagna in corteo la Maestà nella Cattedrale, perchè lì si manifesta tutta la bellezza del proprio credere.
L’integrazione dei livelli formativi induce dunque ineluttabilmente una profonda trasformazione, conversione e purificazione di ognuno di essi: questo processo è esso stesso la genesi di una nuova cultura. E’ facendo questa fatica che noi partoriamo una nuova cultura, cioè la nuova umanità di cui stiamo parlando, che è una nuova figura di umanità e quindi una nuova cultura, un nuovo linguaggio comune che si esprimerà come arte, come fede, come diritto, come organizzazione politica, come cultura appunto nel senso antropologico.
Questa faticosa integrazione produce quella che io amo chiamare una semplicità di secondo grado. Quello che arriva a noi, il fiume di sapienza è immenso. Diceva già Rimbaud: “Tutte le storie del mondo precipitano adesso in uno stesso punto”. Se guardiamo una città occidentale oggi è come un grande calderone planetario, c’è tutto, dalla bottega dello yoga a quella dei Sioux, alla cucina tailandese, tutto il mondo che si mescola. Quello che però viene richiesta urgentemente è una distillazione, è distillare goccia a goccia una semplicità di secondo grado. Che vuole dire di secondo grado? Vuole dire una semplicità che porti dentro di sé, nel suo dirsi, nella sua parola, ma senza nemmeno doverle ricitare continuamente, tutte queste tradizioni, tutta questa forza. Questa è una distillazione che possiamo fare soltanto nel profondo del nostro essere, con un lavoro continuo che sarà di varie generazioni. Ma è questo ciò che noi tentiamo di fare, estrarre un linguaggio semplice che però faccia sentire alla persona che nulla è stato rimosso. In quello che io vi sto dicendo adesso, ad esempio, c’è dentro l’arte astratta, c’è la fisica quantistica, c’è tutta la filosofia del ‘900, c’è un confronto costante con le sapienze orientali. Non c’è bisogno che io ad ogni parola faccia dieci note, lo potrei fare, ma non serve a niente. Questa è semplicità di secondo grado, è un ricordare dimenticando. Bisogna dimenticare molto e ricordare molto, ricordare ciò che realmente serve alla trasformazione, in questo momento. Anche qui, come capite, necessita molta umiltà, moltissima fedeltà cioè alla terra, all’humus, all’uomo. Umiltà ed umorismo hanno la stessa radice: quindi anche un po’ di comicità è un segno di umiltà, tutti i saggi l’hanno più o meno detto, saper ridere di sé, non con cattiveria, non con sarcasmo, ma per la consapevolezza dell’immenso compito che svolgiamo, in gran parte senza esserne assolutamente adeguati.

4. Abbiamo visto che noi ci rendiamo conto, nel nostro lavoro autoconoscitivo, di dovere ogni volta partire da uno stato sostanzialmente alienato, che abbiamo chiamato io ego-centrato, ma che si può definire in tanti modi.
Il processo di trasformazione che noi tentiamo di favorire passa poi attraverso tre ulteriori stati dell’io, tre stati dell’anima che, tra oggi e domani, cercheremo di descrivere e di conoscere.
E’ evidente, per chiunque faccia un lavoro di autosservazione interiore, che la successione di questi stati non è assolutamente lineare. Posso benissimo avere una grande pace, fare una bella meditazione, raggiungere uno stato di quiete, in cui tutto sembra aperto e un minuto dopo precipitare in uno stato di oscuramento egoico profondissimo.
L’alternanza fra gli stati, o l’oscillazione fra gli stati, è una cosa evidente a chiunque si osservi con serena pacatezza. Quindi il percorso che noi disegneremo non è linearmente cronologico, ma delinea piuttosto una “protensione”, cioè dall’io egocentrato, cercando costantemente di abbandonare questo stato illusorio, ci protendiamo verso uno stato di identità reale, passando per due stati intermedi. In estrema sintesi e anticipando il percorso: chiameremo il primo stato della trasformazione io in conversione. Esso si instaura in noi nel momento stesso in cui, per esempio, ci sediamo per fare la meditazione, chiudiamo gli occhi e iniziamo ad osservare dentro di noi, questo è già entrare in conversione.
