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Il tempo del tramonto

Un’epoca apocalittica da reinterpretare


Di anno in anno cresce in ognuno di noi la dolorosa percezione di subire un’accelerazione vertiginosa dei tempi, come se fossimo tutti risucchiati e frullati in un vortice, che non sappiamo cosa voglia fare di noi. Papa Francesco ha ripetutamente sottolineato, nella sua Enciclica Laudato si’ (LS), questo aspetto terminale della fase storica che viviamo: “sembra di riscontrare sintomi di un punto di rottura, a causa della grande velocità dei cambiamenti e del degrado, che si manifestano tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali” (n. 61).
Questo nesso tra catastrofi naturali e sconvolgimenti storici, nella simbolica biblica, caratterizza i tempi apocalittici, come ha fatto rilevare anche René Girard negli ultimi anni della sua vita. Non ci troviamo a vivere perciò semplicemente un’epoca di passaggio, anche perché in fondo tutte le epoche attraversano crisi di trasformazione, ma un vero e proprio passaggio di epoca, come ha ribadito Papa Francesco, aprendo il Convegno Ecclesiale di Firenze, e come d’altronde aveva già scritto nella Esortazione postsinodale Evangelii gaudium (EG): “L’umanità vive in questo momento una svolta storica” (n.52), la quale richiede “una coraggiosa rivoluzione culturale” (LS n. 114), e “che ci obbliga a cercare un nuovo inizio” (LS n. 207).

In realtà questa percezione di attraversare una soglia epocale di portata antropologica ha infiammato e sconvolto l’intero XX secolo, animando tutti i movimenti culturali, artistici, politici, e spirituali, con esiti spesso drammatici. Solo negli ultimi 30 anni questa consapevolezza si è drasticamente oscurata nel frastuono neoliberista in cui è affondato l’Occidente; ma ora sembra ritornare e inquietarci con inedita violenza.
Ciò che oggi urge è dunque una nuova lettura credibile, profonda, e autorevole del senso direzionale di questa immane crisi: “esorto tutte le comunità ad avere una ‘sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi’ (EG n. 51), in quanto “non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali” (LS n. 53).

L’Occidente è l’epoca del tramonto

Da più di un secolo, e almeno a partire da “Il tramonto dell’Occidente” (1918) di Oswald Spengler, noi europei riflettiamo sul tramonto o crepuscolo in cui precipitano i nostri popoli. Già Arthur Rimbaud però, intorno al 1873, nella sua Saison en enfer scriveva. “Vedo che il mio malessere viene dal non avere riflettuto per tempo che noi siamo nell’Occidente”. Viviamo cioè dentro un’epoca, più che all’interno di un’area geografica, che di per sé tramonta. Occidente infatti è il participio presente del verbo latino occidere, che indica appunto il cadere del Sole. Ma che cosa sta tramontando ad Occidente, in questo tempo che si fa sempre più planetario, attraverso la progressiva occidentalizzazione della terra? E dove va a tramontare poi questo moto vertiginoso?

Martin Heidegger, in un famoso saggio del 1946, scriveva con toni anch’essi apocalittici: “Siamo forse alla vigilia della più mostruosa trasformazione della terra intera e del tempo dello spazio storico a cui essa è legata? Siamo alla vigilia di una notte che prelude ad un nuovo mattino? Siamo in cammino verso il luogo storico di questo crepuscolo della terra? Sta nascendo solo ora questo luogo della sera? Questo Occidente (Abend-Land) diverrà, al di sopra dell’Occidente (Occident) e dell’Oriente, il luogo della storia futura più originariamente conforme al destino? Possiamo già dirci occidentali nel senso rilevato dal nostro passaggio attraverso la notte del mondo? Siamo noi veramente gli ultimogeniti che siamo? Ma siamo anche nello stesso tempo i precorritori dell’aurora di una ben diversa epoca?” Belle domande! Davvero domande cruciali!

Proviamo allora innanzitutto a comprendere meglio che cosa stia finendo in questo tramonto, e cioè quali cicli storici stiano tutti insieme terminando in questo singolarissimo punto della storia del pianeta. Poi vedremo come vivere questa fase, e come in particolare i cristiani possano interpretare e incarnare la passione del transito alla luce della speranza che ci dona lo Spirito di Cristo.

Che cosa sta tramontando a Occidente?

