Dai nostri frammenti l’annuncio di un battesimo
“ Se ci fermiamo ad una diagnosi immediata, il nostro tempo sembra caratterizzato da una frammentazione che genera soltanto frantumi e annulla ogni realtà preesistente, sbriciolandola. E’ come l’effetto dirompente di un’esplosione. Ma se guardiamo un po’ più sinotticamente le manifestazioni umane che si allineano anche malamente l’una con l’altra, intravediamo un travaglio universale di rigenerazione, di trasformazione rigenerativa”. Così mi diceva Mario Luzi in un recente dialogo, sintetizzando un po’ la linea ispirativa centrale di oltre 60 anni di lavoro poetico. Questa linea di grande coerenza è riassunta bene nel titolo di un libro del 1985: Per il battesimo dei nostri frammenti.
L’esplosione, dunque, c’è stata: la realtà e le menti che la pensano sono ormai specchi in frantumi: ognuno sembra una scheggia delirante: e ogni comunicazione profonda sembra interrotta. Tutto questo è vero, è davanti ai nostri occhi. Ma Luzi non si ferma a questa soglia: non dispera, né si crogiola tra i simulacri infranti, né si riduce ad un’amara ironia. L’indebolimento dell’io moderno qui va fino in fondo: non è tanto quello di Vattimo, per intenderci, quanto piuttosto quello di san Paolo. E’ un indebolimento da cui erompe la potenza sintetica e netta di un Altro, di un’altra voce, come canta Bonnefoy, e non l’estenuante prolissità del mio “declinante” piagnisteo.
Luzi, sulla scia di tutta la grande poesia contemporanea, da Hoelderlin a Rimbaud fino a Campana o a Char, annuncia, nella notte babelica di tanti imbonitori irresponsabili, il mistero di una nascita, di un battesimo appunto, e cioè la lenta e faticosa formazione di un’identità umana più ampia, dilatata rispetto al nucleo egoico saltato per aria. In quel colloquio infatti precisava: “Noi ci troviamo ancora dentro un abito convenzionale, che difendiamo dal suo naturale logoramento, però sentiamo che non ci interessa veramente più. C’è un respiro, un contenuto diverso che deve alimentarci e allargare il nostro campo vitale.” C’è una “nascita ininterrotta” tra i fumi velenosi e le nebbie mentali del tramonto occidentale: “Il bambino nel grembo. Il bambino che si prepara a nascere/ e spreme le vene di letizia/e di dolore”.
Per questa forza di annuncio e di rivelazione io credo che questo tipo di parola poetica costituisca, ben al di là dell’attuale produzione narrativa o saggistica, il linguaggio creativo più avanzato e più libero, l’unico che sia ancora capace di dire ciò che ci sta accadendo complessivamente, di esprimere cioè la complessità come evento unitario, come caoticità guidata però da una forza ordinatrice superiore. E l’armonia invisibile, come ci insegna Eraclito, è sempre più preziosa e più potente di quella che si lascia vedere, e che di volta in volta si caotizza proprio sotto la spinta di un’esigenza di crescita ulteriore.
Cristo: parola poetica
Nel suo volume La porta del cielo scopriamo le radici più intime della poetica di Mario Luzi. Conversando con Stefano Verdino il poeta ci rivela il nucleo cristologico della sua ispirazione, che d’altronde è più che evidente in tutti i testi. Luzi, infatti, non è un poeta “cristiano”, in quanto faccia del cristianesino il contenuto concettuale dei suoi versi, in tal senso non è né Dante né Manzoni. Ma è cristiano in quanto tenta in ogni verso di incarnare il Verbo nella sua attualità, di farsi tramite parlante dell’evento sempre presente dell’Incarnazione. In tal senso Luzi può arrivare a dire che tutta la poesia moderna, credente o non credente, sia comunque evangelica: “Il dramma del Vangelo che uccide per dar vita, si ripete in ogni vero poeta che deve far giustizia di tanta lettera morta perché lo spirito trionfi”. L’esperienza poetica autentica è cristica di per sé, in quanto agone, agonismo e agonia dell’Incarnazione della parola.