Poi parleremo del secondo stato, l’io in relazione, e cioè dello stato di acquietamento silente cui giunge ad un certo punto l’io in conversione, e da cui con libertà può entrare in relazione con la fonte infinita della propria infinità. Vedremo domani come questo passaggio sia decisivo, come da questa relazione con la fonte del mio essere, con il principio della mia rigenerazione, nasca, cresca e si potenzi la mia identità liberata, l’ultimo stato dell’io vero, in un processo di rivelazione continua o di fioritura continua che noi non governiamo, ma viviamo e contempliamo nello stesso tempo.
Questo è il ciclo personale della trans-figurazione, che però possiede anche una sua temporalità universale. E’ infatti un’intera figura antropologica ego-centrata che, appunto, sta tramontando ed in questo suo tramonto ci spinge verso la trans-figurazione, la liberazione.

5. Tenendo conto di questo continuo passaggio che sperimentiamo tra gli stati della nostra trasformazione, ora mi soffermerò un po’ su ciascuno di loro, partendo proprio dall’io in conversione, su cui ci soffermiamo specialmente nel lavoro psicologico. Il lavoro psicologico consiste infatti nel facilitare la conoscenza più precisa delle forme del nostro ego. Il lavoro psicologico dev’essere d’altronde sempre ben selezionato, e cioè non sono tutte le psicologie o le psicoanalisi o le psicoterapie che vanno integrate, ma solo quegli specifici strumenti che siano realmente utili al processo. E’ proprio la fatica dell’integrazione tra i diversi livelli formativi che mi aiuterà a capire quali esercizi psicologici, quali strumenti psicoanalitici siano realmente utili alla mia trans-figurazione. Allora questi strumenti ben selezionati, e lo sperimentiamo costantemente nei nostri lavori, possono accelerare e approfondire moltissimo il processo di riconoscimento dei modi in cui io ordinariamente mi alieno. E perchè? Perchè ci aiutano a risalire all’origine della distorsione, l’origine psicologica naturalmente, e quindi alla situazione familiare iniziale. Il nostro ego ha infatti una sua storia precisa, una storia biografica precisa, che va rielaborata, altrimenti rischia di diventare un concetto astratto anche l’ego. L’ego, il mio ego, il mio modo di forzarmi, il mio modo di difendermi dalla vita, la mia incapacità di amare, la mia paura dell’intimità e quindi dell’amore, hanno una storia precisa che inizia nella nostra magione domestica, a livello psicologico, hanno una radice biografica precisa che va individuata.
Nei nostri gruppi perciò per alcuni anni cerchiamo di comprendere perchè tendiamo a comportarci in quel preciso modo distruttivo. Perchè io continuo ad essere falsamente accondiscendente, sempre e con tutti, a farmi zerbino, sempre sorridente, sempre pronto a risolvere i problemi di tutti e come mai, facendo questo, non ho ottenuto altro che calci e rifiuti? Perchè io mi forzo e violento la mia natura, fingendomi forte, quando in realtà dentro di me ho un terrore spaventoso, un senso di insicurezza spaventoso, un senso di inferiorità spaventoso, perchè? Come mai questo mio indurirmi, questo mio fingermi sicuro, Ercolino sempre in piedi, questa forzata e dolorosissima leadership?
Le maschere, le modalità di alienazione, si dividono in tre grandi famiglie: c’è un’alienazione, un mascheramento del tipo potere, leadership, competenza; c’è un mascheramento del tipo accondiscendenza, quelli “sempre sì”, sempre sorridenti; e c’è un’alienazione del tipo falsa serenità, falso distacco, falsa spiritualità, di chi dice: “i problemi non mi toccano, io sono yogico, sto a posto”, ma poi dentro gli viene l’ulcera, o gli attacchi di panico. “Come mai mi viene un herpes? Faccio una meditazione tanto buona da anni eppure mi viene l’herpes!”. L’ombra c’è, il mascheramento purtroppo è sempre visibile, come diceva Schopenhauer: “Tutti sanno tutto di te, tranne te!”. Lo sanno tutti, tutti ti vedono con chiarezza, sei rigido, hai paura, tutti lo vedono, magari non dicono così, dicono: “Ma quanto è antipatico quello, farà pure lo yoga, ma quanto è antipatico, ma chi si crede di essere, non dovrebbe essere più umile?”.

