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I Gruppi “Darsi pace” – Liberazione interiore per la trasformazione del mondo

Un nuovo inizio

Era mercoledì 29 dicembre 1999, tra le 11 e le 12, e stavo viaggiando sull’autostrada che porta ad Ancona, con Paola, mia moglie, e i miei tre figli, Gloria di 12 anni, Chiara di 11, e Gabriele di 6.

Quando arrivammo in vista del mare, all’altezza del santuario della Madonna di Loreto, scoppiò una terribile tempesta, come non ne avevo mai incontrate prima, la grandine si fece così fitta e violenta e martellante sul tetto dell’auto, che dovetti fermarmi, mentre il cielo e il mare assumevano un colore apocalittico, giallo e grigio, sole e piombo mischiati e confusi tra di loro, e perciò massimamente inquietanti.

L’automobile sembrava presa letteralmente a sassate, mentre Paola mi guardava con uno sguardo che mi inchiodava alle mie responsabilità, e mi lanciava senza parlare una domanda inequivocabile: ma perché ci hai portati fin qui, a rischiare la vita, ad attraversare l’Italia in condizioni atmosferiche estreme, con molte autostrade chiuse per neve e bufere varie, e gli allarmi persistenti di tutti i telegiornali? Perché non sei andato da solo, almeno, invece di portarti dietro tre bambini piccoli? aveva ragione tua madre, che la sera prima aveva telefonato invano, pregandoti di non fare follie, e di lasciare a Roma quei poveri bambini innocenti.

 

Io nel frattempo tentavo di rassicurare tutti, dicevo, con poca convinzione in verità, che questi fenomeni durano in genere poco, e cose simili, ma in me cresceva una angoscia profonda, che non diminuì nemmeno quando poi passo dopo passo, e con enormi difficoltà, riuscimmo ad arrivare ad Ancona.

Lì le autorità del porto ci informarono subito che era segnalato mare forza nove, che alcuni traghetti si erano dovuti rifugiare dietro le isole, senza poter sbarcare a Spalato, per la violenza delle onde, e che non si sapeva nemmeno se il nostro traghetto sarebbe partito.

Tutte notizie non proprio rassicuranti.

 

Io continuavo però nella stessa strategia che avevo seguito fin da Roma: vado avanti un passo alla volta, e mi fermo, e torno indietro, solo se le condizioni diventeranno davvero impraticabili.

E così alla fine ci imbarcammo e ci sistemammo tutti e cinque in una cabina, col cuore gonfio di tante paure e di non pochi sensi di colpa.

Io mi sdraiai insonne, aspettando che i bambini si assopissero, e poi, grazie a Dio, mi addormentai anch’io.

Mi svegliai intorno alle tre, in mare aperto, le onde erano piccole, quasi gradevoli, stavamo procedendo senza troppi problemi, e così il mio cuore si placò. Poi, intorno alle 6 arrivammo in vista di Spalato, il cielo era sereno, un Sole rosso fuoco ci riscaldò l’animo e i corpi, insieme ad una bella tazza di caffè.

La prova sembrava superata.

 

Ma perché mai mi ero avventurato in un viaggio così pericoloso? Perché mi stavo dirigendo verso Medjougorie, attraversando le brulle colline della Bosnia, io che non avevo mai fatto alcun pellegrinaggio in vita mia?

Il progetto in realtà era maturato lentamente, venivo da una lunga fase critica che aveva toccato il suo apice tra il 1998 e il 1999. Tutta la mia vita si era come sgretolata, avevo lasciato il mio lavoro in RAI, dopo 13 anni di intensissimi dialoghi col pubblico, avevo interrotto poi tutti i miei rapporti editoriali, e non sapevo più dove potesse dirigersi la mia opera di scrittore: chi o cosa stavo diventando?

Problemi psichici e fisici sempre più gravi mi avevano convinto, e in fondo costretto, a ritirarmi, e per un anno intero mi ero dedicato solo a curarmi, a ritrovare un centro, un senso alla mia esistenza, lavorando su di me, sia a livello fisico, sia a livello psicologico, che a livello spirituale: dal nuoto bisettimanale, insomma, allo yoga sistematico, da psicoterapie varie a gruppi di ricerca spirituale, fino alle mie pratiche quotidiane di meditazione e di preghiera.

Parlavo allora di una sorta di embriologia: lasciavo che l’embrione di me, di un me profondamente rinnovato, potesse crescere, e manifestare la propria natura, forse il mio nuovo destino, se uno ce n’era in serbo per me.

 

Da questa intensissima ricerca, che mi occupava anche 10 ore al giorno, emerse, intorno all’aprile del 1999, una forte consapevolezza, che si espresse in una parola interiore molto semplice e netta: Invèntati i tuoi esercizi!

Così ascoltai, e questa fu in fondo la vera risposta a tutta la mia crisi.

