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Ringiovanire il mondo

Chi sono i giovani in un mondo decrepito?

La Ri-Generazione non è solo un ricambio generazionale

Il 1° Rapporto realizzato dal Forum nazionale dei Giovani, in collaborazione col CNEL e con Unicredit, e presentato nel marzo del 2009, che si chiama non a caso “URG! Urge Ricambio Generazionale”, ci mostra un’Italia completamente governata da una inossidabile gerontocrazia, un paese che invecchia e che affida a classi dirigenti sempre più attempate il proprio destino. Un paese in cui i deputati sotto i 35 anni non raggiungono mai il 10%; in cui nelle Università su 61929 docenti e ricercatori solo un misero 7,6% è costituito da under35, e di questi un miserrimo 0,5% sono professori associati, e un ridicolo 0,03 sono ordinari; in cui il 56% dei medici è over50, l’11,5% over65, e solo il 12% è under35; in cui 1.900.000 giovani tra i 25 e i 35 anni non studia né lavora, paralizzando un patrimonio immenso di energie creative, e così via.

Tutto ciò è evidente e denota una caratteristica preminentemente italiana di una crisi generazionale, o direi meglio di Ri-Generazione, che riguarda però l’intera civiltà occidentale. L’Europa, in particolare, da cui è partito questo grande ciclo storico, sembra ogni giorno di più una specie di cronicario, abitato da vecchi, la cui unica preoccupazione è quella di procurarsi giovani badanti straniere e al contempo di tenere fuori dalle proprie città chiunque possa disturbare la quiete dell’ospizio.

Ci occupiamo ormai ossessivamente del tempo del nostro pensionamento, o di come porremo fine alla nostra vita, mentre i filosofi, gli scrittori, e i registi di questa terra desolata cantano la nenia straziante del puro non senso, vanno da Fazio a raccontare lo squallore irrimediabile delle nostre società, ed edificano le loro carriere sulle macerie di ciò che fu la cultura occidentale. Talmente decrepiti ormai, e anche spudorati, da non accorgersi più del ruolo ridicolo al quale si sono ridotti: numeri da circo nell’osceno varietà dell’intrattenimento universale, come aveva visto con chiarezza Pasolini già alla fine degli anni ’60: “L’intellettuale è dove l’industria culturale lo colloca: perché e come il mercato lo vuole. In altre parole, l’intellettuale non è più guida spirituale di popolo o borghesia in lotta, ma per dirla tutta, è il buffone di un popolo e di una borghesia in pace con la propria coscienza e quindi in cerca di evasioni piacevoli”.

Vorrei perciò parlare del bisogno urgente di una Ri-Generazione in Italia, e in tutta Europa, in base ad una prospettiva ampia, direi di scenario epocale. Vorrei cioè riflettere sulla necessità di una Ri-Generazione non solo e non tanto come auspicabile ricambio generazionale, ma come urgenza di un Ri-Cominciamento radicale che preme in tutte le dimensioni della realtà e dell’esperienza umana, e che pure non possiede ancora una cultura in grado di esprimerlo adeguatamente, e di prenderne così la guida operativa.

I “giovani” sono spesso molto vecchi

Credo che un contributo di questo tipo possa servire perlomeno a sfatare una illusione piuttosto corrente, e cioè che basti cambiare generazione nei ruoli direttivi, o magari incrementare un po’ il genere femminile in parlamento, per collaborare attivamente alla Ri-Generazione in atto.
Purtroppo non è affatto così.
Personalmente anzi ho visto spesso il contrario, ho visto, ad esempio, il ricambio generazionale, avvenuto in RAI durante gli anni ’90, portare il più delle volte al comando delle reti e dei TG persone umanamente e professionalmente molto meno libere e innovative dei sessantacinquenni e dei settantenni della prima Repubblica. Sarà un caso che siamo dovuti ricorrere nel 2009 a Sergio Zavoli per presiedere la Commissione di Vigilanza RAI, e cioè a un ottantacinquenne ex presidente della RAI di quasi trenta anni fa?