6. Qui siamo in ambiente yogico, e a me piace stuzzicare un po’, ma quando mi trovo in altri ambienti il problema è lo stesso. Una suora, ad esempio, dovrebbe essere l’amore di Dio incarnato, un pezzo di pane ed invece sta tutta rigida, sta tutta terribilmente irrigidita. Se tu senti a volte i racconti delle scuole delle suore ti metti paura: inginocchiamenti sui grani del granoturco, le umiliazioni più spaventose, se cadeva un po’ di minestra dovevi stare in mezzo alla sala con il piatto in testa, e così via torturando. Ma non dovreste essere testimoni dell’amore di Cristo che è morto in croce per dimostrare che l’amore divino è incondizionato? Andiamo a vedere allora perchè ti sei ridotta così: che ti hanno fatto da bambina, a chi stai ancora tentando di dimostrare di essere perfetta?
Queste sono le domande che noi ci facciamo per anni. E arriviamo a dirci: non devi essere perfetta, chi te l’ha messo in testa che devi essere perfetta? Sei una poveraccia, come me, siamo tutti dei poveracci, brancoliamo, siamo fratelli e sorelle, ci aiutiamo, non c’è bisogno di essere rigidi, non ce n’è bisogno. Un po’ di olio, oliare questa macchina, non per niente l’olio è un crisma. Lo Spirito Santo è un olio, un’unzione dello spirito, allora sii un po’ più unta, ma non untuosa, come gli ambienti clericali dove tutti sono buoni: “Cari fratelli la nostra è una famiglia”, “Ma che famiglia? Non so nemmeno come si chiama quello che mi sta accanto!”, “Siamo una comunità di fratelli in cammino!”, “Ma dove andiamo? Ditemi la meta almeno, io non l’ho capita!”.
Tutta questa ipocrisia terrificante ha una storia, ognuno di noi ha una storia per cui è diventato in parte un ipocrita, una parte di noi infatti si forza per difendersi da qualcosa o per raggiungere qualcosa. C’è una storia precisa dietro queste violenze, che noi per anni individuiamo e ognuno alla fine dovrebbe conoscere bene la propria con tutti gli effetti che ha prodotto, dovrebbe ad esempio poter dire: “io da bambino sono stato ferito nel mio bisogno di riconoscimento, non mi si riconosceva per quello che ero, non avevo diritto di essere quello che ero: questo ha creato in me il bisogno di difendermi. Come mi sono difeso? Fingendomi più forte di quello che ero, dicendo a me stesso inconsciamente <<sarò così=”” bravo=”” che=”” alla=”” fine=”” mi=”” riconoscerete,=”” sarò=”” buono,=”” risolverò=”” talmente=”” i=”” problemi,=”” renderò=”” indispensabile,=”” il=”” salvatore=”” della=”” mia=”” famiglia,=”” riconoscerete!=””>>”. Manco per niente! Non ti riconosceranno, stanne certo! Siccome poi continuiamo ad applicare il medesimo meccanismo, a fare la stessa cosa a scuola, con i compagni, sul posto di lavoro, con nostro marito, con nostra moglie, con i figli e continuiamo a cercare di essere riconosciuti forzandoci di essere sempre tanto bravi, diventiamo magari insopportabili e gli altri ci evitano, per cui non ci riconoscono e non ci accettano proprio per niente.
Questi circoli viziosi, naturalmente qui sto molto sintetizzando, vanno individuati con attenzione per anni e poi per tutta la vita, ma per alcuni anni è fondamentale farlo, perchè allora ti rendi conto di come queste strutture siano pervasive della tua personalità, ti rendi conto che tu senza accorgertene pensi proprio così, ti freghi in partenza, pensi subito le cose così, le vedi già così, le vedi già fregandoti. Ti vedi già dentro la situazione fregato, cioè forzato, non ti consenti quasi mai di essere quello che potresti essere, anche perchè non lo sai chi potresti essere in libertà. Ti sei talmente abituato a forzare la tua natura che molte cose di te non le conosci, non sai cosa veramente ti piace, a certi livelli, naturalmente stiamo parlando della parte malata, la parte sana in questa fase del lavoro non ci interessa. Spesso nei miei gruppi mi dicono “Tu vedi tutto al negativo!”; allora io rispondo “Quando lo trovano a tavola con i pubblicani Gesù dice <>”. Il medico viene per i malati non per i sani, se siete sani andatevi a divertire, questo è un ospedale, qui ci si cura, e non curiamo le parti sane, sappiamo che ci sono ma non ce ne occupiamo, qui ci occupiamo delle parti malate.