Forse le potenze del destino e le benevole guide del cielo volevano portarmi proprio qui, mi avevano lavorato per più di 40 anni, affinché potessi inventare una nuova forma di esercizi spirituali, adatti all’umanità che stiamo diventando.

 

Il 16 ottobre del 1999 perciò avviai a Roma il primo gruppo di lavoro, con una quarantina di persone. Chiamai questo primo corso: Cristo e la nuova era.

Avevo iniziato forse l’opera per cui ero nato.

Avevo iniziato a costruire un luogo in cui potessero confluire tutte le esperienze che avevo accumulato nella prima parte della mia vita: la scrittura poetica, la ricerca filosofica, e quella psicologica, l’esperienza nella comunicazione di massa, e le diverse avventure e pratiche spirituali.

Tutto si amalgamava e si offriva ad altri, come un cammino da vivere insieme, da condividere, e in un certo senso da elaborare nel gruppo: un’opera viva, cioè, che cresca con chi la vive, e la fa propria.

 

Sentii con forza che il capodanno del 2000 dovesse rappresentare questa svolta, dovesse essere del tutto diverso, dovesse segnare davvero un nuovo inizio.

Ecco perché volli andare a Medjougorie, e ci volli andare con tutta la mia famiglia, perché questo passaggio di millennio, e di stato di vita, non coinvolgeva soltanto la mia esistenza individuale, ma innanzitutto quella di tutta la mia famiglia, e poi quella di tutti, di tutta un’umanità giunta ad un punto di svolta, e di ricominciamento.

Volevo segnare con un evento per me unico l’inizio di un’epoca nuova.

 

Quando la mattina del 1 gennaio del 2000, festa della Madre di Dio, dopo una notte di preghiera e di colpi di mitra sparati per festeggiare l’anno nuovo, vidi il cielo terso e cristallino della Bosnia, seppi per certo che la benedizione che cercavo mi era stata donata.

Il nuovo inizio era avviato, nel modo giusto, e nel posto giusto.

 

 

 

La struttura del Movimento “Darsi pace”

 

Ci vollero più di dieci anni di sperimentazioni continue, centinaia di ore vissute in centinaia di incontri, con centinaia di persone, per delineare l’attuale struttura del percorso. Infatti è solo dal 2010 circa che i Gruppi Darsi pace si vanno configurando verso l’attuale sistematizzazione.

Il percorso, ormai definito, dura sette anni.

Il primo Triennio di base si chiama Darsi pace, e si articola in 12 incontri da ottobre a giugno, di circa 3 ore ciascuno[1].

Ogni annualità è un Gruppo fisico-telematico autonomo, composto cioè da persone che seguono fisicamente il lavoro, a Roma, presso l’Università salesiana, oppure on line in un sito riservato, cui possono accedere solo i membri di quello specifico gruppo.

I siti sono presidiati da équipes di formatori che accompagnano le persone, una ad una, rispondendo alle loro domande, e ai loro commenti.

Sussistono poi gruppi territoriali, che si formano nelle diverse parti d’Italia, ai quali possono accedere i praticanti del percorso, che desiderino intensificare il lavoro anche a livello di relazioni personali fisiche.

Dopo il Triennio di base si può accedere al Primo Biennio di Approfondimento che si chiama Per donarsi[2], ed è organizzato in quattro brevi intensivi dal sabato pomeriggio alla domenica pomeriggio, ogni anno.

Anche questi praticanti possono affluire nei gruppi territoriali, che vengono gestiti da Responsabili Regionali.

Dopo il Triennio inoltre si può accedere al Gruppo dei Formatori, se si sente un inizio di vocazione a trasmettere questa esperienza spirituale.

Il Secondo Biennio di Approfondimento si chiama Imparare ad amare[3], ed è organizzato come il primo.

 

Il Movimento Darsi pace ha dato vita poi, a partire dal 2015, a Gruppi di Creatività Culturale, composti da praticanti che abbiano interesse a sviluppare le tematiche di ambiti specifici del sapere, alla luce dell’esperienza che vivono in Darsi pace. Sono così già nati Gruppi sull’Altra Scienza, su Psicologia e Spiritualità, sul Rinnovamento della vita spirituale, sull’Arte, sulla Poesia come Insurrezione spirituale, sulla Salute, e sulla Politica.

Ogni Gruppo di creatività culturale è coordinato da un Referente, e si fonda su un testo programmatico specifico.

 

Il Movimento si esprime inoltre nel suo sito www.darsipace.it, sui siti dei diversi Gruppi di Creatività culturale, su diverse Pagine Fb, e attraverso il Canale Youtube “Darsi pace”, dove abbiamo pubblicato già più di 300 video originali.

Abbiamo inoltre un sito in lingua tedesca e uno in lingua inglese, mentre alcune traduzioni dei Manuali sono già disponibili in brasiliano, spagnolo, e cinese. Sono in cammino le traduzioni in sudcoreano, inglese, e tedesco.

Quest’anno infine si è avviato il Movimento Giovanile, L’Indispensabile.

