Interpretare il tempo presente per favorire
la trans-formazione dell’uomo
In questo articolo vorrei percorrere con voi un cammino vero. Quand’è che un cammino, un itinerario può dirsi vero? Io credo che la sua autenticità si possa rilevare se e quando il suo percorrimento ci porti a scoprire cose nuove dentro e fuori di noi, se e quando lungo le sue tappe sentiamo che qualcosa incominci a cambiare, e a cambiare in meglio. Sì, un cammino di pensiero è vero se ci illumina, ci alleggerisce, e ci rallegra, anche se a volte può metterci in crisi, scomodarci, costringerci a mutare prospettive e punti di vista.
In tal senso il Salmo 83 ci dice che è beato, è felice, è fortunato chi decide di intraprendere un vero itinerario trasformativo, perché imparerà ad utilizzare anche le fasi dolorose e difficili del proprio percorso, e conquisterà sempre nuova forza, fino a raggiungere quella pienezza di luce che chiamiamo Dio:
Beato chi trova in te la forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio.
Passando per la valle del pianto
la cambia in una sorgente,
anche la pioggia
l’ammanta di benedizioni.
Cresce lungo il cammino il suo vigore,
finché compare davanti a Dio in Sion (Sl 83, 6-8).
Interpretare il tempo presente
La prima tappa del nostro cammino consisterà nel tentativo di interpretare la singolarità e, per certi versi, la ultimatività del nostro tempo. Perché partiamo proprio da uno sforzo di orientamento storico? Perché qualsiasi riflessione sui vari fenomeni di crisi della società contemporanea, dalle trasformazioni del mondo del lavoro all’impoverimento progressivo del dibattito politico, dallo sfaldamento della famiglia alle insufficienze ormai decennali della scuola, dalla crisi della catechesi e di ogni agenzia educativa, deve, o meglio dovrebbe necessariamente partire da un’apertura adeguata di comprensione della singolarità della nostra fase storica?
Potremmo dire che ci sia una ragione teologica e una ragione antropologica, strettamente connesse tra di loro. Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes leggiamo: “Il Popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo spirito del Signore, che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio”(11a). Per cui il Dio Vivente noi lo incontriamo proprio nella concretezza estrema delle nostre vicende terrene, tentando di leggere fino in fondo e di scoprire il senso evolutivo e salvifico delle nostre biografie e storiografie. La conoscenza di Dio, cioè, la teo-logia autentica, non può separarsi da una sempre più profonda conoscenza dell’uomo nella sua esistenza storica, e quindi appunto da una antropo-logia radicale. E’ lì che il Dio Vivente, e quindi il Senso risolutivo di ogni crisi, può essere attinto, e non in astratte elucubrazioni di qualsiasi tipo.
Eppure leggere in profondità il proprio presente non è affatto facile, e a noi umani non ci viene per niente naturale, come denunciò per primo Gesù: “Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”(Luca 12,54-56). Gesù dice che chi non sa leggere il proprio tempo è un ipocrita. Perché? Perché per comprendere il tempo collettivo bisogna avere innanzitutto l’onestà di interpretare con chiarezza la propria vita. Per comprendere la radicalità antropologica della crisi che stiamo attraversando su questo pianeta dobbiamo guardarci allo specchio e riconoscere la crisi profondissima che attraversano la nostra esistenza, i nostri affetti, il nostro lavoro, la nostra spiritualità. Altrimenti siamo appunto degli ipocriti, maschere difensive, commedianti che ingannano se stessi, e che non potranno mai comprendere che cosa stia succedendo nel mondo, né quindi dove e come si stia manifestando il disegno di Dio.
Se non impariamo a rispondere alla domanda che Dio ci pone ogni giorno, a partire dalla caduta di Adamo: Dove sei? In che punto ti trovi della storia della (tua) salvezza? non potremo mai lasciarci penetrare dall’Adesso di Cristo, dal suo Presente di assoluta novità, e quindi non potremo neppure collaborare attivamente alla sua Opera trans-figurativa in ogni ambito concreto della nostra esistenza personale e storico-collettiva.
L’esaurimento di tutte le figurazioni belliche di umanità
Ebbene, oggi più o meno tutti i commentatori e gli studiosi occidentali, sia laici che cristiani, concordano nel ritenere estremo in modo del tutto singolare il nostro tempo, in cui, come diceva ancora la Gaudium et spes “è in pericolo di fatto il futuro del mondo”(n. 15). Ma attraverso questo pericolo, che appare per molti aspetti addirittura definitivo, sembrano aprirsi opportunità inedite di sviluppo e di crescita umana, come disse l’allora cardinale Ratzinger proprio iniziando il suo discorso di Subiaco del 1° aprile del 2005: “Viviamo un momento di grandi pericoli e di grandi opportunità per l’uomo e per il mondo”.
