Premi "Invio" per passare al contenuto

Passaggio cruciale

La fine di un mondo
e la nascita dell’uomo

Lettura

“Forse siamo nel momento in cui la notte del mondo va verso la sua mezzanotte. Forse quest’epoca del mondo sta giungendo nel tempo della povertà estrema. Ma forse no, forse non ancora, forse ancora non ancora, nonostante la sconfinata indigenza, nonostante tutte le sofferenze, nonostante la miseria senza nome, nonostante la estenuante mancanza di pace, nonostante il crescente smarrimento. Lungo è il tempo, perché perfino il terrore, per sé preso come possibile causa della svolta, è inefficace finché i mortali non abbiano compiuto la svolta. Ma la svolta è compiuta da parte dei mortali solo se essi ritrovano la propria essenza. (…)

Siamo forse alla vigilia della più spaventosa trasformazione della terra intera, e del tempo dello spazio storico a cui essa è legata? Siamo alla vigilia di una notte che prelude a un nuovo mattino? Siamo in cammino verso il luogo storico di questo crepuscolo della terra? Sta nascendo solo ora questa terra della sera? Questo Occidente (Abend-Land) diverrà – al di sopra dell’Occidente (Occident) e dell’Oriente e attraverso ciò che è europeo – il luogo della storia futura più originariamente conforme al destino? Possiamo già dirci occidentali nel senso rivelato dal nostro passaggio attraverso la notte del mondo? (…) Siamo noi veramente gli ultimogeniti che siamo? Ma siamo anche, nello stesso tempo, i precorritori dell’aurora di una ben diversa epoca, che lascerà dietro di sé tutte le odierne rappresentazioni storiografiche della storia?”

M. Heidegger (1946), Sentieri interrotti, trad. P. Chiodi, Firenze 1977, pag. 249.

1. Vorrei iniziare la nostra riflessione con un moto di slancio e di fiducia, con un’apertura alla speranza, da vivere stasera insieme tra di noi. Proviamo, tanto per cominciare, a sentire ciò che dice Heidegger in positivo, proviamo cioè a percepire per un momento che siamo realmente sulla soglia di un grande inizio, proviamo a sentirci, umilmente ma con slancio, e nonostante il peso di tutte le nostre prove personali e storiche, i possibili precorritori dell’aurora di un’epoca nuova. Proviamo ad aprirci almeno un po’ a nuove prospettive su noi stessi e sull’andamento del mondo, e magari anche a scoperte inaudite.
Certo, il tempo che viviamo è arduo: molte certezze, molte convinzioni, molti schemi mentali, che ci hanno dato talvolta orientamento per secoli, stanno crollando, non ci comunicano più niente di decisivo; tuttavia io credo che se ci soffermassimo un po’ meglio ad osservare ciò che stiamo perdendo, ciò che si sta liquefacendo, forse comprenderemmo che in fondo questa liquidazione non è solo un male e che questo sommovimento planetario, questo terrae-motus in buona parte sta buttando giù tanti castelli di carte che avevamo costruito nei secoli con le nostre illusioni, tanti castelli di sabbia che avevamo eretto nei millenni con le nostre presunzioni, tante gabbie, in realtà, e sale di tortura.