Certamente in questi anni si è concluso il XX secolo, il secolo cioè dei totalitarismi, delle guerre mondiali, delle avanguardie artistiche e delle mille decostruzioni e trasgressioni, ma anche delle grandi emancipazioni e liberazioni, e al contempo del consumismo senza limiti.
Ma finisce in realtà l’intero ciclo industriale, che va più o meno dal 1789 al 1989, con gli sviluppi vertiginosi delle produzioni industriali, e con tutte le ideologie cui ha dato vita: liberalismo, socialismo, comunismo, nazionalismo. Ciclo in cui tra l’altro l’organizzazione dei partiti ha espresso tutte le sue potenzialità servendosi intensamente del potere della stampa e dei primi mass-media. Siamo ormai entrati in una società postindustriale, e già da tempo in realtà, se Alain Touraine intitolava addirittura nel 1969 un suo famoso libro “La sociètè postindustrielle”. Per cui è illusorio riproporre come vie di uscita da questa crisi visioni e prospettive che appartengono interamente a questo ciclo già esaurito, tipo un ulteriore incremento della produzione, puntando ancora una volta sul motto: di tutto, di più ….

Ma in questi anni finisce anche l’intera epoca moderna, entra in una crisi terminale la speranza di fondare la vita umana su criteri razionali unitari, la convinzione cioè che la ragione scientifica e la ragione politica possano autonomamente dare all’uomo ragione della sua esistenza personale e dare parimenti un ordine alla convivenza sociale. Questa illusione è finita negli inferni del totalitarismo, nelle apocalissi climatiche e ambientali del XX secolo, nella depressione psichica dilagante e nel nichilismo devastante del Dio-mercato. Ormai siamo un po’ tutti consapevoli che la ragione (scientifica e politica) è uno strumento certamente necessario, ma del tutto insufficiente, e siamo perciò entrati in una “condizione postmoderna”, come si intitolava il volume di Lyotard del 1979, che ha reso popolare questa espressione. Ma già nel 1950 Romano Guardini aveva pubblicato il saggio “La fine dell’epoca moderna”, in cui denunciava appunto la fine catastrofica della progressiva scissione tra sviluppo culturale (e razionalità) da una parte, e cristianesimo (trascendenza) dall’altra, propria del tempo moderno.

Ma la stessa modernità non è che la fase conclusiva di un ciclo antropologico ben più vasto, che Martin Heidegger identifica almeno con l’intera metafisica occidentale, ma che in realtà coincide con la storia umana nel suo complesso, a partire dalle prime civiltà del neolitico.
E’ cioè la figurazione antropologica, che potremmo definire egoico-bellica, e che ha dominato tutta la storia umana che conosciamo, che sta manifestando i segni di un esaurimento terminale. In tal senso Ernesto Balducci scriveva giustamente: “Nella storia etnologica il mondo moderno è l’ultima fase di quella rivoluzione – senza dubbio la più importante tra quelle compiute dall’umanità – che fu il passaggio dal paleolitico al neolitico avvenuto circa 10.000 anni fa nella fascia che va dalla Grecia all’Iran. (…) Il principio costitutivo di quel progetto era il dominio dell’uomo sulla natura (lo squilibrio ecologico cominciò allora), del maschio sulla femmina, dell’uomo sull’uomo, di una classe sull’altra, di una città sull’altra, fino alla nascita degli imperi antichi e degli stati moderni. L’espressione tipica della nostra civiltà originaria fu la guerra, l’organizzazione dell’aggressività collettiva il cui scopo era l’assoggettamento o lo sterminio dell’altro”.

E’ a questo livello che dobbiamo pensare il Tramonto in atto, e cioè il senso dell’Occidente planetario: sta collassando l’intera figurazione egoico-bellica di uomo: l’uomo scisso in se stesso, l’uomo del peccato e della separazione da Dio, se vogliamo utilizzare il linguaggio biblico.

Per cui anche le emergenze ecologiche vanno pensate a questo livello di collasso antropologico, e sono quindi il segno dell’urgenza di un passaggio di figura di umanità, di una radicale conversione. E anche papa Francesco è chiaro su questo punto: “non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia” (LS n. 118).
Rivoluzione storico-culturale e conversione personale sono perciò le due operazioni congiunte, a livello di mondo e a livello di anima, di un vero e proprio passaggio di umanità, di una svolta antropologica ineluttabile e non più rinviabile.
Nessun ecologismo da operetta, perciò, è adeguato all’emergenza dei tempi, o tantomeno viene avallato dall’enciclica del Papa, nessun ambientalismo politicamente corretto, che si commuova per il destino delle balene, e taccia sul dramma quotidiano dell’aborto (n. 120), che si indigni per ogni OGM e poi legittimi il commercio di ovuli o di uteri o di embrioni umani vivi trasformando l’abominio del mercato delle carni umane nella difesa di diritti che violano ogni equità e ogni senso di umanità (n. 136). No, Francesco, è esplicito: qui stiamo parlando di una rivoluzione culturale globale, che tocchi innanzitutto il cuore alienato dell’uomo, e da lì tragga la luce per una inedita forma di resistenza e di ricominciamento appunto antropologico: “Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico” (n. 111).

