Il nuovo bisogno primario
Dal desiderio di una perfetta salute alla speranza della salvezza
Uno dei fenomeni più vistosi del nostro tempo è l’amplificarsi progressivo dell’interesse per la salute. Si può dire anzi che la difesa della salute stia diventando l’unico principio davvero assoluto in base al quale si vanno determinando tutti gli ambiti della vita. Non solo ormai ci nutriamo chiedendoci ad ogni istante se i fritti o le arance, il cioccolato o il cavolo aumentino il colesterolo o abbassino il rischio di tumori; ma facciamo sport e facciamo l’amore, compriamo un auto o andiamo in bicicletta, fumiamo o pratichiamo uno sport, preghiamo o meditiamo, scegliamo un lavoro o un viaggio o una casa, sempre più consapevoli che ogni nostra scelta avrà conseguenze ben precise sul nostro stato di salute.
Il concetto stesso di salute inoltre si va dilatando di decennio in decennio, e ormai non significa più soltanto assenza di malattie, ma uno stato complessivo di pienezza vitale e di armonia psichica, di ricchezza relazionale e di forza creativa e spirituale. Per cui avere cura della propria salute significa certamente stare attenti a che cosa mangiamo a colazione, ma anche vigilare sui propri stati d’animo e quindi sulla propria vita relazionale e lavorativa. Ci stiamo cioè rendendo conto che la pressione del nostro sangue è un dato significativo dello stato della nostra salute non più dei nostri stati depressivi e malinconici o dell’assenza di un apparato simbolico che sappia dare un significato alla nostra esistenza. La nostra disperazione metropolitana, cioè, come d’altronde una vita sregolata e nutrita con i cibi più o meno rancidi del “Grande Fratello” o di “Ballarò”, possono abbassare gravemente il nostro sistema immunitario e farci ammalare. Sappiamo poi che la salute del nostro corpo non dipende soltanto dai nostri comportamenti personali, ma anche dalla struttura delle nostre città, dal traffico, dagli orari contronatura del nostro lavoro, dall’inquinamento acustico, dal livello pietoso della comunicazione di massa, dai mille e mille veleni chimici e psichici che ci aggrediscono da tutte le parti.
Questo fenomeno di dilatazione del concetto di salute verso tutto l’essere (biologico, psicologico, e spirituale) dell’uomo e verso tutta la complessità cosmica del pianeta può dirigerci in due direzioni del tutto opposte. Da una parte può rinchiuderci in una forma di salutismo nevrotico e paralizzante, in un egoismo sempre più angosciato dagli infiniti pericoli che la medicina e l’ecologia ci illustrano ogni giorno. Ma dall’altra può riaprirci ad un concetto di salute globale e quindi propriamente alla speranza della salvezza. Che cosa è infatti la salvezza, in senso cristiano, se non la speranza di una restaurazione definitiva del corpo e del cosmo? Di una guarigione da ogni forma di male e di imperfezione, di morte e di maledizione? E infatti il concetto di salute e quello di salvezza sono originariamente sinonimi, derivando dalla stessa parola latina salus, che a sua volta deriva da un’antica radice greca (solfos) che ha dato vita al vocabolo holon, da cui poi sgorgano anche le radici di heilig, health, whole etc.. La vera salvezza cioè è una sorta di integrazione totale, kat’holon, se vogliamo, e cioè “cattolica”, di tutto l’essere dell’uomo e del creato. Il salvato è l’uomo divenuto integro, sano e salvo, intero, non più scisso e ferito, e perciò, potremmo dire, finalmente e veramente in perfetta salute, entro un cosmo a sua volta sanato da tutti gli elementi di corruzione e di morte.
Primo passo: tornare a sperare in una salute/salvezza globale
L’uomo e la donna contemporanei possono dunque riaprirsi alla speranza di una salute/salvezza definitive, riconoscere che questo è il loro più acuto e più profondo desiderio, proprio partendo da questa crescente attenzione alla propria salute corporea. Dovremmo però radicalizzare il nostro pensiero e renderci conto che in quanto esseri mortali in realtà siamo tutti malati, siamo tutti affetti da una malattia appunto mortale, e prendere atto che l’idea di poterci salvare da questo stato con le sole nostre forze risulta del tutto illusoria.