7. Rileggevo ultimamente quel bel libro di Deshimaru che mi pare si chiami “La pratica della concentrazione“, dove ci sono delle pagine sorprendenti sulla confessione. Noi spesso abbiamo del Buddismo una visione molto occidentale, molto astratta. Nel Buddismo invece la confessione è fondamentale, vuole dire rendermi sempre più lucidamente conto delle mie distorsioni: io sono spesso ipocrita, ipocrita nel senso che sono alienato, sono sforzato, non sono me stesso e, facendo questo, faccio molto male anche senza accorgermene. Quante volte abbiamo ferito inutilmente delle persone seguendo una nostra follia perfezionistica? Quante volte abbiamo ferito gli altri con una falsa accondiscendenza? Tu puoi essere falsamente accondiscendente, ma l’altro non vede la tua accondiscendenza, percepisce invece tutto il tuo rifiuto. “Gli ho dato tutto, eppure non mi vuole nemmeno vedere! Ho fatto tutto per i miei figli, eppure scappano!” Tante mamme! Ma che hai fatto? Sei sicura di avere ben chiaro quello che hai fatto? Oppure te la racconti a modo tuo? Vedete che l’io in conversione è un luogo spinoso. Noi qui ci ridiamo, ma poi, quando si fanno questi lavori, si piange molto: bene, benissimo, fa bene, poi uno è contento e sta bene perché finalmente si rilassa e può dirsi: “Basta! Mi sono rotto! Non voglio essere perfetto! Non voglio più violentarmi!” Qualunque sia la modalità in cui mi sono voluto violentare, in cui ho creduto di dovermi violentare, in quel momento è stata forse anche una salvezza, non avevo scelta. Le strategie difensive vanno rispettate infatti perché, in quella situazione familiare, non avevamo veramente scelta. Adesso però ce l’abbiamo, adesso possiamo pian pianino allentare queste cinture.
Quindi il nostro lavoro consiste nel ripercorrere infinite volte la storia di questa formazione, dalla ferita dell’amore e del bisogno che è stato non corrisposto, al modo in cui io mi sono difeso forzandomi e costruendo, almeno in parte, una personalità distorta e sofferente, nonostante tutte le apparenze. Più si procede in questo lavoro, più le nostre resistenze si acquietano, per cui impariamo ad osservarci con maggiore onestà. Le resistenze specialmente all’inizio sono fortissime, molte persone interrompono il lavoro, però, se si procede, queste resistenze pian piano si acquietano, e allora impariamo ad avere una dimestichezza misericordiosa nei confronti della nostra storia e delle storie degli altri, anche perché vediamo che sono tutte più o meno simili. Il lavoro di gruppo, in questo senso, è utile perché noi sperimentiamo una grande similitudine nelle nostre storie. Spesso soffriamo perché crediamo di essere solo noi così, di essere così strani, così sbagliati. C’è una parte dentro di noi che sta sempre a dire “ma sei proprio una frana e sei solo tu una frana, guarda gli altri, tutti meglio di te, guarda quello sta bene, quello è realizzato, quello è sposato, quello ha i figli, quello è contento, quello fa yoga, guarda come gli riesce, guarda come è bravo! “ C’è una parte che canta questa brutta canzoncina, una parte bambina che si è convinta che è così. In realtà, quando condividiamo le nostre storie, ci rendiamo conto che più o meno siamo tutti uguali, ognuno con la sua storia, ma più vai nel profondo più c’è una grande comunione. Questo accomuna nell’umiltà, nella misericordia, perché siamo tutti dei poveracci, siamo tutti feriti e tutti in via di guarigione. Questo affratella, ci fa sentire bene e tranquillizza le resistenze perché più una persona ti parla dal cuore, dal cuore sofferente, più tu sei tranquillo, allora le vibrazioni possono diventare quelle della compassione e le tue difese non hanno più bisogno di essere così rigide. Davanti a un uomo disarmato, disarmato nel profondo, è più facile disarmarsi, questo è il principio fondamentale del Cristo: ”Non resistete al male”, e il Cristo infatti non resiste, si fa uccidere e così dimostra chi è Dio, come è Dio: Dio è così! Quindi, quale è l’immagine dell’uomo vero? Quando siamo veramente uomini? Quando siamo veramente divini? Quando non abbiamo bisogno di difenderci, quando siamo inermi, paradossalmente inermi, vulnerabili: è nella vulnerabilità che c’è la vera potenza, questo è il segno della Croce, nella vulnerabilità assoluta c’è la potenza assoluta, divina non umana! Non sei tu cioè che ti devi difendere, non sei tu piccolo animale condannato a morte, che credi di essere un piccolo animale condannato a morte, che devi reggere il mondo, che devi dare un senso alle cose: non ce la potrai fare mai! Cedi le armi, arrenditi e lì trovi la forza; questo si sperimenta anche nelle posture yogiche quando un certo stato di abbandono ti dà un senso di forza, di solidità, non di debolezza.

