La gabbia di ghiaccio e il vento del disgelo
Si potrebbe dire che la ricerca interiore, e cioè la più autentica via della conoscenza, consista nel rendersi sempre più pienamente conto di essere almeno in parte imprigionati in una gabbia di ghiaccio, e nel tentare ogni giorno di uscirne, con sempre maggiore determinazione. Anche chi non percorre un itinerario spirituale è ovviamente in buona parte ingabbiato e surgelato, ma non lo sa. Vive la sua esistenza con il cuore parzialmente ghiacciato e non spera nemmeno che altro sia possibile, si accontenta di una raggelata autosufficienza, di una disperazione più o meno composta. Certo a volte succede anche a lui di sentire uno strano calore interiore, di percepire una speciale dolcezza che sembra liquidare alcuni strati della sua ghiacciaia interiore, di intuire che la vita forse nasconde un suo segreto più profondo e più buono sotto tutte le apparenze di una casualità assurda e crudele; ma quello strano sentore viene subito rimosso o dimenticato o appiattito con qualche pensiero riduttivistico: mi sono soltanto commosso, non è null’altro che una regressione infantile etc. La persona spirituale invece comprende sempre meglio di essere realmente e drammaticamente almeno in parte in cattività, e proprio per questo cattiva, che vuol dire appunto prigioniera, e perciò si protende quasi ad ogni respiro verso l’evasione, e verso quelle potenze di luce che la possano salvare, liberare.
Chi non avverta la pesantezza e l’oppressione della propria prigionia non chiederà mai con tutta la sua forza: Aiuto! Salvami! Ed è solo da questo grido di aiuto che prende avvio ogni giorno il moto della autentica conversione/liberazione, come nel Flauto magico di Mozart, che inizia appunto col grido Aiuto! Aiuto! di Tamino inseguito dalle potenze oscure, dal drago della notte.
Ogni giorno dobbiamo renderci conto delle spesse pareti di ghiaccio in cui siamo ordinariamente relegati, e implorare il caldo respiro dell’estate. Le sentite queste pareti terribili e taglienti in cui siamo reclusi? Percepite gli strati di paura, di diffidenza, di rancore, di disperazione che ci separano dal Cuore Vivente del mondo, da noi stessi, e dagli altri? Percepite l’oscuro dolore che ci portiamo dietro e dentro per quel tanto che siamo imprigionati e paralizzate nel ghiaccio, come i dannati nella Gheenna di Dante? La scrittrice Simone Pacot ci avverte: “Dobbiamo essere quotidianamente vigilanti per lasciare i nostri vecchi vestiti di dubbio, di impotenza, di smarrimento, e cessare di comportarci come se fossimo soli a dibatterci nei nostri problemi”.
Questo significa in un certo senso aprirci alla grazia, e cioè al calore, all’alito materno che scioglie goccia a goccia il nostro ghiacciaio, ci liquida, ci fluidifica, e ci rende così torrenti e ruscelli di benedizioni per gli altri: benedire infatti significa essenzialmente sciogliere le gabbie di ghiaccio in cui le donne e gli uomini muoiono di freddo e di disperazione. Benedire significa essenzialmente scaldare, far sentire all’altra persona che è amata di per sé, benedetta senza condizioni, pienamente riconosciuta nel suo diritto di nascita ad esistere e a gioire.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di questo lavoro quotidiano sui nostri cuori raggelati. Le nostre città pullulano di uomini e di donne indaffarate e disperate. Tutti corriamo con la morte nel cuore, col cuore in ghiacciaia. Più il cuore è freddo e più ci diamo da fare, più ci distraiamo, ci riempiamo di rumore, come dice Carl Gustav Jung: “Il bisogno di rumore è quasi insaziabile, poiché si teme ciò che potrebbe venirne fuori dal proprio intimo”. Tentiamo cioè di sfuggire alla sensazione di gelo interno spostandoci sempre più verso la banchisa polare, ma non è questa la direzione che dovremmo prendere. Dovremmo invece ogni giorno ritrovare la stradina sottile e impervia che ci riporta al Cuore, dovremmo imparare a raccordarci con il suo palpito, a riconnetterci con la sua rete informativa, a decifrare i suoi antichi messaggi, a ri-cordare cioè chi siamo. Dovremmo addirittura imparare a non muoverci, a non organizzare nulla, a non progettare niente se prima non ci siamo riconnessi con il Cuore Caldo che in noi ci insegna a pensare amando e scaldando, a progettare restando vicini al Fuoco della Vita. Questo riorientamento al Cuore fin dal principio delle nostre giornate diventerà sempre più evidentemente una questione di pura e semplice sopravvivenza. Sempre più drammaticamente infatti l’umanità sta verificando la distruttività di una vita, sia personale che storico-collettiva, costruita restando in prigione, sulla base cioè di un pensiero rigido e ghiacciato, e perciò sostanzialmente morto, perché senza cuore. Ecco perché specialmente i cristiani sarebbero chiamati a mostrare che altro è davvero possibile, che è realmente possibile impostare la propria esistenza sul progressivo esodo da tutte le nostre prigionie. Questa sarà a mio parere l’unica vera nuova evangelizzazione: incontrare persone e comunità in cui i cuori vengano scaldati e rianimati: una Chiesa che sia evidentemente, davanti agli occhi di tutti, la grande Camera di Rianimazione dell’umano: il Vento potente e tiepido, dolcissimo e liberante, del Disgelo.