Intorno ad alcuni contenuti messianici di una conferenza di Jacques Derrida
In una conferenza tenuta ad un convegno dell’Unesco nel 1999 Jacques Derrida metteva in luce un aspetto abbastanza inosservato del nostro tempo, che può però rivelarci significati dirompenti, e cioè l’universale e sempre più intensa richiesta di perdono: “In tutti i palcoscenici del pentimento, dell’ammissione di colpa, del perdono o delle scuse che si vanno moltiplicando sulla scena geopolitica a partire dall’ultima guerra – e in anni recenti in modo quanto mai accelerato – si vedono chiedere ‘perdono’ non solo singoli individui, ma addirittura comunità intere, associazioni professionali, rappresentanti di gerarchie ecclesiastiche, sovrani e capi di stato.(…) Il proliferare delle iniziative di pentimento e di richiesta di ‘perdono’ senza alcun dubbio manifesta, oltre ad altre cose, un’improrogabilità universale della memoria, la necessità di guardare al passato. Questo gesto di memoria, d’autoaccusa, di ‘pentimento’, di comparazione, occorre che sia portato al di là dell’istanza giuridica e al tempo stesso al di là dell’istanza stato-nazionale”.
Che cosa può significare questo scavo, questo bisogno di purificazione della memoria collettiva?
Incominciamo col chiederci: che cosa implica, a livello individuale, un ripensamento, una rielaborazione, una revisione profonda di tutto il proprio passato?
Quando una persona rilegge la propria esistenza pentendosi dei propri comportamenti e di alcune delle proprie abituali forme di pensiero, e cioè identificando parti consistenti del proprio essere come negative per disidentificarsi da esse, viene a compiersi inevitabilmente una modificazione della sua stessa identità. Se io rivedo infatti la mia storia in chiave di riconoscimento dei suoi aspetti distruttivi e della necessità di una loro trasformazione radicale, io incomincio a costruire un’altra storia, e stabilisco così nella mia esistenza un principio di ricominciamento. Il pentimento dà vita cioè ad una nuova narrazione del mio passato, che mi rende disponibile per un nuovo inizio. La confessione anzi è propriamente il genere letterario, la forma linguistica del ricominciamento, per cui modificare la lettura dei propri trascorsi significa in un certo senso rinascere come nuove persone, e il lavoro purificativo sulla memoria va visto come rielaborazione narrativa della propria identità. E a livello collettivo?
Torniamo al discorso di Derrida.
“Ecco dunque l’umanità tutta percorsa da un’evoluzione che si vorrebbe fosse unanime. Ecco il genere umano che all’improvviso pretenderebbe di autoaccusarsi pubblicamente e spettacolarmente di tutti i crimini da esso effettivamente commessi contro se stesso, ‘contro l’umanità’. Infatti qualora si cominciasse ad autoaccusarsi, domandando perdono per tutti i crimini commessi in passato contro l’umanità, sulla terra non vi sarebbe più neppure un essere innocente, e dunque più nessuno in grado di indossare le vesti di giudice o di arbitro. Noi tutti siamo i discendenti, se non altro, di persone o di avvenimenti segnati in maniera consistente, interiore, indelebile, da crimini contro l’umanità”.
Secondo Derrida l’inizio di questo processo mondiale di autorevisione va collocato al tempo del processo di Norimberga, allorché si istituì a livello internazionale il concetto giuridico di “crimini contro l’umanità”. Da allora è come se l’umanità stessa, divenuta soggetto universale di diritti, chiamasse in giudizio se stessa per pentirsi di tutti i crimini commessi contro di sé, e cioè si dissociasse da sé, dalla propria storia, per cominciarne un’altra, e quindi per assumere in definitiva una nuova identità. Stiamo dunque partorendo, nel dolore di un lento pentimento universale, una nuova figura di umanità?
Derrida prosegue: “Questa convulsione, però, oggi avrebbe il profilo o le parvenze di una conversione. Di una conversione di fatto e tendenzialmente universale, in via di globalizzazione. Perché se, come credo, il concetto di crimine contro l’umanità è il capo di accusa di questa autoaccusa, del pentirsi e del chiedere perdono; se d’altra parte la sacralità dell’essere umano può di per sé giustificare tale concetto (niente è peggiore d’un crimine contro l’umanità dell’uomo e contro i diritti dell’uomo); se questa sacralità trova la giustificazione principale del suo stesso significato nella memoria abramica delle religioni del libro e nell’interpretazione ebraica, ma soprattutto cristiana, del “prossimo” e del “simile”; se di conseguenza il crimine contro l’umanità è un crimine contro l’essere vivente più sacro, e quindi contro il divino che è nell’uomo, nel Dio-fattosi-uomo, nell’uomo-fatto-Dio-da-Dio (la morte dell’uomo e la morte di Dio tradirebbero qui il medesimo crimine), allora la “globalizzazione” del perdono assomiglia allo scenario immenso di una confessione in atto, dunque a una convulsione-conversione-confessione potenzialmente cristiana, un processo di cristianizzazione che non ha più bisogno della Chiesa cristiana. Un processo che talvolta può prendere anche le parvenze d’ateismo, d’umanesimo o di secolarizzazione trionfante: l’umanità tutta sarebbe pronta ad autoaccusarsi di crimini contro l’umanità. Ad autoaccusare se stessa, a testimoniare da sé contro se stessa, ovvero ad autoaccusarsi da sé come se fosse persona diversa: se stessa come altro”.