Ma in che cosa consiste questo Passaggio Cruciale che stiamo vivendo? Come possiamo definire concettualmente in forma unitaria questa transizione che ci pone dinanzi a svolte, discrimini, crisi, spartiacque così drammatici? C’è un senso comune, una causa profonda che possa spiegarci al contempo lo scontro tra le civiltà e la nascita di una inedita cultura della pace, la povertà delle attuali offerte culturali dominanti e la fame crescente di nuova spiritualità, ma anche i totalitarismi del 900 e l’arte astratta, l’esplosione della psicoanalisi e i movimenti più o meno caotici degli anni ’60, insomma questo turbine incandescente che è stato l’ultimo secolo e dentro il quale continuiamo a procedere a velocità accelerata e spesso in uno stato di semi-incoscienza?
Proviamo a dire in estrema sintesi così: un senso comune c’è, ed è il tragico esaurimento di un’intera figura antropologica di umanità, che possiamo definire egoico-bellica.
In tutte le tragedie, ma anche in tutti i grandiosi passi evolutivi del XX secolo, si è manifestato con estrema chiarezza che se l’umanità continuerà a fondare le proprie civiltà su forme di identità (nazionali, razziali, religiose, sessuali, etc.) chiuse in se stesse, difensivo-offensive, e quindi in definitiva belliche, finirà per distruggersi. Perciò l’intero XX secolo può dirsi complessivamente apocalittico, in quanto in esso ci si rivela nei fatti, se ovviamente impariamo a leggerli in profondità, la distruttività di un’intera figura di soggettività umana, di quel tipo di io che si rafforza contrapponendosi all’altro da sé polemica-mente, per dominarlo o escluderlo, per assimilarlo a sé o per annientarlo. Questa forma di soggettività determina, come sappiamo, non solo molteplici modalità di convivenza (dalla famiglia agli stati), ma anche ogni tipo di conoscenza che pretenda appunto di dominare completamente l’oggetto del proprio conoscere.
Qui non possiamo soffermarci ad illustrare adeguatamente questo fenomeno di portata secolare ed estremamente complesso e multiforme, ma ciò che dovrebbe risultarci evidente fin d’ora è che il tempo presente ci sta spingendo verso una nuova figurazione antropologica, verso una inedita configurazione della nostra soggettività umana, per davvero post-bellica. Stiamo cioè faticosamente partorendo dentro di noi e tra tutti noi, abitanti della terra, una umanità, un io umano che non si rafforza più chiudendosi dentro le mura difensive della propria identità, ma viceversa aprendosi all’altro da sé, e quindi aprendosi alla propria trasformazione nella relazione. L’io umano che sta nascendo in questo travaglio secolare sta scoprendo che la vera forza non viene dalla rigidità delle proprie (presunte) certezze, tutte belliche, quanto piuttosto dalla flessibilità del suo mutare relazionandosi a ciò, a chi, essendo altro da me, mi costringe o alla guerra o alla comune trasformazione, al comune sforzo di andare oltre noi stessi.
Solo così si costruisce la pace.
All’io egoico-bellico, ormai sempre più palesemente insostenibile, si sta lentamente sostituendo l’io relazionale, l’io coniugale, l’io che noi cristiani non possiamo che vedere come espressione della nuova umanità, appunto costruttrice di pace e di unità, inaugurata da Cristo.
Questo Passaggio Cruciale è per davvero una svolta antropologica, in quanto finora e per millenni tutte le identità sociali, sessuali, culturali, politiche, e religiose sono state sostanzialmente bellico-oppositive. Tutta la storia della terra, in verità, dalla nascita della scrittura sumerica (3300a.C.) in poi, è stata ed è tuttora una storia di guerre, di città e poi di stati in guerra tra di loro, di ceti e classi sociali in guerra tra di loro, di civiltà e religioni in guerra tra di loro. Ciò che stiamo attraversando è la drammatica liquidazione universale di tutte le figurazioni egoico-belliche delle nostre identità. Ecco perché viviamo una crisi generalizzata di tutte le identità: tutti i contenuti storici di tutte le nostre identificazioni si stanno purificando degli elementi egoico-bellici che ancora li costituiscono. E questo comporta una fibrillazione, un travaglio, e una purificazione immensi. Ti credo che la famiglia è in crisi! Stiamo ridefinendo l’essere maschio e l’essere femmina in forme non più oppositive-separative. E’ ovvio che la politica e le religioni siano in crisi, abituate da millenni a fondarsi sull’esclusione, la condanna, la scomunica, la demonizzazione dell’altro, del nemico di turno. Ma questa liquidazione universale ci parla in realtà di una nascita e di un Battesimo. Ci stiamo purificando, stiamo rinascendo. Alleluia.