Le due grandi ideologie moderne, infatti, quella scientistico-materialistica e quella materialistico-storica, che appunto pretendevano di produrre una salvezza universale con le sole forze della ragione e della volontà umane, sono tragicamente tramontate lungo il XX secolo. Nessuno più si illude che la scienza e la tecnica possano “salvarci” in via definitiva, o che la rivoluzione politica possa risolvere tutti i problemi dell’umanità. Anzi ci siamo resi conto che, accanto ai grandi progressi che la ricerca scientifica e le lotte di liberazione hanno senz’altro prodotto nella storia, enormi ombre distruttive sono state liberate, e scatenati effetti collaterali a volte più micidiali degli stessi vantaggi sperati.
Cadute queste due grossolane ideologie che erano divenute anche durissime censure nei confronti di ogni ricerca spirituale o religiosa, oggi l’uomo si ritrova da solo di fronte alle domande ultime di senso e al proprio straziante bisogno di salvezza. E torna a chiedersi con rinnovata semplicità: ma che cosa posso realmente sperare? Quale salvezza è possibile, è disponibile per l’essere umano?
Credo che innanzitutto dovremmo rieducarci a dare ascolto alle nostre più intime aspirazioni. Ci siamo troppo abituati a bollare come folli desideri infantili i nostri sogni di immortalità o di vita eterna. Generazioni di intellettuali, educati al pensiero astratto e quindi a pensare in superficie, hanno convinto i nostri popoli occidentali che l’anelito all’infinito che regna nel cuore umano e che in realtà connota la nostra stessa natura, non sarebbe altro che un vano delirare di cui liberarci per tornare ai giusti limiti del nostro essere povere “scimmie nude”. No. E’ tempo di tornare a delirare libera-mente, e cioè a superare i limiti di ciò che i nostri sensi ci fanno vedere, è tempo di tornare a rivendicare la follia del nostro cuore umano, i nostri sogni di eternità e di salvezza. E’ tempo di tornare a dirci con chiarezza che ogni uomo e ogni donna vogliono una vita senza fine, una gioia senza confini, una conoscenza piena, un amore finalmente integro, e cioè propriamente vogliamo Dio, siamo Deiformi e Teoforici, prima di qualsiasi scelta di fede o di non fede, portiamo comunque Dio, l’Assoluto, la Pienezza della Vita dentro di noi come l’impronta della nostra stessa sostanza, come ha precisato il Papa nell’enciclica Spe salvi: “La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente della vita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita”(27).
Secondo passo: riconoscere la nostra malattia mortale
L’uomo e la donna del XXI secolo dovrebbero dunque essere innanzitutto rieducati a comprendere che il loro anelito alla salute integrale possiede una profondissima ragione, un fondamento di realtà, e quindi una concreta possibilità di realizzazione, ma che nessuna tecnica e nessuna riforma politica potranno mai soddisfare in pienezza questo desiderio: la salute integrale che cerchiamo trascende infatti questo piano di realtà, anche se è già operante in esso, come una direzione, una guarigione progressiva, e una speranza incrollabile.
Dopo aver dato nuovamente credito al nostro desiderio di eternità e di vita illimitata, dovremmo perciò chiederci come mai l’essere umano viva questo bisogno entro una struttura mortale, deficitaria, e così soggetta alla malattia e ad ogni forma di infermità. Ed è qui, in questo confronto con la nostra difficile e ambigua condizione umana, che può inserirsi la riflessione sul mistero del peccato originario, e della caduta. Dobbiamo cioè interrogarci, anche qui con rinnovata semplicità, sulla alienazione strutturale che connota l’esistenza umana su questa terra.
Lungo il XX secolo sia la pratica psicoanalitica che la filosofia più radicale, semplicemente analizzando i fenomeni esistenziali, si sono dovute confrontare con il mistero di una alienazione, di una perdizione, di una distorsione, che sembrano strutturare l’esistenza umana come tale, come precisa, ad esempio Martin Heidegger, in Essere e tempo: “L’Esserci è, innanzi tutto, sempre de-caduto da se stesso come autentico poter-essere, e deietto nel mondo”. Oggi l’interrogazione sull’alienazione umana sembra quasi scomparsa dal dibattito culturale, forse perché l’alienazione è giunta ad una tale gravità da cancellare la stessa memoria di se stessa: siamo talmente alienati da esserci dimenticati di esserlo. Ma ancora nel 1967 lo psichiatra inglese Ronald Laing gridava con furore apocalittico: “Nessuno oggi, uomo o donna, può mettersi a pensare, sentire o agire, se non partendo dalla propria alienazione. Siamo tutti assassini e prostitute, quale che sia la cultura, la società, la classe, la nazione a cui apparteniamo, e per quanto normali, morali o maturi ci riteniamo. L’umanità è estraniata dalle sue possibilità autentiche… La nostra alienazione giunge alle radici. Il rendersi conto di ciò costituisce l’indispensabile base di ogni seria riflessione su qualsiasi aspetto dell’odierna vita umana di relazione”.