Dal 2004 abbiamo dato vita alla collana di libri “Crocevia – La svolta dei tempi”, presso le Ed. Paoline, che costituisce la base teorica del nostro lavoro, e nella quale abbiamo già pubblicato 20 volumi.

Attualmente ci sono oltre 700 praticanti regolari in tutta Italia e in diverse parti d’Europa e del mondo. Il nostro sito è visitato ogni anno da più di 130mila visitatori unici, il nostro canale Youtube ottiene più di duemila visualizzazioni al giorno, e la Pagina Fb è seguita da più di 15mila persone.

 

 

 

Un nuovo percorso per ridiventare cristiani

 

In fondo i nostri Gruppi si offrono come un piccolo ma tenace contributo al rinnovamento dei processi di iniziazione cristiana, che viene invocato dalla Chiesa, almeno dal Documento di Base del 1970, e di cui spesso si lamenta però l’insufficiente realizzazione, a quasi cinquanta anni di distanza. Leggiamo, per esempio, negli “Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia”, Incontriamo Gesù, redatti dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 2014: “Pur evitando di ragionare in termini di efficienza ed efficacia, non si fatica a riconoscere che, nonostante l’impegno profuso, la distanza dalla meta rimane sempre ampia. (…) Dobbiamo, inoltre, ammettere il persistere di nostre fatiche già più volte denunciate: l’esigua proposta di percorsi di primo annuncio o di risveglio della fede; la difficoltà di attivare percorsi di vera catechesi con e per gli adulti; la tentazione di risolvere la catechesi dei piccoli prevalentemente attraverso incontri che utilizzano una metodologia ispirata ad un modello scolastico antiquato; l’annacquamento dell’esperienza catechistica in banali animazioni di gruppo, senza sapere così più rintracciare l’esperienza – la vita in Cristo – attraverso le esperienze” (n. 14).

Data questa situazione allarmante, di penuria spirituale, non dovremmo poi meravigliarci di quella “rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico”, di cui parla Papa Francesco nella Evangelii gaudium (n. 70)…..

 

Noi partiamo proprio da qui, da questa gravissima crisi della fede cristiana, di cui lanciò l’allarme Papa Benedetto XVI, inaugurando non a caso nel 2012 proprio l’Anno della fede: “Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone” (Porta fidei n. 2). In realtà questa crisi delle forme storiche in cui si esprime tuttora la fede cristiana è solo una delle manifestazioni di una crisi antropologica di portata planetaria, che sta rapidamente modificando tutti i fondamenti teorici, morali, esistenziali, e direi gli stessi lineamenti della vita umana: “La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano!” (Evangelii gaudium n. 55).

 

Questa grandiosa crisi antropologica, d’altronde, aperta ad esiti tanto distruttivi quanto rigenerativi, era già stata intuita nella costituzione pastorale Gaudium et spes, dove leggiamo che l’umanità “vive oggi un periodo nuovo della sua storia” (n.4), e poi addirittura che è “in pericolo, di fatto, il futuro del mondo” (n. 15). Per cui la Chiesa, negli ultimi decenni sta tentando di rispondere a questa emergenza antropologico-culturale attraverso un enorme sforzo di Nuova Evangelizzazione, innanzi tutto di se stessa. Questo concetto, come sappiamo, fu reso pubblico da Giovanni Paolo II nella Omelia che tenne durante la Messa nel Santuario di S. Croce, a Mogila, il 9 giugno del 1979: “alla soglia del nuovo millennio – in questi nuovi tempi, in queste nuove condizioni di vita – torna ad essere annunciato il Vangelo. E’ iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso”.

 

I Gruppi di “Darsi pace” sono dunque un umile tentativo di corrispondere alla crisi antropologica in atto, rigenerando l’esperienza della fede cristiana, affinché essa torni ad essere qualcosa di vitale, di nuovo, di attraente, e di convincente, per la donna e per l’uomo del XXI secolo, partendo perciò dalle condizioni concrete delle persone di oggi, che spesso arrivano da noi senza nemmeno sapere il perché.

 

 

 

Accogliere, ascoltare, e accompagnare, per annunciare efficacemente

 

Noi accogliamo le persone così come sono, e come siamo un po’ tutti: smarriti, affaticati, distratti, affannati, confusi, e sotto sotto un po’ disperati e dispersi.

Il nostro primo desiderio è offrire a tutti un luogo di ristoro, un luogo di vero riposo, un luogo in cui si incominci subito a stare un po’ meglio, senza troppi presupposti. Ecco perché fin dal primo incontro della prima annualità avviamo il praticante verso una semplice pratica meditativa, che poi ci accompagnerà per tutta la vita.

 

Siamo convinti che sia indispensabile partire ogni volta di nuovo, ogni giorno, e, se possibile, all’inizio di qualsiasi attività o lavoro, da una minima pacificazione interiore, da un minimo rilassamento e affidamento, da una minima distensione cioè, e fluidificazione delle nostre naturali paure e contrazioni, per non iniziare subito col piede sbagliato, con un assetto mentale già troppo distorto, e infelice.