2. Il vento della trasformazione che soffia sul pianeta è molto forte, ma la mia impressione è che il nostro problema sia la paura di alzare le vele. L’onda della trasformazione è alta e potente, ma mi sembra che ancora pochi imparino a prendere bene quest’onda immensa, ecco perché a volte sembra travolgerci. Il sottotitolo del nostro incontro è “la fine di un mondo e la nascita dell’uomo”, e io credo che questa nuova umanità sia in germoglio in ognuno di noi e che ognuno di noi dovrebbe anzitutto cominciare a percepirla dentro di sé, non aspettarla cioè come una palingenesi esterna ma attenderla piuttosto come una rivelazione interiore e al contempo una manifestazione storica. I due livelli, d’altronde, non sono più separabili nel nuovo tempo e anche questo lo stiamo faticosamente imparando: infatti abbiamo ancora un’ottica molto novecentesca, o forse ottocentesca, aspettiamo cioè che questo mondo nuovo venga fuori non si sa bene da dove, e ancora non abbiamo capito quello che tutto il novecento teorico ci ha insegnato, e cioè che il mondo è anzitutto una funzione interiore, una prospettiva, un punto di vista, e che dunque se non mutiamo questo nostro sguardo sulle cose, è molto difficile che il mondo cambi in profondità.
Io amo pensare questa nuova umanità nascente come un’umanità surfista, poiché il surfista sa come prendere l’onda gigantesca e sfruttarne velocità e potenza: egli infatti conosce molte leggi ed è molto allenato, ha uno straordinario equilibrio, deve saper controllare la paura e deve sapere rischiare la vita. Io credo che piano piano impareremo a volare sulla acque gigantesche di questa trasformazione e allora capiremo che questa cata-strofè non è altro che ciò che dice la parola, un “drastico mutamento di direzione”. Purtroppo dominano un po’ dovunque, anche dentro di noi, le voci di ciò che sta morendo. Eliot diceva “Così finisce il mondo / Non in un boato ma in un piagnisteo” e noi assistiamo dal punto di vista della cultura dominante proprio ad un continuo e a volte davvero desolante piagnisteo. Specialmente in questi ultimi 15-20 anni, troppi filosofi, poeti, politici, teologi hanno imparato quest’arte straziante di alzare solo canti funebri a se stessi; credo sarebbe davvero tempo che si decidessero a sparire. Un uomo di grande amore disse un tempo “lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”, questo è un gesto di carità, è un vero gesto di amore per la vita, lasciare che i morti riposino e i vivi vivano. Noi viviamo in un tempo in cui la cultura dominante è in gran parte rappresentata da queste voci di morte ben remunerate, nichiliste sì ma molto ben remunerate. Un poeta estremamente arrabbiato, dotato di grande passione ma carente di una dilatazione sufficiente di pensiero che forse gli avrebbe impedito di precipitare in quella cupa disperazione che sono stati gli ultimi anni della sua vita, e cioè Pasolini, diceva alla fine degli anni sessanta: “l’intellettuale è ormai dove l’industria culturale lo colloca perché è come il mercato lo vuole. In altre parole l’intellettuale non è più guida spirituale di popolo ma per dirla tutta è il buffone di un popolo e di una borghesia in pace con la propria coscienza e quindi in cerca di evasioni piacevoli”, magari nichilistiche, che sono tanto chic. Osservate le pubblicità dei rotocalchi, di Repubblica, del Corriere della Sera che pubblicizzano il superfluo più spaventoso proprio tra seriose riflessioni sul nichilismo dominante: la vita, l’universo non hanno alcun significato, ma i diamanti, gli stilisti, le auto di lusso sì…. Questo ha senso? Questa è solo una grottesca presa in giro. Abbiamo urgente bisogno di ossigeno, perciò, e cioè di pensiero, di spirito, abbiamo bisogno di entusiasmo, materia rarissima, sostanza difficilissima da estrarre poiché per avere entusiasmo reale oggi più che mai ti devi seppellire rispetto alla visibilità di questo mondo, se vuoi sperare di avere qualcosa da dire devi sparire per anni, stare nei sottoscala, nelle catacombe, passare la tua vita non visto o visto pochissimo, devi essere un minatore, uno speleologo, allora avrai qualche cosa da dire forse. La nostra cultura impoverisce perché degradano i costumi delle persone che si dovrebbero dedicare alla ricerca della verità: oggi è assolutamente fuori moda parlare delle virtù, ma bisognerà pure ritornare a parlare anche di esse. Un qualunque maestro della Grecia antica ci direbbe: tu vuoi veramente cercare la sapienza senza prima prenderti cura delle tue virtù umane? Durissima è infatti la ricerca della verità quando è autentica perché ci mette in gioco con tutto il nostro corpo e con tutta la nostra biografia.