Dobbiamo perciò comprendere a fondo che ogni ricambio generazionale, per essere realmente ri-generante, deve essere accompagnato da un’autentica consapevolezza di ciò che desideriamo propriamente Generare di nuovo in questa nuova Genesi. Altrimenti rischiamo di produrre una retorica giovanilistica o un’esaltazione astratta di un potere rosa fin troppo simile, o addirittura peggiore del vecchio potere grigio di sempre. Non dimentichiamo poi l’utilizzo strumentale della categoria della giovinezza che i regimi totalitari del 900 hanno sempre articolato in modo ossessivo e intimidatorio. Non dimentichiamo lo slogan provocatorio di Bottai sulla “Critica fascista” del 1928: “tutto il potere ai giovani”. Non dimentichiamo che nel 1922 Mussolini aveva 39 anni, Italo Balbo 26, Dino Grandi 27, Farinacci 30, e così via. Ma qual’era la direzione e, direi, lo spirito guida del loro indiscutibile rinnovamento generazionale?

No, dobbiamo dirci con chiarezza che l’età è certamente un dato importante, ma che non determina per niente il carattere più o meno innovativo ed evolutivo di una persona o di un gruppo, né tantomeno la sua sensibilità per la Ri-Generazione epocale in atto.
Il kamikaze 18enne che si fa esplodere nella piazza del mercato di Kabul nell’illusione di combattere la sua guerra santa è vecchio decrepito come il giovanissimo fondamentalista cattolico o pentecostale, arroccato nelle sue rigidissime certezze di cartapesta. Il ragazzino no-global che crede ancora di cambiare il mondo fracassando l’ennesima vetrina di una banca o incendiando l’ennesimo cassonetto della spazzatura è vecchio come il cucco, appartiene ad un’epoca finita, a quella sinistra novecentesca, pacifista a senso unico e profondamente violenta e guerrafondaia, sbriciolata insieme al muro di Berlino vent’anni fa. Il 30enne che sniffa cocaina per reggere i ritmi della sua carriera suicida a New York o a Milano è un matusalemme, appartiene ancora a quell’era produttivistica e schizoide, che sta mostrando la propria insostenibilità nei tracolli climatici come nei collassi psichici, nelle depressioni di borsa come in quelle che dilagano da un polo all’altro della terra, tanto che l’OMS ha previsto che per il 2020 una persona su 4 o al massimo su 5 sull’intero pianeta sarà affetta da gravi problemi psichiatrici.

Giovane è solo l’uomo nascente

Allora chi è per davvero giovane oggi?
Io direi così:

giovane è innanzitutto chi è in sintonia con la figura nuova di umanità che sta emergendo tra i crolli di questo mondo decrepito;
giovane è perciò chi sta dalla parte dell’Uomo Nascente, che è il più giovane di tutti, chi ne possiede il gusto, la sensibilità, il pensiero, e sente perciò e sa distinguere, in modo quasi infallibile, ciò che appartiene al mondo morente rispetto a ciò che è per davvero germinativo, nuovo, gemma fiorente, e gravida di futuro;
giovane è chi sa che stiamo vertiginando sul crinale di un rivolgimento antropologico, e che è venuto il tempo di decidere da che parte stare, del Morente oppure del Nascente, perché i tempi dei compromessi e delle mezze misure stanno scadendo;
giovane è chi sta incominciando a comprendere che ogni modalità bellica di incarnare la propria identità, contra-ponendosi rispetto all’altro da sé, risulta ormai improduttiva e alla fine letale;
giovane è chi è consapevole che la nuova forma di identità umana, che sta emergendo, è relazionale, e questo significa che io sono tanto più me stesso (maschio, italiano, cristiano, etc.) quanto più entro in relazione con l’altro da me (dentro e fuori di me), accogliendo il travaglio trans-formativo permanente che questa apertura relazionale comporta;
giovane è chi sa che questo rivolgimento possiede per davvero una portata antropologica, in quanto tutte le civiltà e tutte le religioni fino ad ora si sono consolidate proprio per mezzo della contrapposizione polemica e la guerra;
giovane è chi perciò è consapevole che il passaggio non è affatto facile né di breve durata, e implica contestualmente una riforma costante della propria interiorità (propensa per natura al conflitto e alla guerra), per dar vita ad inedite forme di cultura, di convivenza, e quindi alla fine anche di politica;
giovane è quindi chi è consapevole che oggi più che mai la vera ricchezza non consiste nell’accumulo di denaro o di potere, ma nella disponibilità del proprio tempo da dedicare appunto ai processi della propria liberazione, all’approfondimento delle proprie relazioni, a partire da quella coniugale, e quindi al vero godimento della vita, che è innanzitutto relazione, gratuità, creazione, prima di essere scambio economico.