8. Dicevo che più procediamo in questo lavoro di autoconoscimento psicologico, più talvolta riconosciamo elementi distorti proprio lì dove credevamo di essere più veri e più buoni. Questo io lo chiamo il confronto con l’ultima maschera, l’ultima maschera è quella più simile alla tua verità, talmente simile che è difficilissimo discernere. C’è un famoso affresco in cui Signorelli rappresenta gli ultimi tempi con un Cristo e un Anticristo: l’Anticristo è identico a Cristo, assolutamente! Ha la stessa faccia, è lui, come distinguerlo? E’ geniale Signorelli. Molti di noi oggi, in questa fase specifica del tempo, sono a confronto proprio con la loro ultima maschera, proprio perché sono vicini al passaggio. E’ quindi importante per discernerla rendermi conto di come io mi sono andato difendendo, capire per esempio che, per difendermi da un ambiente che non mi riconosceva o mi usava violenza, posso aver forzato un po’ la mia natura contemplativa. Vedete, la maschera è una forzatura di qualità spirituali reali, quindi possiamo dire che io ho una certa forza contemplativa ma, nel mio ambiente ostile o difficile, ho forzato questa natura contemplativa, trasformandola in una difesa. Come farò a distinguerla? Come farò a riconoscere questi elementi? Normalmente il miglior modo per smascherare, per riconoscere gli elementi distorti delle nostre parti positive, sta nell’ascolto onesto delle emozioni retrostanti. Ora faccio questo esempio perché siamo in questo ambiente, se fossimo in un ambiente di manager tratterei di più il mascheramento del potere o della leadership, ma qui tra noi credo sia più utile quello del distacco-serenità-spiritualità. Se io dunque, seguendo una qualsiasi linea “spirituale”, vedo che non miglioro nelle mie relazioni concrete, se vedo che in realtà è una fuga, se mi accorgo che la mia pratica spirituale mi rende più giudicante, non necessariamente nella parola, ma giudicante nel pensiero e nei modi subdoli del pensiero, se la mia pratica mi rende ancora più selettivo ( no quello no, questo via, cancellare, croce nera, questo non ci penso proprio, e così via), se queste cose accadono, allora potete stare certi che è in atto in quell’ambito una forzatura difensiva di tipo spirituale, cioè è l’ultima maschera che continua a giocarvi con i suoi trucchi, magari di spiritualità. Ci vuole l’autosservazione fatta bene, tutte le tecniche di autosservazione come lo yoga ci aiutano ad esercitare questo sguardo. L’ego infatti si riconosce facilmente, l’ego non fa che paragoni, sta sempre a fare questo gioco, qualunque sia la scala di valutazione : “Questo sta sopra o sotto di me? Più bravo o meno bravo? Mi minaccia o lo posso schiacciare? Lo posso utilizzare o me ne devo difendere?”
Il primo modo per depotenziare questi meccanismi, voi lo sapete, è conoscerli, cioè sapere che in te sta funzionando questo vecchio, antico sistema. Questo lavoro sull’ombra noi talvolta lo facciamo in maniera anche pesante, pesante nel senso che può essere spinoso. Il processo è lungo: tra un’azione inconsapevole del mascheramento ed un’azione che diventi consapevole di questa forzatura, c’è già una grande differenza. Sapete meglio di me che la nascita di questa consapevolezza depotenzia i meccanismi automatici, ma siamo ancora nell’io in conversione e l’io in conversione, nel nostro lavoro non è ancora sufficiente, è solo la prima fase della trasformazione.