3. Dopo questo invito a vedere il tempo che stiamo attraversando non solo come un declino piagnoso ma anche come una soglia di nuovo inizio, l’inizio di un’avventura, tentiamo di comprendere un po’ meglio questa nostra fase collettiva, seppure in estrema sintesi.
Noi oggi disponiamo di moltissime analisi specialistiche sul nostro presente e tutto questo è anche utile a suo modo, ma io vorrei questa sera partire da qualcosa di molto più semplice per valutare il nostro tempo, vorrei utilizzare un metodo più umile, più diretto e più rapido, e cioè vorrei che guardassimo semplicemente dentro la nostra realtà quotidiana, dentro la nostra esperienza personale. Che cosa vediamo dentro di noi e intorno a noi, nelle nostre amicizie, nei dialoghi che abbiamo, che cosa sperimentiamo continuamente? Io credo che innanzitutto sperimentiamo una grande fluidità: le cose si fluidificano, i punti fermi sembrano meno fermi e questo fluidificarsi spesso ci causa un senso di smarrimento, di paura. Tutti i contenuti delle nostre identificazioni, dei modelli di identità che ci sono venuti dalla storia sembrano non più solidi e anche non più credibili. Che cosa significa oggi, per esempio, essere un maschio o una femmina? Quali sono i contenuti sostanziali ed essenziali del mio essere un maschio e del mio essere una femmina, che cosa mi si richiede dal punto di vista del mio genere? Sappiamo quanto tutto questo sia in discussione, in travaglio. Che cosa significa poi oggi essere cristiano o essere laico? Le discussioni di questi ultimissimi tempi ci hanno mostrato appunto la fluidificazione e la fibrillazione di queste identità, le contaminazioni, i non più rigidi confini. Che cosa significa oggi essere un musulmano? Noi tutti vediamo cosa accade nel mondo dell’Islam proprio a causa di questo fluidificarsi dell’identità musulmana. Che cosa significa oggi essere progressista o conservatore? Forse oggi un conservatore è più progressista di molti sedicenti progressisti, almeno da un certo punto di vista, occorre vedere che cosa si vuole conservare; forse oggi chi vuole conservare qualche cosa, per esempio certi paesaggi, può avere uno sguardo più lungo di chi crede che solo il cambiamento sia progresso. E poi progresso in che senso? Un tempo era chiaro che cosa volesse dire progredire, oggi no. Un tempo le ideologie erano convinte di conoscere la mèta verso cui l’umanità si dirigerebbe, ma oggi? Queste identificazioni ideologiche forti che nell”800 e nel ‘900 furono assai importanti nella nostra cultura, che hanno dato valore alla vita di milioni di persone, oggi sono quasi del tutto liquidate. E continuando: che cosa significa oggi essere italiani e che cosa significa essere europei? Cosa vuole dire il nostro presidente della Repubblica quando tuona sul valore della patria citando giustamente Mazzini? Mazzini scriveva quelle parole in un altro momento storico e quello che voleva dire in quella situazione era a tutti ben chiaro: nel 1850 ad un italiano sarebbe stato evidente ciò che intendeva Mazzini dicendo “se non c’è l’ideale della patria italiana rimangono gli interessi particolari”, ma oggi? Che cosa è la patria? Che cosa dobbiamo intendere per senso di appartenenza alla patria? Quali sono i reali interessi dell’Italia, solo quelli economici cui si fa sempre riferimento? Io sono orgoglioso di essere italiano, mi piace la mia lingua e d’altronde la patria italiana è stata prima di tutto la lingua italiana, dunque noi siamo patriottici in quanto poetici e l’Italia nasce in poesia, e forse dovremmo riscoprire proprio questa sua natura spirituale… Cosa significa ancora essere europei? Entriamo in Europa, si diceva, usciamo dall’Europa, allarghiamo l’Europa, ma cosa significa questa Europa? Nessuno lo sa. Se io prendo le banconote dell’euro mi accorgo che non c’è un volto, sono forse le uniche banconote della storia dove non c’è un volto. Qualunque popolo mette dei volti sulle proprie banconote perché c’è una storia, perché quei volti significano qualcosa; noi invece rechiamo sulle nostre banconote soltanto geometrie astratte, perché se i governanti si fossero messi a tavolino per decidere chi scegliere, avrebbero litigato per una ventina di anni. Questo vuol dire però che l’Europa non sussiste ancora, in quanto quando fu fatta l’Italia i particolarismi degli stati aggregati furono trascesi da un senso nuovo di identità che esisteva. Noi non abbiamo l’Europa e quindi non abbiamo neppure una moneta europea, abbiamo dei facsimile, un’Europa senza persone. Quando avremo l’Europa forse avremo anche delle banconote europee con dei volti.

