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Lo splendore del volto

Alcune riflessioni sull’arte contemporanea

Un uomo osserva la statua di una bellissima giovinetta, dietro la quale sbocciano molti fiori. Sembra incantato.
Una donna accarezza la fronte del suo ragazzo disteso, gli sguardi però non si incontrano.
Donne sensuali sembrano cercare un appagamento ancora lontano: l’impegno di un anello forse, qualcosa di definitivo. Attendono di prendere il velo, attendono cioè le Nozze.

Di che cosa ci parlano le immagini di Alessandro Guzzi? E, andando più a fondo nel domandare: che cosa mostra un’immagine artistica? Che cos’è?
Se dovessimo basarci, per rispondere, su quanto ci viene proposto dalla cultura oggi dominante, saremmo costretti a dire che l’immagine artistica non è altro che un’accentuazione, ironica o tragica, di ciò che ordinariamente vediamo. L’arte contemporanea dominante non fa che attestare, garantire, sottoscrivere, magari sotto l’alibi della “denuncia”, lo sguardo mortificante di questo mondo. Tutti questi pupazzetti giapponesi o queste scene di orrore videotrasmesse o queste estreme e spesso puerili trovate necrofile o “scandalose”, escogitate per strappare qualche trafiletto ai giornali, non sono che pedisseque riproduzioni dell’immaginazione televisiva e pubblicitaria. Non ci dicono assolutamente niente di più. Anzi. Spesso sono molto più noiose e insipide di un qualsiasi spot o carneficina al telegiornale o videoclip musicale. E sono perciò del tutto innocue, in quanto omogenee al mondo di cui pretenderebbero di denunciare la violenza o l’assurdità. Sono, in altri termini, immagini prodotte dalla stessa mente che elabora le soap-opere o Striscia la notizia, per cui sono perfettamente integrabili (e difatti integrate) nel sistema dei poteri di questo mondo.

Se solo questo tipo di immaginazione fosse possibile, se cioè all’uomo non fosse data altra possibilità se non quella di riprodurre i quadri di un mondo che va alla malora, allora staremmo davvero messi male. Ma da sempre l’essere umano ha sperimentato altro. Ha saputo che è possibile vedere e operare dietro la scena ossessiva del mondo dato, lì dove il mondo può essere libera-mente immaginato adesso: lì dove il mondo sta nascendo proprio tramite le nostre fatiche, appunto tramite la nostra immaginazione attiva e creatrice.

Se dunque l’artista impara a guardare di là, senza farsi ipnotizzare dall’apparente perentorietà medusea dei suoi occhi mortali, potrà vedere ciò che ben più profonda-mente (gli) sta accadendo: ciò che in realtà sta accadendo a tutti, nel cuore del pianeta. E potrà così collaborare all’evento in atto.

Alessandro Guzzi ci mostra proprio alcune immagini di ciò che stiamo vivendo nell’organismo psichico del mondo, e di cui ancora ben pochi parlano: la faticosa e radicale riformulazione dell’essere umano nella sua realtà coniugale, e cioè a partire dalla relazione originaria che lo costituisce: “Dio creò l’uomo a sua immagine;/ a immagine di Dio lo creò;/ maschio e femmina li creò”(Genesi 1,27).
Tutti noi stiamo soffrendo la verità di questo mistero, di questo ricominciamento, di questo passaggio cruciale di portata antropologica, stiamo desiderando e camminando verso una coniugalità nuova, un essere maschi e femmine cioè coniugati in modo inedito, capaci di un amore molto più libero, che abbia vinto ogni paura, e che si sappia fare perciò anche opera di trasformazione planetaria: sovversione attiva delle leggi di morte di questo mondo. Tutti noi desideriamo soltanto bellezza e amore, unione e pace, anche negli inferi della nostra disperazione metropolitana, e nel profondo del nostro essere è proprio ciò che stiamo edificando, magari attraverso molte prove, separazioni, e fallimenti e fughe e finzioni.

Ri-generare l’umano come essere coniugale, davvero postbellico in quanto finalmente trans-egoico, e cioè trans-figurarsi in un io che ama e che pro-crea, non è affatto facile. E le immagini di Alessandro Guzzi ci raccontano molti aspetti di questo aspro itinerario iniziatico, di questo passaggio di umanità, da una figura antropologica ad un’altra. A volte il nostro cuore è indurito nel proprio gelo invernale, il nostro maschile si chiude allora nelle proprie paure, nel proprio mondo “marziale”, e la donna rimane un sogno lontano, o si fa statua di marmo. A volte la donna sembra offrirsi ad un maschile che però latita o che le sfugge, per cui essa finisce per confondere l’amore con la seduzione, che è invece ancora una forma (egoica) di dominio e di controllo. Le Nozze comunque avverranno. Questo è certo. Ce lo attestano la bellezza del colore e la luce dei volti: profezie dell’evento agognato. L’amore compirà ciò che ha iniziato, in quanto la sua forza unitrice, coniugante, è la potenza stessa che ci ha creati per questo, per unirci ed essere felici.

Questa forma di immaginazione (non riproduttiva ma pro-creativa) ritrova la libertà poetica e appunto produttiva del pensiero umano, che è di per sé procreazione di mondi. E così, celebrando l’essenza libera dell’uomo, ridisegna in bella i lineamenti del nostro volto. La figura umana riemerge dunque nella pittura, all’inizio del XXI secolo, come profezia e insieme racconto del passaggio antropologico in atto, e cioè appunto della grandiosa Trans-Figurazione del volto umano.
Pensando a questo tipo di immagine pro-creativa Martin Heidegger perciò scriveva: Erst Gebild wahrt Gesicht/ Doch Gebild ruht im Gedicht: Solo l’immagine conserva un volto/ Ma l’immagine riposa nella poesia.

E non a caso questa immagine umana in via di trans-figurazione riemerge proprio dalla fatica, dalla lentezza, e dall’umiltà radicalmente trans-egoiche del gesto pittorico, capace ormai, dopo il Novecento, di partorire l’Inaudito. Dopo e attraverso le Nozze infatti viene il Parto, e ogni nascita richiede l’impiego di tutto il corpo. Qui non c’è furbizia sufficiente. Né rapina. Né escogitazione concettuale. Solo la dedizione e l’attesa di un miracolo che attraversi tutto il nostro essere e lo illumini della luce di ciò che sta venendo in noi, possono garantire una buona gravidanza. Solo un nuovo spirito di consacrazione al mistero nascente potrà far emergere in noi e nel mondo quel Essere Umano che da sempre siamo e al contempo attendiamo di diventare: “Vi è una condizione più sacra della gravidanza? Tutto ciò che si fa, compierlo nella silenziosa fede che debba in qualche modo andare a beneficio di ciò che in noi va divenendo! (…) C’è qualcosa di più grande di quel che noi siamo e sta crescendo qui, è la nostra speranza più segreta (…) In questa consacrazione si deve vivere! Si può vivere!” (Nietzsche)