9. Talvolta nel lavoro sull’ombra abbiamo sperimentato delle tecniche un po’ forti che, secondo me, hanno dato dei buoni risultati. Per esempio in un gruppo che abbia già una confidenza di qualche anno, ci chiediamo vicendevolmente: dove e come appari in maniera in qualche modo un po’ forzata? cioè è l’altro che ti fa da specchio e ti aiuta a vedere quello che tu solo ancora non riesci a vedere. Sembra incredibile ma è proprio ciò che noi non vediamo di noi stessi, la cosa evidente a tutti. In molte tradizioni spirituali orientali, ad esempio anche nel Sufismo, una pratica era questa: vai dai tuoi peggiori nemici e fatti dire tutto quello che pensano di te, poi traine un insegnamento, perché è chiaro, non è che abbiano ragione loro, non esageriamo con il masochismo, però ti possono dire delle cose di te che tu ancora non vuoi vedere. Noi è come se avessimo delle zone buie, dei punti completamente ciechi nell’autoconoscimento.
Le cose vanno fatte naturalmente in maniera che portino frutto, noi cerchiamo di farlo nei nostri gruppi e vi posso garantire che, anche in gruppi in cui si lavora ormai da anni, queste cose possono fare venire fuori malintesi incredibili. Gente che sono anni che fa questo lavoro e tu vedi che a un certo punto sembra proprio che si sia dimenticata di tutto, e davanti a quell’amico che ha detto soltanto: Insomma, tu mi pari un po’ teso”, l’ego proprio esplode “Teso? Io? Quando? Io non sono teso mai!”.
Il trucco dell’ego è spaventoso, se non fosse tale non ci vorrebbe tutta questa fatica, ma è proprio lì, in questo lavoro che ti rendi conto di quanto c’è ancora da scavare. Quindi lavorare sull’ombra, cioè sulle emozioni negative, ci aiuta a vedere le nostre parti mascherate, perché è come una legge della fisica: ogni volta che noi ci forziamo, produciamo un’emozione negativa, retrostante, è quasi una legge della natura. Questo ci aiuta, per cui se io osservo le emozioni retrostanti nei vari contesti, posso individuare con una certa facilità dove ancora ci sia un elemento di mascheramento, di difesa, di forzatura nella mia natura. Potremmo dire che ogni Jekyll produca il suo Hyde, ed è esattamente così, come Stevenson intuì con geniale e profetica chiaroveggenza. Ogni ego razionalistico, scientistico, moralistico, ogni Jekyll, produce il suo scimmione omicida che, se non verrà riconosciuto bene, lo ucciderà, ucciderà l’ego e infatti Jekyll muore. Metafora del ‘900, secondo me, perché Stevenson, senza saperlo, ha scritto un racconto profetico di quello che stava per accadere nel XX secolo all’ego occidentale. I demoni dostojevskianamente stavano per uscire sulla scena del mondo: anche Dostojevski li aveva intravisti. Dr. Jekyll e Mr. Hyde è del 1886, siamo cioè proprio all’alba del XX secolo, delle guerre mondiali, dei totalitarismi, dei razzismi e dei campi di concentramento, cioè i mostri, gli Hyde non riconosciuti dell’ego occidentale cristiano, moralista, scientifico, e progressista, stavano per venire fuori in maniera terrificante.
Quindi conviene andarlo a guardare subito il nostro scimmione, conviene aprire quella porta, apriamola subito, apriamola presto e facciamo uscire fuori queste energie che poi, se bene utilizzate, sono anche grandi energie. Tutta questa rabbia, questo risentimento, questa paura, sono tutta roba nostra, grandi energie che non sappiamo ancora mettere in gioco creativamente e che ci si rivoltano contro, diventando uno strumento di aggressione contro noi stessi. Quindi, lavorando sull’ombra, possiamo contattare, riconoscere meglio le nostre ultime maschere.