4. Tutte le identificazioni secolari dunque si stanno effettivamente fluidificando, fondendosi e confondendosi. Zygmunt Bauman, un importante sociologo, ama parlare perciò di identità liquide, ecco perché le aggregazioni storiche e politiche, che si sono fondate proprio su queste identità in liquidazione, tendono a sfaldarsi, a non aggregare più, a non entusiasmare, entrano in crisi. Anche la famiglia è in crisi per questo, perché le identificazioni di genere, cioè i modelli dell’essere maschio e dell’essere femmina, e quindi i modelli di relazione coniugale, sono in crisi, crisi che personalmente ritengo salutare. E così le chiese, così i partiti, nonostante la carnevalata continua che ci mostra la televisione con l’intento di farci credere che tutto proceda bene e tutto sia solido. Sono balle, lo sappiamo, dentro di noi sappiamo che quelle identità non sono affatto così nette, non sono affatto così solide come la carnevalata quotidiana ci viene a rappresentare. Siamo già fuori dal carnevale della storia dal punto di vista dell’evoluzione spirituale, siamo tutti in Quaresima, carnevale è finito, c’è solo in televisione, nella rappresentazione dominante del mondo, ma essa non ha più nessuna corrispondenza con l’esperienza reale delle persone.
Dunque ecco il senso profondo del tramonto di cui parlava anche Heidegger: quando i contenuti storici delle identità, di tutte le identità, entrano in fibrillazione, vuol dire che un intero mondo storico-culturale sta tramontando. Quando tramonta un mondo tramonta tutto l’insieme di modelli di identità che costituiva quel mondo. Ed infatti tutte le figure di identità per come le abbiamo vissute finora stanno tramontando e noi stiamo faticosamente, a tentoni direi, cercando di rifigurare queste identità, di trovare una nuova vitalità, un nuovo senso storico a tali figure. Questo è il dramma del passaggio di figura antropologica o di trans-figurazione che è in atto e che ancora non trova parole adeguate per essere descrito, parole che ci aiutino a vivere il travaglio in forma positiva. La crisi di identità che stiamo vivendo si traduce poi in cose concretissime: i nostri rapporti affettivi, l’insoddisfazione sul posto di lavoro, la difficoltà di trovare persone con le quali scambiarsi qualcosa di sensato, al di là della chiacchiera politica o calcistica, l’incredibile crescita del senso di solitudine che c’è oggi. Io lavoro con dei gruppi, e quindi da anni cerco di verificare il mio pensiero in una pratica relazionale, ed è proprio lì che incontriamo, nelle biografie di ognuno di noi, queste tematiche, nessuna teoria astratta dunque, ma carne dolente , persone che cercano in una depressività endemica, cercano sbattendo la testa di qua e di là un foro nel muro di Alcatraz, un sapore di fresco che ricordiamo ma non troviamo, l’ossigeno come dicevamo prima o lo spirito, lo spirito però non come concetto, non un’idea dello spirito, ma lo spirito come potenza della vita che non si ferma, nemmeno nella morte, e che quindi non teme nessuna katastrophè, ma balla anche sul ciglio della catastrofe, come ha sempre fatto.

5. Questo tramontare delle identità, amici miei, naturalmente non è una cosetta tranquilla, ma genera molta paura in tutti noi. La genera a Kabul e in Provenza, nel Tamil come in Padania, ognuno di noi ha una parte che vive con paura la sfida del cambiamento, per cui questa reazione di paura non va demonizzata, va compresa e superata, integrata. Non superiamo la paura cioè ripetendoci che non c’è nulla da temere, perché è una balla, c’è invece da avere paura, ma questa paura può essere vissuta senza che ci paralizzi, possiamo capire che è molto più pauroso e terrorizzante farci paralizzare, e che viceversa accettare il rischio dell’apertura in realtà diminuisce la tensione della paura.
Ora chiediamoci ancora meglio quale figura di umanità, quali modelli di identità stiano tramontando in questo occidente planetario. Quale figura antropologica di umanità cioè sta tramontando dentro di me e davanti a me se guardo bene un po’ ovunque? Se non ci facciamo queste domande, poi avremo enormi difficoltà anche a capire se questo tramonto sia realmente da temere o invece da auspicare. In altri termini, può darsi che quello che sta tramontando, sia pure lentamente, sia un bene che tramonti e anche qui citerei brevemente un pensatore che appunto amava tramontare, lo Zarathustra di Nietzsche: “ciò che è grande nell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo, ciò che si può amare nell’uomo è il suo essere un passaggio e un tramonto; amo colui che vive per conoscere e che vuole conoscere affinché un giorno sorga il sovrauomo, e in tal modo lui vuole il proprio tramonto”.
Andiamo dunque con ordine perché questo punto secondo me è vitale e chiediamoci: che cosa avevano e hanno in comune tutte le figure dell’identità umana che stanno tramontando? Se le studiamo a fondo, anche dentro di noi, vedremo che la loro caratteristica comune consiste nell’essere strutturate su una contrapposizione più o meno rigida all’altro da sé. Vale a dire io sono tanto più maschio quanto più sono rigidamente separato e diverso da te che sei femmina. Questa separazione sta poi alla radice di tutte le altre, anche dal punto di vista biblico. Dio infatti crea l’uomo maschio e femmina a sua immagine, e dunque la stessa immagine complessiva di Dio è maschio-femmina, la polarità degli opposti da cui nasce poi la vita a tutti i livelli, dal fiore fino all’uomo. La modalità della relazione sessuale che noi abbiamo vissuto per millenni è una modalità di rigida separazione, che ha profondamente ostacolato la vera coniugazione degli opposti.
Guardiamo la storia panoramicamente e vedremo che essa è essenzialmente una storia di guerre, anche perché i maschi, il più delle volte, andavano appunto in guerra, e sfogavano lì un eros fecondativo non capace di coniugarsi con la donna e di farsi quindi vita, con i loro cannoni, fuciloni, lance, tutti simboli abbastanza espliciti… Sparavano. Tutto questo fuoco, tutto questo eros che non sa creare vita coniugandosi con la donna, genera perciò morte fra maschi, tutto tra maschi, camerati, nemici, odiati-amati, mentre la donna se ne stava nel suo mondo femminile fatto da mamme, zie non sposate e figli. Questa identità di genere fondata sulla contrapposizione e sulla più rigida separazione, che avveniva precocissimamente e strutturava poi tutta l’educazione, ha creato un’intera cultura che noi adesso piano piano stiamo smantellando fluidificando appunto le identità di genere, e quindi creando anche un gran pasticcio, perché quando si crea fluidità le cose inizialmente si confondono e prima di ricreare un nuovo ordine si passa per una fase dis-ordinata.