E siamo convinti inoltre che l’esperienza spirituale non possa che essere e offrirsi, oggi più che mai, come un’immediata e concreta via di liberazione interiore, come sollievo reale, da sperimentare subito e sempre di nuovo.

Noi amiamo parlare perciò, per sintetizzare la nostra prassi di gruppo, delle tre A più una.

 

La prima A è Accogliere, ma accogliere sul serio, fare sentire le persone direi comode, farle accomodare nel gruppo, non partire subito con inutili discorsi teorici, ma insegnare all’uomo affannato e affrettato, al sé esausto del XXI secolo, che si può concedere di rilassarsi un momento, semplicemente, e che questo rilassamento è il presupposto di ogni discorso che non voglia restare retorico, astratto, e superficiale.

 

Accogliere significa poi comunicare in modo credibile che la crisi che stiamo vivendo tutti non è una cosa negativa, non è qualcosa da nascondere, o di cui vergognarci, soffrendola magari in solitudine, e con mille sensi di colpa.

Significa comunicare invece che la crisi di identità e di significato che stiamo attraversando è la cosa più interessante, la cosa che a noi interessa di più, è anzi l’unico luogo davvero vitale e sincero, il luogo della nostra possibile trasformazione.

Questa crisi è insomma una grandiosa e meravigliosa crisi di crescita.

E questa è una prima e spesso sorprendente buona notizia!

 

Per accogliere in questo modo è necessario d’altronde che chi accoglie sia in prima persona un po’ rilassato e rigenerato, che abbia già fatto un buon lavoro sulle proprie tendenze a forzare, sulle proprie pretese “religiose” o “catechetiche”, sulle proprie immagini perfezionistiche e moralistiche, su ogni rigidità o difesa, proprie del suo ruolo, che sia cioè fluido, flessibile, abbastanza vuoto e silenzioso, e quindi rallegrato, o, se volete, abbastanza povero nello spirito, ma sul serio, e non per sentito dire …

 

La seconda A è Ascoltare, e direi innanzi tutto insegnare ad ascoltarsi.

Questa parola è molto usata in ambito cristiano, forse troppo, ma non sempre viene praticata nella prassi quotidiana, pastorale e catechistica.

L’uomo di oggi non sa ascoltarsi, non si concede di ascoltare le proprie emozioni, e ben pochi lo aiutano ad ascoltarle, e a dare loro un nome, a nominarle. Ma le emozioni devono essere riconosciute e nominate con precisione, specialmente quelle più dolorose, solo così infatti possono addolcirsi almeno un po’, e gradualmente addirittura mutare di segno, come quando dentro le nostre paure impariamo a scoprire sepolti e bloccati desideri.

 

Ricordo un corso che tenni all’Università salesiana sulla crisi antropologica in atto. In quelle poche ore di lezione arrivavo però comunque a sperimentare qualche elemento del nostro metodo. Alla fine, in un momento di condivisione al termine del corso, una suora congolese, di circa 35 anni, già ampiamente formata e destinata ad essere formatrice vocazionale, intervenne molto emozionata, manifestò tutta la sua gioia e soddisfazione per il corso, e piangendo disse: mai nessuno mi aveva chiesto finora: ma tu di che cosa hai veramente paura?

 

Parliamo tanto di ascolto, ma chi ci aiuta ad ascoltare, a riconoscere, e a condividere in gruppi accoglienti le nostre paure? Chi ci aiuta ad ascoltare la nostra rabbia, e ad interpretare i bisogni legittimi e giusti che spesso malamente esprime? Chi ci dice che la disperazione, che cova nel nostro profondo, deve e può essere ascoltata, che non c’è da vergognarsene, e che anzi possiamo condividerne la sofferenza, che tutti ci accomuna, e che questo condividere amorevole e accogliente quasi la scioglie, e può trasformare la sua amarezza in lacrime di gioia, in una inaspettata e soave dolcezza?

 

Anche per sviluppare questo tipo di ascolto è ovviamente necessario che le guide siano abilitate, siano cioè persone che questo ascolto lo pratichino per se stesse, e per tutta la vita: solo un iniziato può iniziare a ciò cui è stato iniziato. Ed è di iniziazione reale all’esperienza spirituale che abbiamo tutti una grande fame, una fame direi da morire, come ci ricorda Papa Francesco: “Oggi si chiede troppo frutto da alberi che non sono stati abbastanza coltivati. Si è perso il senso dell’iniziazione, e tuttavia nelle cose veramente essenziali della vita si accede soltanto mediante l’iniziazione. Pensate all’emergenza educativa, alla trasmissione sia dei contenuti sia dei valori, pensate all’analfabetismo affettivo, ai percorsi vocazionali, al discernimento nelle famiglie, alla ricerca della pace: tutto ciò richiede iniziazione e percorsi guidati, con perseveranza, pazienza e costanza, che sono i segni che distinguono il buon pastore dal mercenario”. (Discorso ai partecipanti al corso di formazione per i nuovi vescovi, 16 settembre 2016).