Questo è l’evento, “il duro evento” che penetra “d’ora in ora/ ben addentro nella carne/ e nella sofferenza”. L’ordine invisibile che guida il caos tardo-occidentale è dunque la dinamica stessa dell’Incarnazione di Dio nell’uomo, che metabolizza sempre più intensamente tutta la sostanza universale in ogni uomo ed in ogni momento. L’ordine è cioè una vita vivente, un processo “alchemico”, non uno schema metafisico prefissato; per cui vi si aderisce per palpiti, sincronismi, cardiografie, più che per concetti astratti.
C’è una qualità femminile e “mariana” in questa più fisica capacità d’ascolto: “Sono viva e mi raggiunge la vita,/sono donna”. E Luzi precisa: “La donna è stata per me nelle sue varie forme: la madre, mia madre, la donna, la Madonna, la natura e l’arte che l’ha perpetuata”. “Porta del cielo”,d’altronde, è uno degli attributi della Madonna. Ed è naturale che la Donna diventi centrale nel tempo universale del parto di una nuova umanità. Già Hoelderlin incominciava a rievocare in tal senso Maria “che partorì il Giorno”. Le conversazioni con Verdino poi partono dal ricordo della madre di Luzi, della sua spiritualità elementare, contadina, e profondamente vissuta: “Lei riusciva a inserire le cose in un ordine, anche doloroso”. Di nuovo l’ordine. D’altronde è tutto qui il problema, e Luzi ci ritorna continuamente.
Anche la natura non è amata in quanto bellezza esteriore, paesaggio, ma proprio in quanto esplicazione di una forza ordinatrice , di una legge “che spetta a tutti e si realizza con l’essere in un ordine, e la natura è appunto ordine”. Ordine che è poi lo stesso del destino umano: “Anche in questo caso connetterei la centralità cristica con la centralità cosmica”. Dio, Essere Umano, e Cosmo sono presenti in Cristo (e in ogni uomo cristificato) come dinamica, storia, storia della salvezza: Ordine del Giorno: Regno di Dio che viene: “Inatteso, ma solo in superficie inatteso/il nuovo giorno, il giorno di festa”. E qui veniamo ad un autore che ha molto influenzato Luzi, e cioè a Teilhard de Chardin che nel ‘36 scriveva: “Non si tratta di sovrapporre il Cristo al mondo, ma di ‘pancristificare’ l’universo”. E cioè di riverlarlo per ciò che è.
Verso una chiesa aperta all’avvenire
“La storia umana è una proiezione della creazione, forse effimera, ma concorde con l’espansione del mondo”. La fede di Luzi è perciò profondamente radicata nella storia concreta. E’ la storia umana il grande teatro dell’evento, della nascita, e del suo travaglio “carnale”, per cui la fede deve giocarsi interamente nel mondo: “siamo nel mondo, non separati”. I poeti, proprio i più spirituali, diceva Hoelderlin, debbono compromettersi con la carne più oscura del mondo. Perché Dio è lì ormai: Cristo è nei fatti, riecheggiò Bonhoeffer.
E qui la parola poetica si fa profezia, voce autorevole della chiesa e per la chiesa: “Da noi troppo spesso si è avuto una nozione difensiva della Chiesa, che poi non ce l’ha fatta a difendere nulla, o ha difeso male e con infelice strategia”. Mentre bisognerebbe proiettarsi in avanti con coraggio, come la chiesa primitiva, diventare “una fucina”, che non faccia del passato un mero “valore di garanzia”, “ma di rilancio e di conferimento di fiducia per altro cammino”.
Una chiesa più poetica? Certamente, se “poetico” significa capace di incarnare d’ora in ora la parola zampillante dal suo principio, dal suo “sempiterno inizio”. Anche per questo i tempi stanno maturando. La nostra è un’epoca straordinaria e terribile, di cose che decadono catastroficamente, e di nuove sorgenze primaverili. Ed è così anche nel cristianesimo, da secoli ormai. Che cosa potrà unire, ad esempio, le chiese cristiane divorziate se non uno slancio poetico di fedeltà al Principio Vivente, piuttosto che ai propri passati storici e teologici, così divergenti e bellicosi?
La parola e il ricordo umano di Luzi ci accompagneranno in questo sforzo come una luce di orientamento sicuro.