6. Ma qual era l’ordine che stiamo perdendo? E’ questo che non ci viene mai detto da coloro che rimpiangono il passato, i bei tempi andati. Ma quali bei tempi, quando mai ci sono state queste famiglie cristiane solidamente fondate sui valori, quando, dove? Facciamo un esempio: forse nel 1930 in Italia le famiglie erano molto più cristiane di noi quando mandavano i loro figli a conquistare l’Etiopia e ad ammazzare gente innocente? Quelle erano famiglie costruite su bei valori solidi? Ma meno male che li liquidiamo questi valori, meno male che entrano in liquidazione queste società in fallimento!
Le identità culturali poi non erano fondate essenzialmente sulla contrapposizione? Io sono greco perché tu sei barbaro, il che significa semplicemente che non articoli la mia lingua, sei un non-uomo, nella migliore delle ipotesi un quasi uomo, dal momento che per un greco non era contemplabile che esistesse un’altra lingua oltre la sua. E infine, quali identità religiose dobbiamo rimpiangere? Quelle in nome delle quali ci siamo scannati senza pensarci un istante per secoli proprio qua, in Europa e fra cristiani? Questi sono i valori che vanno in crisi e meno male, perché dove sono ancora solidi, ad esempio a Teheran, poco liquidi e molto solidi, ci viene forse proposto un modello al quale ispirarci, dobbiamo rimpiangere qualcosa di simile, oppure una certa liquefazione di questa solidità è stata la condizione stessa dell’ampliarsi delle libertà in Europa? Questa è storia, non è un’opinione; è solo quando si sono incominciati a relativizzare determinati valori, comprendendo che forse anche l’altro poteva avere diritto a esistere, è solo da allora che si è cominciato a respirare un po’ meglio in Europa, dopo secoli di guerre di religione fatte per i solidi valori fondati sulle solidissime identità storico-religiose e culturali. E ancora le caste, le classi sociali: fino a ieri, fino alla seconda guerra mondiale, esistevano ancora rigidissime ripartizioni per casta, per professione, addirittura per quartiere. E ancora oggi è così, per moltissimi aspetti… Questo è il mondo che sta tramontando, le identità forti, solide che dovremmo rimpiangere e che si stanno effettivamente liquidando, un mondo in cui le identità erano fondate sulla contrapposizione all’altro e sull’esclusione dell’altro, cioè polemica-mente: io sono tanto più quello che sono quanto più sono contro di te, diverso da te; io sono cristiano perché tu sei pagano, e sono tanto più cristiano quanto più posso dire che tu sei pagano e quindi sei uno nell’errore e che io ho il diritto, anzi ho il dovere, di perseguitare o convertire per la salvezza della tua anima, per il tuo bene eterno.