 

La terza A è Accompagnare.

Il processo di liberazione interiore, e di rigenerazione nello Spirito della nostra nuova umanità, in Cristo, se vogliamo parlare sul serio, e uscire dalle astrattezze di tanta predicazione, è lunghissimo, anzi dura in sostanza fino all’ultimo respiro, e va accompagnato per anni, per decenni, in fondo per sempre. Ecco perché abbiamo strutturato un cammino di sette anni, alla fine del quale quasi tutti ricominciano daccapo, su un tornante più alto però e più profondo della spirale della loro liberazione.

 

Accompagnare significa camminare in prima persona, può accompagnare solo chi cammini molto e cammini sempre, non chi presuma di essere già arrivato da qualche parte, e che debba solo trasmettere qualcosa di già acquisito.

Qui, nei territori dello Spirito, nulla è del tutto acquisito, qui non si può dare più nulla per scontato, qui bisogna rimotivarsi e riscoprire ogni giorno il senso di ciò che facciamo. Questa è la natura, estremamente metamorfica e fluida, e cioè potenzialmente spirituale, dell’umanità che sta nascendo. Per cui il processo deve rimanere altrettanto fluido, e l’accompagnatore deve essere una sorta di fiume in piena, pieno di Spirito, entro il quale le anime fluide dei praticanti possano confluire e ravvivarsi, rimanendo e anzi scoprendo sempre di più la loro liberissima identità personale.

 

Solo se queste tre A vengono realizzate a dovere, la quarta, e cioè l’Annunciare, può trovare il suo giusto clima, e cioè l’ascolto adeguato.

Se insomma noi accogliamo una persona in modo convincente, e le diamo un certo ristoro, un po’ di vero calore umano, e così la tranquillizziamo, e le offriamo reiteratamente uno spazio di autentico sollievo; se poi la aiutiamo ad ascoltarsi, e la conduciamo delicatamente e gradualmente nel suo profondo dolore inascoltato, e le facciamo sperimentare quanto sia importante, e terapeutico, ascoltare la propria persistente paura, e condividerla fraternamente; se per anni accompagniamo questa persona nei suoi mille smarrimenti e dubbi e cadute e tentennamenti e regressioni, mostrandole come gruppo che si può sempre ricominciare, sempre più nuovi e risanati, allora quando le parleremo della sua umanità pienamente realizzata nel Cristo Vivente, quando le diremo che questo Spirito umano e divino è in lei, e la sta, ci sta guidando tutti verso la pienezza della vita, che già a tratti sta sperimentando, allora quella persona ci darà ascolto, perché finora non la abbiamo mai ingannata, non le abbiamo mai raccontato cose che lei non abbia poi potuto sperimentare in prima persona. Allora l’annuncio diventa evento efficace: “La centralità del kerigma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna” (Evangelii gaudium n. 165).

Insomma: accogliere, ascoltare, e accompagnare, per annunciare efficacemente.

 

 

Un metodo iniziatico integrato: l’elemento culturale

 

Se finora abbiamo descritto il metodo relazionale del nostro percorso, ora vorrei sinteticamente spiegare quali siano i contenuti e le pratiche concrete che vengono passati ai praticanti anno dopo anno.

Vorrei subito dire che il nostro itinerario è profondamente organico, è cioè realmente una iniziazione, una graduale penetrazione fisica e personale dentro i misteri della nostra salvezza, ed è proprio questo accompagnamento mistagogico (cfr. E.G. n.166) che integra e organizza le diverse componenti formative del nostro percorso. Tutto cioè viene finalizzato alla trasformazione reale delle persone lungo il loro itinerario organico di liberazione, di piena realizzazione umana, in Cristo.

 

In questa prospettiva noi tentiamo di integrare tre elementi essenziali della formazione iniziatica, che sono spesso però del tutto separati, se non addirittura contrapposti tra di loro, per cui possiamo parlare, a proposito dei Gruppi Darsi pace, di un autentico metodo iniziatico integrato.

 

Il primo elemento è quello culturale, e consiste in una approfondita interpretazione di questa fase storica del pianeta terra, vista come radicale spartiacque, soglia epocale, svolta appunto antropologica, attraverso la quale l’intera umanità è chiamata a passare da una figurazione preminentemente egoico-bellica ad una tendenzialmente più relazionale. Questa svolta d’altronde è oggi riconosciuta in modi differenziati, ma abbastanza univoci, sia in ambito laico che in ambito cristiano. Joseph Ratzinger ad esempio scrive che in questo momento storico dobbiamo vedere “la necessità di una svolta, annunciarla, annunciare che essa non può avvenire senza una conversione interiore”[4]. Mentre il sociologo americano Jeremy Rifkin parla addirittura di un riposizionamento della presenza umana sul pianeta, attraverso il quale “il sé esclusivo autonomo, implicito nei rapporti di proprietà privata, lascia il posto a un sé inclusivo e relazionale, partecipante alla piazza pubblica globale, virtuale e reale”.[5]

 

Lo stesso fenomeno della globalizzazione tecnologica viene letto, nei nostri gruppi, come ambigua traiettoria verso una unificazione planetaria, aperta ad esiti del tutto opposti, o di omologazione catastrofica e totalitaria, oppure come opportunità di straordinaria conversione di tutti i popoli.