La riconciliazione purificativa tra cristianesimo e modernità
Anche la Chiesa cattolica ha avviato questo lungo e difficile processo di purificazione, innanzitutto assorbendo alcuni elementi fondamentali della cultura moderna e democratica attraverso il Concilio, e poi avviando con Giovanni Paolo II quel cammino di pentimento e di richiesta di perdono per tutte le forme egoico-belliche in cui si è espressa per secoli la nostra fede, anche in vista di quella riconciliazione e riunificazione tra tutti i cristiani che non potrà mai avvenire, se non attraverso un processo di profonda conversione e purificazione di tutte le chiese, come ha ricordato ultimamente il cardinale Kasper all’assemblea ecumenica di Sibiu. E’ bene tenere presente che questa rilettura penitente della nostra storia di cristiani non può che modificare gli stessi lineamenti della nostra identità, rimettendola in movimento e in gioco. E’ chiaro che non muta nulla dei principi fondanti della nostra fede, ma muta nettamente il modo in cui li interpretiamo e li incarniamo nella concretezza delle nostre esistenze e della nostra cultura. E per noi cristiani alla fine questo è il dato preminente, in quanto sul piano dei principi teologici astratti san Francesco e Pinochet probabilmente sarebbero stati d’accordo…
Questa liquidazione delle figurazioni egoico-belliche del cristianesimo storico ha già portato a enormi trasformazioni nella Chiesa cattolica, e io credo che ancora più profonde revisioni segneranno il XXI secolo. In particolare dovremo confrontarci con quel aspetto della rivoluzione antropologica in atto che attiene alla radicale riformulazione della relazione fondamentale tra maschio e femmina. Anche questa relazione fondante è stata caratterizzata per millenni dalla rigida separazione/contrapposizione tra i sessi, cui faceva seguito un altrettanto rigida separazione dei ruoli sociali. Ebbene proprio questo schema sta andando in frantumi, e oggi è del tutto naturale, almeno nei paesi occidentali, che una donna possa essere medico o primo ministro, carabiniere o addirittura, nelle chiese luterane, vescova. Questo rivolgimento ci sta aprendo ad un’esperienza non più separante ma coniugativa delle nostre identità di genere, per cui anche qui io sono tanto più maschio non quanto più mi separo rigidamente dall’universo psicologico (affettivo ed emozionale) della donna, ma viceversa nella misura in cui mi coniugo con esso, mi unisco ad esso in una unità feconda e felice. E’ chiaro che non posso soffermarmi su questo aspetto rivoluzionario anche della formazione umana e cristiana, ma credo sia determinante comprendere che l’irruzione della donna e del femminile negli scenari pubblici della storia costituisca uno dei segni più forti della svolta antropologica in atto, come comprese molto bene Vladimir Soloviev già all’inizio del XX secolo: “nelle epoche in cui le vecchie forme delle idee vitali si sono esaurite, hanno perso ogni vigore e si esige il passaggio a nuove concezioni ideali, le donne se non prima certo con più forza e decisione degli uomini provano un’insofferenza per i limiti tradizionali della vita e l’impulso a uscirne verso il nuovo, verso il futuro… E’ sempre possibile una nuova forma di comprensione, di assimilazione e di realizzazione dell’eterna parola di verità, e attualmente è diventata indispensabile. L’agitazione dell’anima femminile è un segno evidente di questa necessità e dell’avvicinarsi del suo compimento”.
Eccoci dunque arrivati alla conclusione. Spero che abbiamo compreso la straordinaria bellezza e l’estrema difficoltà del nostro tempo, in cui siamo chiamati per la prima volta nella storia del pianeta a compiere una vera e propria svolta antropologica in piena consapevolezza e volendolo fare. Questa svolta cioè richiede, a differenza per esempio della svolta del neolitico, che ogni essere umano decida di compiere il passaggio trans-figurante e si impegni con tutte le sue forze a compierlo.
Il cammino che ci si apre dinanzi sembra richiedere una inedita riconciliazione vicendevolmente purificativa tra gli esiti più avanzati delle culture moderne e la tradizione cristiana, da cui essenzialmente provenivano e da cui però si sono divorziate lungo gli ultimi cinque secoli. Questi due grandi filoni della nostra cultura devono riconoscere di derivare dall’unico tronco spirituale della nuova umanità inaugurata da Cristo duemila anni fa, e riconoscendo questa loro strettissima parentela correggere tutte quelle unilateralità che sono nate proprio dalla loro divisione. Diceva a questo proposito con grande chiarezza Benedetto XVI nello stesso discorso di Subiaco che abbiamo già citato: “Il concilio Vaticano II, nella costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, ha nuovamente evidenziato questa profonda corrispondenza tra cristianesimo e illuminismo, cercando di arrivare a una conciliazione tra Chiesa e modernità, che è il grande patrimonio da tutelare da entrambe le parti. Con tutto ciò bisogna che tutte e due le parti riflettano su se stesse e siano pronte a correggersi”.
E’ da questa riconciliazione vicendevolmente purificativa che scaturirà, e sta già scaturendo, la nuova cultura dell’umanità nascente, e quindi anche si configureranno le modalità concrete di una nuova formazione dell’essere umano chiamato a trans-formarsi in un libero e consapevole agente di unità e di pace.
Articolo pubblicato nella Rivista Formazione e Lavoro, 3/2007.