7. Ora questo io, questo modo di essere un io che è fortissimo in ciascuno di noi, che scatta automaticamente, immediatamente, ovvero la contrapposizione rigida e violenta noi-altri, questa modalità di essere un essere umano è ciò che a mio parere sta tramontando da tempo; tutto il ventesimo secolo si può leggere come l’evidenziarsi dei limiti e anche dei pericoli sempre più insostenibili di questa modalità di essere umani, stiamo comprendendo a un livello filosofico ma anche a un livello storico che un io chiuso in se stesso, un io che rafforza la sua identità in questo atteggiamento di chiusura e di attacco-difesa, e quindi paura-avversione, questa intera modalità di essere un essere umano non regge più, non è in grado di fondare più nulla, né una famiglia, né un’aggregazione umana, né di dare senso ad un’amicizia, o tanto meno di organizzare il pianeta. Questo livello di coscienza, se così vogliamo esprimerci, ha esaurito le sue possibilità di rigenerazione. Badate, non lo stiamo giudicando, questo non ci interessa, perché sarebbe insensato come se diventando adolescenti ci mettessimo a giudicare le stupidaggini dell’infanzia che dovevano comunque essere vissute. Ma questa modalità di essere umani ha fatto ormai il suo compito e sarebbe stupidaggine perseverare in esso.
Se continuassimo così, infatti, ci distruggeremmo, non possiamo impostare i prossimi secoli con questa mentalità, non sopravviveremmo, non c’è dubbio alcuno, i segni sono ormai quotidiani, cosa dobbiamo vedere di più, dopo tutto quello che abbiamo visto nel corso del ‘900? Quello che stiamo comprendendo è che l’intera storia, e per storia intendo il periodo che va dalla nascita della scrittura in poi, e quindi più o meno gli ultimi 5500 anni, questa storia che noi conosciamo in quanto storia di identità belliche, di culture, di imperi che si sono fondati sulla guerra, sull’esclusione, sull’oppressione, sulla persecuzione, sulla ciclica creazione di capri espiatori, come direbbe Girard, tutta questa storia appunto sta finendo. Ecco perché si può anche parlare di una fine della storia, in un senso molto serio e profondo però, ovvero la fine della storia della guerra come fondazione essenziale delle culture, in quanto a sua volta fondazione occulta di ogni identità umana.
Questa è la scena che sta finendo e tramontando, per cui dovrebbe a questo punto essere molto chiaro che non abbiamo proprio nulla da rimpiangere. E questo atteggiamento nutriamolo perché avere un atteggiamento di rimpianto, di nostalgia, un atteggiamento poco indagato e pochissimo critico, fa malissimo alla salute. Credere che prima si stesse meglio, in qualunque prima, fa malissimo, oltre al fatto che non corrisponde a verità, ma soprattutto fa molto male perché ci tarpa l’entusiasmo, lo slancio, l’avventura, quell’attitudine, tipicamente umana, di pensare che il mondo nasca oggi. Ci sono naturalmente tanti presupposti, ma oggi io posso intervenire in maniera inedita, qualcosa di inedito può nascere, qualcosa che non c’è mai stato prima e che può venire al mondo solo tramite la mia fatica, la mia responsabilità. Questo dà energia. Non abbiamo dunque proprio nulla da rimpiangere. René Char, grande poeta francese che io amo citare, diceva: “l’età dell’oro non era che un crimine differito”. Non abbiamo nessuna età dell’oro dietro di noi, abbiamo invece terribili età di sangue, abbiamo età in cui gli uomini si sono ammazzati con una crudeltà infinita per i più bei valori proclamati con la bocca: Dio, patria, famiglia, rivoluzione, giustizia, pace, questo abbiamo dietro le spalle come storia. Poi ci sono chiaramente grandi esempi personali da cui noi continuiamo ad apprendere.

8. Ora vediamo rapidamente se riusciamo ad individuare qualche carattere di questa nuova figura di umanità che sta emergendo e che non ha bisogno per sentire forte la propria identità di contrapporsi all’altro. Chi volesse approfondire il tema può leggere comunque il mio ultimo libro La Nuova Umanità – Un progetto politico e spirituale (Ed. Paoline 2005).
Io credo che il punto cruciale sia sempre questo: quello che si sta rivoluzionando faticosamente nella storia e in ciascuno di noi è proprio il fondamento del nostro essere un “io”, cioè il senso stesso di ciò che ognuno di noi è in quanto persona umana. Che cosa significa essere un io, su cosa fondare questa percezione di identità? dove rafforzo, come rafforzo la percezione di essere un io? Se il nostro io oggi è così fragile è perché non è più in grado, se non in forme paranoidi, di rafforzarsi per contrapposizione. Certo c’è ancora chi lo fa, i fondamentalisti per esempio si sentono forti creando un mondo di odio, da odiare, sentono il loro io forte, ma in realtà è la forza dell’isterismo. D’altra parte non abbiamo ancora chiaro come poter rafforzare il senso del nostro essere senza contrapporci, senza dover escludere.
Io credo che se questa figura nuova di umanità potesse parlare potrebbe parlare più o meno così: “io sono tanto più fortemente maschio quanto più la relazione con te che sei donna diventa profonda. Quanto più io mi gioco nella relazione, tanto più la mia identità maschile si rafforza, ma si rafforza nella coniugazione, non nella separazione: io sono più maschio se sono più coniugato con il femminile, e non se sono più separato dal femminile”. “Fate l’amore, non fate la guerra”, era un’espressione ingenua degli anni ’60, ma aveva un grosso significato, molto molto profondo…Solo che la coniunctio è difficile, è più facile separarsi o contrapporsi, perché conoscere una persona, un amico, il tuo partner, fare procedere la relazione e non stagnare, è un lavoro che ti mette a contatto con i tuoi limiti, ti fa vedere quanto brutto e limitato sei tu, non il nemico contro cui spari, ma proprio tu. La coniunctio, il rafforzamento di un io che scava dentro di sé è difficile, è una trasformazione costante, non dà tregua, è un’avventura ero(t)ica. Noi diciamo che vogliamo amare, infatti, ma siamo in realtà terrorizzati dall’amare, come siamo terrorizzati dal vivere, stiamo in difensiva 4/5 della nostra vita, cioè siamo quasi sempre un io polemico in attacco-difesa.
Il lavoro è grande e lungo dunque, ma se stiamo parlando di un mutamento antropologico non ci dovremmo spaventare che sia così grande, né sorprenderci che grandi cose ci saranno date a comprendere. Io, per esempio, sarò tanto più credente non se mi contrapporrò al non credente, come se credere o non credere fossero questioni razziali. Io sarò credente quanto più mi aprirò al non credente che è anche in me, oltre a quello che incontro per strada, il mio credere troverà forza nel suo aprirsi al suo opposto che in realtà gli appartiene, perché il non credente ce l’ha ogni credente dentro di sé, così come ogni non credente ha un credente dentro di sé.