Sviluppiamo insomma una lettura messianica ed escatologica del tempo presente, caratterizzato dalle estreme ambiguità, proprie dei tempi apocalittici, che d’altronde René Girard ci ha insegnato a vivere nella loro vera luce, che è rivelazione, chiarezza finale, che ci riapre alla vera speranza: “l’apocalisse non annuncia la fine del mondo, ma fonda una speranza. Chi apre gli occhi sulla realtà non cade nella disperazione assoluta dell’impensato moderno, ma ritrova un mondo dove le cose riacquistano un senso. La speranza è possibile solo per chi osa pensare i pericoli del momento”[6].

 

Tutta la storia precedente così, dalla svolta della modernità in poi, e andando indietro fino all’avvento di Cristo, viene riletta come preparazione di questo punto cruciale di ricominciamento, in cui lo stesso cristianesimo storico è chiamato a rivedere a fondo le proprie convinzioni e le proprie pratiche, e cioè ad una autentica Nuova Evangelizzazione.

E’ insomma la nuova umanità di Cristo che sta irrompendo direi da dentro la storia della terra, e dentro ciascuno di noi, per dare un nuovo inizio ad una umanità giunta alla sua stazione termini. E risulta indispensabile elaborare oggi una cultura che dia voce a questa nostra umanità nascente, in quanto sembrano invece tuttora predominare le voci dell’umanità morente, il suo vociare disperato, lamentoso, e le sue compensazioni pubblicitarie insopportabili.

 

Ogni elemento formativo richiede una sua pratica specifica, che, nel caso della cultura, è lo studio. Ogni praticante viene perciò sollecitato a riscoprire una forma meditativa di lettura, intesa non come raccolta di informazioni né come svago, bensì proprio come forma di meditazione, finalizzata a sintonizzarci ogni volta di nuovo con questo sguardo messianico e profetico, in grado di percepire l’ora della salvezza in ogni adesso storico.

L’elemento autoconoscitivo

 

Il secondo elemento è quello autoconoscitivo.

Si tratta di conoscere molto meglio noi stessi, le nostre emozioni, i nostri meccanismi psicologici, le nostre reattività automatiche, le nostre fortissime resistenze al cambiamento. Se infatti stiamo tutti passando di umanità, da una forma più chiusa ed ego-centrata di noi stessi ad una più aperta alla relazionalità, allora tutti noi dobbiamo confrontarci in modi molto più radicali con il nostro uomo vecchio, che non vuole affatto trans-figurarsi. E questo confronto richiede anche l’uso di tutti gli strumenti che la stessa ricerca psicologica dell’ultimo secolo ci ha messi a disposizione. Questi strumenti d’altronde vanno attentamente selezionati e finalizzati al processo iniziatico di liberazione, evitando di cadere nelle tante trappole e gorghi mentali in cui un’indagine psicologica può cadere, se non orientata e guidata dalla sapienza spirituale.

 

L’integrazione misurata e sapiente delle pratiche autoconoscitive di origine psicologica con l’apertura alla dimensione spirituale mi sembra uno dei compiti fondamentali nella ricerca di un nuovo metodo iniziatico, in quanto può evitare sia i pericoli gravissimi e diffusissimi di uno psicologismo riduzionistico e alla fine alienante e paralizzante, sia quelli di uno spiritualismo astratto che si illuda di bypassare le dimensioni oscure della nostra psiche con qualche salto sentimentalistico o moralistico, come spiega bene Amedeo Cencini:. “Se il messaggio teologico vuole scalfire la vita dell’uomo, non può trascurare la conoscenza di come la ‘macchina’ uomo funziona di fatto. (…) Così facendo la teologia rischia di rivolgersi a un uomo che non esiste e di chiedere a quello che esiste di funzionare a un livello per lui di fatto incomprensibile e impossibile. (…) La presentazione del messaggio cristiano e l’adeguata motivazione razionale non bastano per essere giusti e veraci. L’imperativo rimane astratto e inattuabile se ignora le situazioni contingenti che richiedono riconoscimento, interpretazione e capacità di gestione”[7].

 

Questa forma di autoconoscimento viene svolta attraverso la pratica costante di esercizi specifici, cui il praticante viene iniziato anno dopo anno, e che impara a condividere in gruppo, con l’accompagnamento dei formatori, ma anche a svolgere per iscritto da solo. Questi esercizi sono vere e proprie terapie spirituali, che ci aiutano ad affrontare le difficoltà concrete che incontriamo giorno dopo giorno nelle nostre esistenze.