Tramontare nel nuovo mattino

Dunque a Occidente sta tramontando la stirpe egoica come tale, l’uomo egoico-bellico si sta manifestando insostenibile, fonte di morte, e di violenza, omicida e cosmicida, e sta manifestando inoltre tutta la sua distruttività in modo evidente, apocalittica-mente: questo Tramonto è cioè il tempo in cui l’uomo egoico appare evidentemente come un principio di distruzione di sé e del mondo. Ed è proprio per questo che il Tramonto diviene il tempo più propizio per l’annuncio della Nuova Umanità, postegoica e postbellica, quella cioè inaugurata dal Cristo, che oggi appare come l’unica possibilità evolutiva, non solo cioè come un’opzione morale o religiosa, ma come l’unica opzione direi biologica per rilanciare la vita sul pianeta terra. Il grande poeta austriaco Georg Trakl in due versi sintetizza il paradosso apocalittico di questo Tramonto occidentale: “Tremendo è il tramonto della stirpe./ In quest’ora si colmano gli occhi al contemplante/ Con l’oro delle sue stelle”. In altri termini è proprio nel disfacimento del tramonto, è proprio ADESSO che si aprono gli occhi nuovi che possono vedere il Giorno Risorgente che viene.

Se dunque seguiamo la figura umana che sta nascendo in questo tramonto, proprio attraverso la morte dell’uomo bellico, possiamo tramontare nel nuovo mattino. Questa è la vera direzione del tramonto: tramontare nel nuovo mattino: l’Occidente al suo estremo diviene l’Oriente, il Nascente, come esplicita molto bene Heidegger, nella sua memorabile interpretazione di Trakl.

E non è questa propriamente la speranza di Pasqua? Non risuona in tutto questo scenario apocalittico la promessa di Cristo: la nascita dell’Uomo Nuovo proprio attraverso la tragica fine, il tracollo di tutte le strutture mentali storico-politico-religiose dell’uomo vecchio?

La grande purificazione

Ora, se ciò è vero, se un’intera figurazione antropologica sta tramontando, se cioè viviamo nell’epoca fatale in cui il mistero della Nuova Umanità di Cristo torna a chiamarci ad una più radicale conversione, ad un passaggio di trans-figurazione che non sappiamo come potrà manifestarsi sul piano della storia, riattivando e riattualizzando così tutte le speranze escatologiche e messianiche della fine dei tempi (dell’ego), allora è chiaro perché tutto traballi, e tutto entri in un travaglio rigenerativo senza precedenti: concetti, istituzioni, forme di vita, etc. Allora abbiamo chiavi interpretative adeguate per capire perché la famiglia e la vita consacrata, l’esercito e la democrazia, la sanità e la scuola, l’economia, le nazioni e i continenti vivano tutti insieme una crisi di identità e di senso senza precedenti, sperimentino amaramente l’insufficienza delle loro forme secolari o a volte millenarie, e spesso sopportino un caos, una vera e propria liquidazione caotizzante che ci sconvolge.
Tutto ciò non è che l’effetto inevitabile del Tramonto della stirpe egoico-bellica.

Ma se seguiamo l’appello dell’Uomo che ci chiama dentro il tramonto e al di là di esso, verso la sua fine che si rovescia nel nuovo mattino di Pasqua, allora, come canta ancora Trakl, possiamo vivere il tramontare come un tempo di grazia, di conversione, di purificazione, e di realizzazione di una maggiore verità umana e divina al contempo:
“Possente finisce così l’anno/ con vino dorato e frutta nei giardini. (…)/ Il contadino dice: Tutto è bene. (…)/ E’ il dolce tempo dell’amore. (…) / tutto tramonta in pace e silenzio”.

Pubblicato nella Rivista “Religiosi in Italia” (Conferenza Italiana Superiori Maggiori), n. 412, 2016.