9. Allora l’io della nuova umanità non avrà paura di perdere niente della sua identità coniugandosi e cioè aprendosi a quello che sembra il suo opposto, è un’idea infantile dell’identità quella che presume di rinforzarsi difendendosi. Mi fanno tanto ridere questi revanchismi cristiani del nostro occidente tardo, tardo, tardo anche di mente, questi che vogliono “difendere” i valori cristiani, mentre noi sappiamo che i cristiani dovrebbero essere i discepoli di una persona che ha detto e insegnato che chi vorrà guadagnare, chi vorrà conservare, chi vorrà cioè difendere la sua vita la perderà, e questo è identico per l’identità, e chi invece la perderà per il mio nome, e cioè per la vita, la guadagnerà in eterno, l’avrà per sempre, perché è la dinamica stessa della vita il perdere per guadagnare, il morire per nascere, è il dinamismo costante della crescita. Che c’è da difendere? Evangelicamente niente, il Cristo non ha difeso niente, non si è difeso, non ha difeso la propria identità, quindi da un punto di vista cristiano queste visioni difensive sono veramente patetiche oltre che tragiche.
Potremmo dire così: l’identità umana, e questo vale per tutte le identità, diventa un viaggio di trasformazione continua nel crogiolo delle relazioni e delle relazioni tra opposti. Questo è il nuovo io, la nuova modalità di essere umani, che non è affatto debole, se non nella dialettica dell’indebolimento di ciò che non ha alcuna sussistenza, ed è necessario questo indebolimento perché emerga la forza di qualche cosa che io non posso controllare, possedere, delimitare, ma che mi si dà proprio in questo esodo continuo dalle mie presunte e presuntuose certezze. Io scopro chi sono non chiudendomi dentro la mia idea (fissa) di me, qualunque essa sia (io sono italiano, io sono cristiano, io sono comunista etc.), ma ridiscutendo questa identità che è comunque un patrimonio e non va perduta. Ognuno di noi parte da eredità storiche che non vengono perdute ma entrano in trans-figurazione, dobbiamo scoprire, ad esempio, come dicevamo prima, che cosa voglia dire essere italiani nella nuova umanità. Abbiamo un patrimonio immenso storico ma non sappiamo che cosa significhi giocarlo in questo gioco. La nuova umanità vive l’identità come una rivelazione, una rivelazione nella relazione, un esporsi per scoprire chi sei, chi sono, la nuova umanità è un’identità coniugativa, potremmo dire, o coniugale, come la figura dominante che sta tramontando era una figura bellica, polemica. Questa è una figura coniugativa, è un’identità umana che si realizza creando relazioni e questo costringe tutti, tutte le identità della storia, a profonde e costanti revisioni, purificazioni. Derrida faceva notare, poco prima di morire, come noi siamo entrati, dopo il processo di Norimberga in particolare, nell’epoca in cui a chiedere perdono non sono più soltanto gli individui ma sono intere aggregazioni culturali; è la chiesa cattolica, ad esempio, che sente il bisogno di chiedere perdono. Ma quale aggregazione, quale identità che ci appartiene non dovrebbe chiedere perdono? Noi come italiani non dovremmo chiedere perdono per tante cose? Non abbiamo anche tante cose di cui vergognarci nella nostra storia? Tantissime. E così ogni identità. Quelli che si dicono illuministi, per fare un altro esempio, quando faranno un atto di richiesta di perdono, perché in nome della ragione illuministica c’è stato anche il Terrore, ci sono stati anche gli stermini della Vandea? E’ come se tutte le figure dell’umanità fossero, dice Derrida, chiamate in giudizio davanti ad una nuova figura di umanità, e infatti abbiamo inventato il crimine contro l’umanità, l’umanità stessa sta maturando per vedere la propria storia come storia di crimini commessi contro se stessa, un’enorme fase di purificazione, bellissima, dolorosa, faticosa ma bellissima, grandiosa.