 

 

L’elemento meditativo e contemplativo

 

Accanto a questi due elementi, culturale e autoconoscitivo, ma in realtà al centro di tutto il nostro lavoro, c’è l’elemento spirituale, e cioè una pratica meditativa e contemplativa regolare e costante.

Fin dal primo incontro della prima annualità il praticante viene introdotto in una forma di meditazione molto semplice, che tenta di sintetizzare conoscenze sapienziali millenarie, proprie sia della tradizione cristiana che di quelle asiatiche. Si tratta sostanzialmente di imparare a silenziare la proliferazione mentale in cui siamo abitualmente immersi, attraverso lo spostamento dell’attenzione al senso interno del corpo, e poi all’andamento naturale del respiro. E’ interessante notare che Romano Guardini utilizzava questi strumenti nei suoi esercizi spirituali, già all’inizio degli anni Trenta del secolo scorso: “Abbiamo fin qui parlato del comportamento fondamentale necessario per meditare. Vediamo ora in concreto come si fa. Si incomincia col farsi tranquilli. Dapprima all’esterno, nelle membra e in tutto il corpo. Buon aiuto allo scopo è il respiro regolare e l’abbandonarsi al suo ritmo. (…) poi dobbiamo lasciar calare giù sempre più in profondità dentro di noi questo tranquillo rilassamento”.[8]

 

Questa pratica sviluppa gradualmente un silenzio, e una pace, del tutto sconosciuti alla nostra mente abituale. Senza questo silenzio preliminare l’ascolto della Parola di Dio risulta molto difficile, come scriveva già san Basilio nel IV secolo: “Bisogna cercare di tenere la mente nella quiete. Non è possibile scrivere nella cera se prima non si sono spianati i caratteri che vi si trovano impressi. Allo stesso modo non è possibile offrire all’anima gli insegnamenti divini se prima non si tolgono via le idee preconcette derivanti dai costumi acquisiti” (Epistula II in PG 32).

 

A partire dalla metà del secondo anno, infatti, dopo cioè che ci siamo confrontati con la scelta di fede, la fase meditativa, che culmina nel silenzio di una coscienza sempre meno condizionata, viene integrata con la Preghiera dei Figli di Dio, una preghiera cioè che ci lascia attraversare, e realizzare giorno dopo giorno sempre un po’ di più, i grandi misteri della salvezza in Cristo.

 

La fase meditativa cioè viene vissuta come reiterata preparazione alla preghiera, evitando qualsiasi sincretismo o confusione spirituale, oggi purtroppo molto diffusi. Ci atteniamo perciò scrupolosamente ai principi espressi con estrema chiarezza da Joseph Ratzinger nel 1989, nel documento Orationis formas, della Congregazione per la Dottrina della fede: “Autentiche pratiche di meditazione provenienti dall’Oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, che esercitano un’attrattiva sull’uomo di oggi diviso e disorientato, possono costituire un mezzo adatto per aiutare l’orante a stare davanti a Dio interiormente disteso, anche in mezzo alle sollecitazioni esterne” (n. 28)[9].

 

 

Dall’io ego-centrato all’Io in Cristo

 

In fondo tutto il nostro cammino non fa che ripetere e approfondire in molti modi e da molteplici prospettive gli stessi passaggi di stato del nostro io, e cioè i medesimi stadi della nostra mutazione mentale (meta-noia).

In ogni momento tutti noi ripartiamo da uno stato almeno in parte ego-centrato, da una mente cioè almeno in parte distorta e alienata, condizionata dalle ferite del nostro passato, e abituata a seguire i propri codici difensivi.

 

Da questo stato possiamo passare, se lo vogliamo, a quello dell’io in conversione, che inizia semplicemente a studiare le proprie distorsioni, ad osservare come funziona nelle sue strategie aggressive e difensive, ad ascoltare le rabbie e le paure che stanno dietro tutti i nostri mascheramenti da bravi bambini, o da attivisti sfrenati, da moralisti integerrimi o da trasgressivi immorali.

 

L’io in conversione, però, l’io che studia se stesso, sia attraverso la meditazione di consapevolezza che mediante l’analisi psicologica, giunge prima o poi ad una soglia, oltre la quale non può più andare, oltre la quale non c’è più nulla da conoscere con lo strumento dell’autosservazione.

E’ la soglia del nulla, dell’abisso, e della morte, verso cui tutto sembra precipitare, perdendosi nell’insensatezza.

 

Qui l’io in conversione deve decidere se fermarsi, e adattarsi ad una condizione esistenziale fondata sostanzialmente sul nulla, oppure se dare credito ad una delle varie vie soteriologiche ed iniziatiche che ci dicono che quel nulla in realtà è solo la soglia di un’altra dimensione, cui possiamo accedere solo morendo alla nostra soggettività precedente.