Questo pentimento globale d’altronde sembra possibile solo in quanto nel profondo di tutta l’umanità sta emergendo un punto di vista nuovo, da cui appunto possiamo osservare il nostro passato per pentircene. E’ solo il germoglio del Nuovo, infatti, che ci consente, anche a livello personale, di rivedere la nostra storia, e di avviarne una profonda revisione purificativa. Sta dunque per davvero emergendo una figura inedita di uomo sulla nostra terra? Una figura che osserva con raccapriccio tutta la storia precedente, fatta di guerre e di stermini, di conflitti tra le culture e tra le religioni, e che vuole perciò pentirsene, chiedere perdono, assolversene, per ricominciare in tutt’altro modo? Non è questo fenomeno l’annuncio della prima e unica rivoluzione davvero globale, di una rivoluzione dell’essere stesso dell’umanità, del nostro modo di costruire la nostra identità, di essere cioè un io umano? E come sarà questo nuovo io che non definisce né fortifica più la propria identità contrapponendosi polemica-mente agli altri, ma aprendosi viceversa al processo trasformativo della propria conversione? Quale tempo straordinario si sta aprendo sul nostro pianeta? Quali chiavi ermeneutiche ci aiuteranno a viverlo in pienezza, in piena consapevolezza?
Con grande acutezza Derrida coglie l’essenza ebraico-cristiana del processo universale di confessione-rigenerazione dell’umano, che è in atto. Questa nuova umanità, infatti, che nasce dal perdono dei crimini della vecchia, non possiede altra radice spirituale, altro paradigma archetipico al di fuori dell’annuncio dei tempi messianici, tempi appunto di perdono, di grazia, e di ricominciamento, inaugurati da Cristo. E’ nella nuova umanità (rigenerata in quanto perdonata) del Cristo Gesù, infatti, che, in base alla fede biblica così radicata nelle nostre culture (anche laiche) di Occidente, si disgregano i grumi di odio e di paura, le strutture mentali e comportamentali, di cui è impastata e su cui è impostata la vecchia figura di uomo. E’ nella luce della pace messianica, che l’Uomo Nuovo dona alla terra, che noi vediamo con crescente chiarezza tutte le radici belliche da sradicare. Sta dunque l’Uomo di Pace emergendo in noi e sulla terra in forma inedita, e ad un inaudito livello di profondità, per riorientare la storia del mondo? Stiamo vivendo, ancora quasi inconsapevolmente, una fase nuova del tempo messianico della fine (della storia della vecchia umanità adamitica)? E in questa fase sono proprio le chiese cristiane che devono per prime pentirsi per ricominciare? Sono i cristiani che per primi debbono riconoscere gli elementi anticristici, violenti, oppressivi, che hanno impastato di veleno, di separazioni, e di orrore tutte le loro storie, come Giovanni Paolo II ha incominciato a indicare nella prima domenica di Quaresima del 2000? E cosa diventerà, che cosa anzi sta già diventando l’esperienza cristiana depurata da ogni intento egemonico, da ogni maschera di potere, e ridotta alla sua più nuda e semplice verità, e cioè al miracolo di una umanità che viene perdonata da tutte le sue colpe, per ereditare una terra di pace? E questa esperienza di ri-generazione la si vive necessariamente dentro le chiese, oppure pervade ormai l’umano nella sua essenza ultima, nella sua universalità senza insegne, nella sua povertà bisognosa di perdono e di ricominciamento, al di là di ogni adesione consapevole ad una fede?
Ancora una volta ci si mostra con chiarezza come il processo storico singolarissimo che stiamo vivendo richieda un impegno contemporaneo sia sul piano storico-culturale-politico, che su quello psicologico-spirituale, in quanto l’esperienza del pentimento, che ci rinnova e ci dà un nuovo inizio, è sempre prima di tutto un evento interiore, che però oggi più che mai vuole informare di sé e trasformare l’intera storia del mondo.
Ecco perché il Perdono e la Rivoluzione sono eventi ormai profondamente connessi e interdipendenti.
Il vento del disgelo è forte, alziamo le vele.