Questa giovinezza in verità non dipende affatto dall’età anagrafica delle persone, ma dalla loro qualità spirituale intrinseca. E anche da questo punto di vista la tradizione cristiana ha molto da dire a questa nostra umanità in transito e in travaglio. Noi cristiani, infatti, sappiamo che la giovinezza, intesa come novità e freschezza creativa, sta solo nella nostra umanità nascente, nel nostro uomo interiore che è sempre nuovo, è sempre iniziale, è sempre “nel Principio”, anche se l’età biografica avanza: “se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16). Giovane è solo il nostro nuovo io, sempre nascente in Cristo, tutto il resto è comunque decrepito, anche a vent’anni. In tal senso Benedetto XVI diceva nella Omelia ai Primi Vespri per la chiusura dell’Anno Paolino, il 28 giugno del 2009: “Dobbiamo diventare uomini nuovi, trasformati in un nuovo modo di esistenza. Paolo ci dice: il mondo non può essere rinnovato senza uomini nuovi. Solo se ci saranno uomini nuovi, ci sarà anche un mondo nuovo. Diventiamo nuovi, se ci lasciamo afferrare e plasmare dall’Uomo nuovo Gesù Cristo. Egli è l’Uomo nuovo per eccellenza”. E’ di questa giovinezza che abbiamo urgente bisogno, di questo fuoco che tutto rinnova, di questa mente poetica, più libera e più felice, che sta cantando anche adesso nel frastuono di tutti questi crolli, come in questi versi di Adrienne Rich: “Io sono io/ io sono la mente viva/ che nessuna lingua morta/ è capace di descrivere/ il nome perduto/ il verbo che sopravvive solo all’infinito/ le lettere del mio nome/ sono iscritte sotto le palpebre/ del bambino appena nato”.

Alcuni suggerimenti ai giovani davvero giovani

E allora come favorire l’emersione di questa vera giovinezza? Come possono i giovani di età contribuire alla Ri-Generazione globale che chiede ormai di farsi discorso comune, creazione linguistica e culturale, riflessione gioiosa tra tutte le civiltà e tutte le religioni, perché alcuni lineamenti della nuova umanità che dovrà ereditare la terra sono ormai evidenti a tutti? Come possono i giovani diventare giovani nel profondo del cuore, e ringiovanire così finalmente il mondo?

Vorrei proporre alcune brevissime indicazioni ad un eventuale gruppo di giovani europei:

1) Siate innanzitutto certi di una cosa: la Ri-Generazione richiede un grande pensiero.
Per rinnovare a fondo una società globalizzata bisogna conoscere la propria storia e quella del pianeta.
Per essere nuovi è necessario portare dentro di sé, nel sangue direi, nel gusto incarnato, i millenni che ci precedono, altrimenti si ripetono vecchi copioni senza neppure saperlo. In tutta la sua ultima Enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI ripete che gli attuali problemi economici e socio-culturali, determinati dai processi della globalizzazione, dipendono in gran parte da una spaventosa carenza di pensiero: “Paolo VI notava che ‘il mondo soffre per mancanza di pensiero’. L’affermazione contiene una constatazione, ma soprattutto un auspicio: serve un nuovo slancio di pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia”(n.53).

Non fatevi distrarre perciò dalla baraonda di chiacchiere che risuonano in tutto il mondo, non fatevi sviare verso attivismi convulsi e vani.
Elaborate, invece, contribuite a elaborare con umiltà e con pazienza questo grande pensiero, rintracciate quei filoni spirituali e culturali che possano servirci oggi per compiere il passaggio, createvi la vostra tradizione, imparate a riconoscere nella Babele contemporanea i meridiani del terzo millennio, quegli autori che davvero hanno ancora qualcosa di autentico e di vivo da trasmetterci. Perché solo chi sa costruire una nuova ascendenza ideale crea poi lo spazio per una ricca discendenza.