 

Nel nostro itinerario noi compiamo qui la scelta della fede cristiana, in un costante confronto con le altre vie e sapienze spirituali.

Questa scelta di fede non è qualcosa che possiamo fare una volta per tutte, ma dobbiamo al contrario ripetere e rinnovare in ogni momento, e ad ogni pratica meditativa che si trasformi in preghiera.

La scelta di fede è cioè un atto libero che va sempre ripetuto, ed è questa ripetizione che rinforza e rinsalda la nostra fede, dando energia al nostro processo iniziatico.

 

Solo così, credendo e sperando e amando con forza crescente, l’io in conversione si trasforma nell’io in relazione, in un io cioè rigenerato dalla fede del Figlio.

L’io in relazione è l’io che si lascia rigenerare da ciò che decide di ascoltare e cui decide di credere, è in altri termini l’io mariano, solo dal quale può nascere il nostro vero io, il nostro Io in Cristo.

 

Ascoltando e dando credito alla Parola di Dio, io divento me stesso, l’Io-Cristo si incarna nella mia esistenza, nel mio spazio-tempo, e diventa lo Spirito del mio stesso Io, ed Io scopro la mia identità, che è la mia missione specifica, ciò che proprio io sono inviato a compiere su questa terra come agente messianico, inviato dal Messia a  illuminare, sanare, guarire, consolare etc., secondo la misura e le forme della grazia che mi viene donata.

 

Il costante passaggio dal nostro io ego-centrato al nostro Io in Cristo, questa reiterata Pasqua dalla nostra vecchia umanità mortale e scissa, separata da sé e da Dio, alla nostra nuova umanità rigenerata nella vita eterna dello Spirito, attraversando gli stadi intermedi dell’io in conversione e dell’io in relazione, e cioè dell’io battistico e dell’io mariano, non è che l’itinerario iniziatico che la Chiesa celebra e trasmette in tutti i suoi sacramenti.

Il nostro compito è solo quello di aiutare a realizzare personalmente ciò che i sacramenti significano, riscoprendone la loro natura di sacramenti della fede, senza la quale essi finiscono per non significare più nulla. Oggi si tratta di ripartire proprio dalla fede come esperienza iniziatica concreta e personale. Solo da qui anche i sacramenti potranno rigenerarsi e forse essere espressi con linguaggi liturgici e poetici rinnovati.

 

A proposito già Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975),

scriveva: “un certo modo di conferire i sacramenti, senza un solido sostegno della catechesi circa questi medesimi sacramenti e di una catechesi globale, finirebbe per privarli in gran parte della loro efficacia. Il compito dell’evangelizzazione è precisamente quello di educare nella fede in modo tale che essa conduca ciascun cristiano a vivere i sacramenti come veri sacramenti della fede, e non a riceverli passivamente, o a subirli” (n. 47).

 

Questo è il tempo straordinario del ricominciamento.

Lo Spirito di Cristo sta soffiando con forza inaudita nei nostri cuori, e ci sta preparando ad un grande salto evolutivo.

Apriamo le orecchie del nostro cuore, e rallegriamoci

Con tutto il nostro cuore.

 

Marco Guzzi

 

Pubblicato nella Rivista “Catechesi” 2019

 

[1] In questo Triennio lavoriamo su tre libri: M. Guzzi,  Darsi pace – Un manuale di liberazione interiore, Ed. Paoline 2004, Ib.,  La nuova umanità – Un progetto politico e culturale, Ed. Paoline 2005, e Ib., Yoga e preghiera cristiana, Ed. Paoline, 2009.

[2] Nel Primo Biennio lavoriamo sui volumi: M. Guzzi, Per donarsi – Un manuale di guarigione profonda; Ib., Dalla fine all’inizio – Saggi apocalittici, Ed. Paoline 2011; Ib., Dodici parole per ricominciare – Saggi messianici, Ed. Ancora, 2011.

[3] Nel Secondo Biennio lavoriamo sui volumi: M. Guzzi, Imparare ad amare – Un manuale di realizzazione umana, Ed. Paoline 2013; Ib., Buone notizie – Spunti per una vita nuova, Ed. Messaggero, 2013; Ib., Il cuore a nudo – Guarire in dialogo con Dio, Ed. paoline 2012.

[4] Benedetto XVI, Luce del mondo, 2010, pag. 96.

[5] J. Rifkin, La civiltà dell’empatia, Mondadori 2010, pag. 547.

[6] R. Girard, Portando Clausewitz all’estremo, Adelphi 2008, pag. 17

[7] A, Cencini e A, Manenti, Psicologia e teologia, EDB 2015, pagg. 25-26.

[8] R. Guardini, Volontà e verità – Esercizi spirituali, Morcelliana 1997, pag. 25.

[9] Su queste tematiche si cfr. M. Guzzi, Yoga e preghiera cristiana – Percorsi di liberazione interiore, op. cit..