10. Per concludere, questo processo che è già avviato e che in realtà ha le sue radici in tutta la storia della modernità, che a sua volta affonda le sue radici nel mistero cristiano dell’annuncio di un genere umano trans-religioso, di una nuova umanità appunto, questa lunga storia avrà ancora un lunghissimo processo di gestazione. Come dice Heidegger siamo a mezzanotte, o forse non ancora, questo conta, naturalmente, ma dal punto di vista personale conta fino ad un certo punto, in quanto il lavoro di questa gestazione non può essere solo politico o culturale, questa è anche una reale gestazione interiore. Non basteranno cioè manifesti pubblici, non basteranno nemmeno ottimi libri, che saranno comunque necessari, per far venir fuori un’umanità trans-egoica e quindi veramente post-bellica che incominci a pensare le forme della convivenza in questa nuova chiave. Sarà necessario ed è già necessario un enorme lavoro interiore, ognuno di noi è chiamato a riconoscere e ad abbandonare il proprio io bellico, a riconoscerlo nelle sue sottili manifestazioni, e questo è un lavoro continuo, un lavoro che le grandi tradizioni spirituali ci possono aiutare a fare. Qui si colloca l’altro grande evento provvidenziale dell’incontro reciprocamente fecondativo tra le tradizioni spirituali dell’occidente e dell’oriente che possono, anch’esse relazionandosi, aprendosi l’una all’altra in un cammino che va verso un punto ulteriore, darsi il meglio delle loro tradizioni, scoprirlo anzi, perché il proprio meglio lo si scopre proprio quando lo si deve comunicare a chi è diverso, a chi è lontano da sé, l’interlocutore giusto per tirare fuori l’essenziale. Quando si è in casa tra amici infatti ci si abbandona spesso alla banalità, anche alla grossolanità, ma se ci si trova di fronte ad un musulmano e gli si deve comunicare veramente il bene di quello che la propria tradizione possiede, si userà molta attenzione per evitare di ferirlo inutilmente, non si diranno parole inutili, si eliminerà tutto quel sovrappiù, quell’enfasi, quella retorica che tutte le identità storiche e belliche portano con sé e che noi portiamo dentro di noi come attitudine inconscia alla difesa.
Uno dei caratteri più rilevanti della faticosa costruzione di una nuova cultura, perché una nuova umanità significa essenzialmente una nuova cultura, è questo nesso sempre più indisgiungibile tra i due livelli della trasformazione personale e della rivoluzione culturale ineluttabile e necessaria che preme e che non trova ancora parole per comunicarsi. Tale nesso è a mio parere il novum radicale ed è per questo che qualunque prospettiva di pensiero non può che tentare di tradursi anche in pratica relazionale, in trasformazione di rapporti, in accompagnamento, in cammino comune di trasformazione. Chiuderei perciò proprio con alcuni versi che ho inserito alla fine del mio libro Darsi pace (Ed. Paoline 2004), che è il primo manuale teorico-pratico dei gruppi che conduco. Immaginiamo un essere più sapiente di noi, che sia già oltre i nostri limiti, che veda le cose da un punto di vista più lontano, più ampio, più panoramico, che veda questo nostro momento, la nostra confusione, da un punto di vista più elevato e immaginiamo che si rivolga personalmente a ciascuno di noi: “Fratello, se vuoi la pace, datti pace, la pace è solo il tuo cuore sprigionato, fratello se vuoi l’amore diventalo, tu sei l’amore, tutto l’amore che cerchi, non chiedere perciò la pace al mondo e non pretendere l’amore da nessuno, la pace dalla tu, falla tutti i giorni con le tue mani e dallo tu l’amore, scroscia, donati, irradia, sii felice, è dandolo l’amore che lo ricevi in abbondanza”. Auguri.