Terzo passo: entrare nel processo messianico della guarigione definitiva
Nessuna prospettiva di guarigione globale può prescindere da questo dato di fatto: l’essere umano deve sempre combattere con uno stato di partenza alienato, e quindi profondamente malato. Una condizione de-caduta che, come ricorda Benedetto XVI nel suo libro su Gesù, dipende da una duplice alienazione che il Papa riassume così, riprendendo la terminologia della teologia medioevale: “spoliatus supernaturalibus e vulneratus in naturalibus: spogliato dello splendore della grazia soprannaturale, ricevuta in dono, e ferito nella sua natura”.
Data questa nostra condizione di malattia mortale è chiaro che la nostra speranza di guarire in modo integrale e definitivo può poggiarsi solo su una potenza infinitamente superiore alle forze vulnerate dell’uomo, una potenza perciò “divina” che possa restituirci la nostra integrità, e ridonarci quella vita piena, che in noi resta solo un desiderio, un anelito straziante. Per cui il desiderio contemporaneo di salute, se portato fino alle sue estreme conseguenze e se ricollegato alle sue più proprie radici interiori, si manifesta propriamente come fame di salvezza, cui può corrispondere in pieno soltanto l’annuncio della bella notizia: il Medico è arrivato, il Medico che guarisce fino in fondo la nostra natura ferita è qui tra di noi, il Soter è ormai dentro la nostra carne umana, l’opera della perfetta guarigione è in corso, dobbiamo soltanto accordarci ad essa, farci assimilare, perdonare, guarire, liberare.
La salvezza messianica, avviata sulla terra mediante l’Incarnazione di Gesù Cristo, si differenzia dalle altre soteriologie proprio in quanto è una salvezza del corpo e non dal corpo, della terra e non dalla terra, del tempo e non dal tempo, dell’Io umano e non dall’Io umano. Anche questa differenza va oggi ricompresa e predicata rispetto alle salvezze precristiane, specialmente di origine asiatica. La salvezza (e quindi l’autentica spiritualità) cristiana non ci salva dalla storia, ma penetra nelle nostre esistenze per trans-figurarle da dentro: ed è perciò per sua natura terapeutica e rivoluzionaria (rispetto ai poteri oppressivi di questo mondo): vince cioè il male in ogni sua manifestazione: fisica, psichica, relazionale, politica. Qui sta la straordinaria modernità del cristianesimo e del suo ideale di salute/salvezza. La nostra salute integrale non implica solo la pulizia “intimistica” della nostra anima, ma anche la piena vitalità del nostro corpo, la ricchezza delle nostre relazioni, la verità della nostra religione, la giustizia delle nostre città, la santificazione di tutto il cosmo. La nostra salute sta nel Corpo/Cosmo risorto di Cristo, nel suo Regno di unità e di pace, e penetra già adesso in questa carcassa di mondo guarendo e distruggendo, sanando i corpi e smantellando i sepolcri imbiancati della storia, come ha fatto il Cristo e come continua a fare in ogni essere umano che si faccia tramite della sua Nuova Umanità.
Questa riscoperta della potenza terapeutica e di liberazione storica, propria della salvezza che si sta operando tramite il Cristo, può dunque riconiugare la tradizione cristiana con le migliori direttrici evolutive della modernità, dando ad esse il loro giusto orientamento: lavoriamo pure qui sulla terra con tutte le nostre forze per la guarigione fisica e per la liberazione politica di ogni persona, sapendo però che il compimento dei nostri desideri trascende questo piano di realtà, e consapevoli che la più potente forza di guarigione/liberazione ci viene sempre dall’alto, dall’Uomo-Dio perfettamente sano, che ci assimila a sé.
Questo orientamento escatologico dell’anelito contemporaneo verso una salute sempre più piena credo che richieda anche la formulazione di itinerari nuovi che possano far sperimentare all’uomo e alla donna disincantati e scettici del XXI secolo la concretezza e l’efficacia operative di queste parole, di queste promesse. Credo che l’annuncio della salus in Cristo non potrà che radicarsi sempre di più in esperienze personali e condivise di guarigione/liberazione, come il Cristo ha sempre insegnato inviando i suoi apostoli, ora come allora, ad annunciare la buona notizia e a guarire contemporaneamente e indissolubilmente “ogni sorta di malattie e d’infermità” (Mt 10,1).
Pubblicato nella Rivista “Via Verità e Vita – Comunicare la fede” – n. 4, luglio/agosto 2009, anno LVIII