10. Il riconoscimento, che nell’io in conversione diventa sempre più ricco e articolato, delle molteplici modalità del nostro alienarci, potrebbe anche farci disperare. Talvolta si toccano dei momenti, se non di disperazione, almeno di disagio profondo, in cui pensiamo: “ma cosa posso fare? Allora sono proprio una rovina! Sono messo proprio male!” Ed è per questo che l’io in conversione va abbandonato, cioè ad un certo punto chiede, nel riconoscimento di tutta questa negatività e anche nel riconoscimento di un’impotenza a metterci mano da soli, di passare ad una relazione, ad una soglia di abbandono più profondo. Questa soglia di abbandono più profondo c’è anche nello yoga, anche qui prendiamo Gérard Blitz quando scrive: “La fusione si produce attraverso l’abbandono a Dio; questo è Patanjali. Enunciato tra gli Yama, Ishvara Pranidhana si rivela anche come il frutto di una pratica intensa, Tapas, e della conoscenza di sé, Svadhyaya. Ishvara Pranidhana è dunque associato ad un lavoro costante e consapevole, può essere definito come stato di libertà dall’ego”. Voi sapete molto bene di cosa stiamo parlando, è quello che Patanjali definisce l’abbandono a Ishvara, cioè al Signore. Ma questo abbandono al Signore è reale e non è anch’esso un ulteriore mascheramento, solo se io tocco fino in fondo la mia impotenza. E’ cioè solo al fondo di questo processo di autosservazione, in cui mi rendo conto della complessità della mia distorsione, è solo a quel punto che io realmente mi abbandono all’azione di una potenza ulteriore. Allora l’abbandono è reale, è veramente Ishvara Pranidhana. Se io ancora penso di potermi salvare da solo, anche in una parte semiconscia, se io ancora penso di essere qualche cosa che ha una sussistenza da sé, se io ancora continuo a fare finta di essere sano, a fare finta di essere autonomo, cioè a giocare i miei meccanismi difensivi, il mio Ishvara Pranidhana sarà molto relativo. L’abbandono reale è sempre più integrale quanto più io sperimento un’impotenza, una resa. Io non posso salvarmi da me, io mi abbandono a qualcosa di molto più grande, che chiamo Signore. Il solo fatto che io senta di chiamarlo Isvara, vuol dire che è più grande, è la Vita che mi ha portato qua. “Ti sei creato da solo? Ti sei creato tu?” No, non credo, non abbiamo creato niente, nemmeno un capello, qualche cosa ci ha portato qua, questo qualche cosa ci porterà altrove: mi ha figurato, mi trasfigurerà. Nell’umiltà dell’io in conversione, nell’umiltà scavata tutti i giorni di più, io approfondisco il mio abbandonarmi, sempre un po’ di più, qualche piccola percentuale in più, e questo abbandonarmi mi fa entrare nella relazione, nell’io in relazione che è la seconda figura di passaggio verso la nostra identità reale, e di cui parleremo domani.

Domande

D. La civilta’ della guerra, dai tempi di Omero in poi, è sempre stata condotta da principi che muovevano il tutto per i loro scopi. I principi, mi pare, fanno poco yoga. A questo punto, se noi tutti facciamo magnificamente il lavoro che tu hai tratteggiato ma, siccome io non sono conosciuto, nessuno lo saprebbe, basta questo a produrre il cambiamento a livello di chi guida la macchina?

R. Qui entriamo in un altro grosso problema. Detto così, noi non lo sappiamo. Noi sappiamo qualcosa, possiamo umanamente e anche razionalmente immaginare che, se è vero quello che stiamo dicendo, il processo procederà. Le figure egoico-terminali si manifesteranno in forme sempre più distruttive, questo spingerà moltitudini sempre crescenti di persone a cercare altro e questo produrrà sicuramente delle culture altre, che già sono in germinazione, ma sono deboli nel loro aggregarsi sociale. Questo possiamo dire a livello razionale. In uno schema come è, ad esempio, quello biblico, la rivelazione ebraico-cristiana ti dice, dal suo punto di vista, che si considera rivelato: la storia di questo pianeta finirà, a un certo punto, non è nemmeno detto che finirà bene, bene su un piano visibile; ognuno, in definitiva, si posizionerà dove vorrà. Gesù dice “quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla terra –cioè alla fine del mondo- troverà la fede?,” il che vuole dire che presuppone anche la possibilità di non trovarla, torna e dice “bene, non c’è più nessuno su questa terra che abbia fede, vado altrove, la