Senza questa forza di pensiero non potrete avere mai alcun protagonismo nella società.
Non fatevi illusioni.
Senza un pensiero nuovo e forte resterete sempre degli “immaturi”, col cappello in mano, in fila per ricevere dai vecchi il diritto all’esistenza, che non vi daranno mai.
Non è perciò questione di fare spazio ai giovani, intesi in senso generico, non è una questione di rivendicazioni sindacali, ma della nascita di nuove élites culturali, capaci di giudicare il presente e di riprogettare il futuro, senza troppi riguardi o tattiche o compromessi.

2) Per far questo bisogna avere il coraggio di lavorare su due livelli temporali distinti e al contempo connessi: nel presente immediato e a lungo termine.
Bisogna creare spazi in cui la ricerca e la formazione siano permanenti, vere e proprie Scuole della Ri-Generazione.
Qualunque istituzione giovane e lungimirante potrebbe oggi dar vita a spazi di questo tipo: dai partiti alle parrocchie fino alle diverse associazioni. Autentiche fucine dell’umanità nascente, allegre, libere, vere eredi del meglio del XX secolo e dell’intera modernità.

Da questi laboratori culturali dovremo scatenare poi anche una nuova forma di critica sociale radicale, che sorgendo dall’annuncio del Nascente, sappia anche denunciare i luoghi in cui la cultura del morto continua a dominare e a contaminare menti e cuori. Annuncio e denuncia vanno cioè sempre di pari passo, e la nuova generazione ri-generante se li prende i propri spazi, se li inventa, non li va ad elemosinare.
Urge in tal senso anche un’azione culturale e politica di ri-generazione della comunicazione di massa, che oggi è il canale prioritario di formazione dell’opinione pubblica, e di trasmissione della stessa cultura.

3) Dev’essere sempre più chiaro infine che questa Ri-Generazione richiede la nostra ri-generazione personale. Non possiamo più illuderci di cambiare le forme del mondo bellico morente, se non impariamo a riconoscere tutte le modalità ancora belliche in cui viviamo la nostra esistenza. E questo riconoscimento è un lavoro continuo, indispensabile per l’edificazione di una futura cittadinanza globale, che richiede appunto persone trans-egoiche, educate a dilatare la propria mente fino agli amplissimi confini della globalità.
Dobbiamo in altri termini coniugare in modo del tutto inedito i processi di liberazione interiore con le nuove progettualità culturali e politiche. E se già dobbiamo occuparci di una bio-politica, intorno alle questioni ultime che irrompono prepotentemente nel dibattito politico quotidiano, dovremo presto concepire anche una psico-politica, che si occupi delle forme di educazione cui è chiamata una umanità tendenzialmente planetaria, e quindi necessariamente trans-egoica e globale.

Siamo in altri termini certamente al di là dell’integrismo medioevale, che assoggettava ogni ricerca umana (politica e scientifica) ai paradigmi rigidi di una teologia paralizzante, ma siamo ormai anche al di là delle modalità moderne di declinare la laicità, separando nettamente l’anima dalla città, la soggettività esistenziale da quella giuridica, la complessità della natura umana dai contenuti della cittadinanza, e la ricerca di senso globale dalla razionalità istituzionale e amministrativa di una politica sempre più astratta e alla fine alienante.

La politica ritroverà viceversa il proprio entusiasmo e la propria carica progettuale, di nuovo progetto di mondo, quando comprenderemo che il nostro smarrimento esistenziale, le nostre difficoltà relazionali e coniugali, l’asfissia spirituale del discorso pubblico, la crisi delle democrazie occidentali, i ritmi invivibili delle nostre metropoli, l’inquinamento quotidiano dei cuori operato dal sistema dei mass-media, gli squilibri economici planetari, e così via, sono tutti sintomi della stessa malattia e segni dello stesso travaglio ri-generativo, di cui prenderci cura contemporaneamente.

Ma anche qui servono per davvero menti giovani, menti poetiche, mistiche e tecniche al contempo, uomini e donne cioè che vogliano di nuovo portare il fuoco sulla terra.

Articolo pubblicato nella Rivista “Formazione e Lavoro”, 2010/1