casa del Padre ha tante dimore!” Quindi uno può anche pensare ad altri pianeti o ad altre dimensioni. Noi oggi sappiamo come è sconfinata l’infinità dell’Universo, non siamo più nel Medio Evo, noi oggi sappiamo che solo nella nostra galassia, dove stiamo adesso viaggiando, ci sono 200 miliardi di stelle e conosciamo miliardi di galassie che in questo momento stanno viaggiando nello spazio infinito. Quindi il destino di questo singolo pianeta non è necessariamente il destino dell’umanità. Biblicamente a questo pianeta è stata data un’opzione, a questa umanità sono state date delle possibilità per indirizzarsi in un certo modo, che è la via della salvezza, della vita, della verità. Se poi non le vogliamo prendere… L’ Apocalisse di Giovanni, cioè la fine della rivelazione, finisce male: storicamente vince l’Anticristo, sul piano terrestre, dopodiché interviene Dio, è come la Crocifissione, d’altronde, cioè da un punto di vista storico, la storia di Gesù è finita malissimo, lo hanno ammazzato, è stato abbandonato da tutti, tradito da tutti e ammazzato da tutti i poteri messi insieme. Peggio di così! La Risurrezione è un evento transtorico, non è più storico, infatti lo vedono solo i credenti, per la storia quell’uomo è finito male, punto! Quindi, da un punto di vista misterico e spirituale, alla fine non ci interessa più di tanto come potranno svolgersi le cose su questo pianeta. Il bene continuerà a crescere, l’umanità continuerà a realizzarsi. Con noi? Senza di noi? Dipende da noi, noi mettiamocela tutta. Noi vogliamo salvare il pianeta, lo sentiamo, vogliamo salvare noi stessi, vogliamo che ci sia più luce su questa terra, che ci sia più giustizia, noi dobbiamo mettercela tutta, questo è il nostro compito e questo noi faremo con umiltà, però cosa succederà non si può dire con facilità, dipenderà dalle libertà anche personali. Non è escluso che noi andiamo incontro a tempi anche negativi, non è escluso, però l’orizzonte è quello di un passaggio di figura, quella sarà l’evoluzione. Come? Quando? Dove? Questo davvero non lo so.

D. Questo lo vediamo bene anche nei Vangeli: il giovane ricco è il prototipo della scelta, quando si allontana perché non è disposto a morire totalmente, a lasciare tutto per seguire Cristo. Questa scelta non è per tutti, la scelta libera di andare in questa direzione. Questa nuova libertà, naturalmente, dipende da tutto questo lavoro che tu dicevi, però non possiamo pensare che tutti vadano in questa direzione, non è questo il discorso che ci sostiene. Anche nel Vangelo si vede che molte persone non hanno proseguito perché il prezzo era troppo alto: lascia tutto, abbandona i tuoi beni e seguimi.

R. Noi non possiamo sapere più di quanto da una parte la ragione ci può dire, e dall’altra, per chi vi aderisce, la rivelazione. Dal punto di vista della ragione, vale quello che ho tentato di dire tra ieri e oggi, cioè io credo che l’insostenibilità della vita condotta in un certo modo stia crescendo molto. Questo stimola le persone a cercare altro, perché la sofferenza cresce, il malessere cresce, pervade la vita quotidiana, dalla mattina, quando devo fare due ore di traffico, fino alla sera, lungo tutto il giorno la struttura sociale, gli orari del lavoro, sono in contrasto con i ritmi interiori, violentemente in contrasto, mi violentano. Questi deficienti, in senso tecnico, deficitari, di programmatori scolastici propongono di aumentare costantemente le ore di scuola ai ragazzini, per cui io ho dovuto fare una lotta quest’anno per avere la possibilità che mio figlio non esca tutti i giorni alle 14.30! C’è questa idea del ” di tutto, di più”. Mi ricordo che al mio liceo si usciva qualche volta alle 13.10 e l’ultima ora era già un’ora perduta, perché uno è stanco, ha fame, ha sonno. Sono andato dal preside e gli ho detto :”questa è una tortura, non è più pedagogia, non ha più niente a che fare con l’educazione dei bambini, questa è tortura!” L’insostenibilità dunque cresce, quindi io credo che masse crescenti di persone cercheranno altro, bisognerà appunto creare dei luoghi di accoglimento, ci vuole una cultura nuova.

Conferenze tenute ad Assisi nel settembre 2005 in occasione dell’intensivo organizzato dall’Istituto Internazionale di Ricerche Yoga sul tema generale del Discernimento/Viveka. </sarò>