Un amore che libera e sovverte
Il pensiero autentico come dono dello Spirito d’Amore
1. Da molti anni, quando debbo affrontare un argomento di un certo rilievo, sento la necessità di delineare prima una sorta di piattaforma di comprensione, un quadro comune di riferimento. Mi sembra in altri termini un po’ assurdo avviare un qualsiasi discorso utilizzando concetti e categorie in forma acritica, come se possedessimo un qualche codice o linguaggio o senso a tutti comune. Siamo viceversa in una fase storica di trasformazioni straordinariamente radicali, in cui è proprio un terreno comune di comprensione reciproca, e cioè propriamente una cultura, ciò che dobbiamo rielaborare, ciò che ci manca. Le parole, oggi più che mai, sono come fluidificate, vaporizzate. Gli uomini continuano a parlare tra loro e ad esprimere le concettualizzazioni di sempre, ma le rette dei loro discorsi non si intrecciano più, non intessono più tappeti mentali e comportamentali su cui poter fondare una vita comune. Ecco perché le relazioni tendono a sfilacciarsi. Ecco perché le leggi e i legami sociali a tutti i livelli non reggono più.
E allora chi o cosa regna veramente incontrastato in questo universale scioglimento di vincoli?
L’unico terreno davvero comune, su cui ci intendiamo tutti, dall’Iran alla Cina, a Wall Strett come all’Avana, sembra essere quello economico, determinato in forma sempre più globale dallo sviluppo inarrestabile delle tecnologie. Questa è l’unica vera cultura comune del pianeta: l’universo tecno-mercantile della comunicazione pubblicitaria globalizzata, che ci si offre addirittura come struttura naturale e necessaria, come l’ordine finale e insuperabile di questo mondo.
2. Il pensiero creativo, inteso come donazione genetica dello Spirito di Dio che di tempo in tempo si fa parola umana, e cioè come profezia delle culture, loro inseminagione divina, è oggi disertato o vilipeso. Quasi ad ogni livello si dà per scontato che il pensiero o debba esprimersi soltanto nell’orizzonte delle scienze empiriche e delle loro applicazioni tecniche, oppure debba “sospendersi”, rappresentando in ambito spirituale una sorta di ostacolo al contatto tutto esperienziale con la verità, come se ogni “pratica” poi non presupponesse uno scenario teorico e dottrinale ben preciso e spesso semplicemente ignorato e accettato in forma acritica se non addirittura inconscia, nell’illusione che la pratica seguita possieda una qualche innocente o metaconcettuale o peggio assoluta neutralità, superiore alle faticose e millenarie elaborazioni dottrinali di tutte le tradizioni della terra….
A me pare, invece, che oggi, in tanta confusione e pressappochismo spiritualistico autoreferenziale, abbiamo assoluto bisogno proprio di un pensiero, e cioè di un nuovo linguaggio che riconiughi lo Spirito con il Tempo storico, rianimando una cultura spirituale e non solo borsistica della globalizzazione in atto.
Per cui ogni riflessione fondata, che voglia contribuire per davvero alla controversa evoluzione planetaria, dovrebbe ripartire da una seria elaborazione teorica, e cioè da una comprensione profetica della soglia antropologica in cui ci troviamo a vivere. E’ solo un umile e profondo lavoro di pensiero, inteso non come esercitazione intellettualistica, ma come ascolto e incarnazione dello Spirito d’Amore che effonde il suo pensiero in noi, e quindi come vera e propria pratica spirituale, il cammino che potrà farci uscire dalle paludi mentali della postmodernità. Ogni evasione da questo impegno potrà offrirci certamente qualche ora di svago “spirituale”, qualche estatica e spesso salutare ora d’aria, ma non la chiave per aprire per sempre il carcere di questo mondo.
L’esigenza epocale di un amore creativo e fecondo
1. La piattaforma di partenza del nostro discorso, da cui sarà forse possibile osservare e comprendere i vari problemi da un punto di vista adeguato e condivisibile, potrebbe esprimersi così: l’uomo sta vivendo un transito metamorfico di proporzioni antropologiche del tutto singolare: sembra appellato e pressato a rivestire e a rendere creativo, e cioè appunto capace di generare cultura, un livello nuovo e inedito di autocoscienza, di apertura spirituale, e proprio attraverso una serie di catastrofi e di fallimenti che costellano infatti in modo travolgente tutto il XX secolo sia a livello di esperienza biografico-personale, che a livello storico-collettivo.
E’ bene tenere presente che questa consapevolezza non nasce affatto negli anni ’60 o ’70 del 900 in clima new age, ma viene da molto più lontano ed è profondamente radicata nel terreno della nostra cultura cristiano-occidentale. Ad esempio, nel 1915, Nicolaj Berdjaev scriveva :”Sta per iniziare un’epoca di creatività religiosa dalla portata universale, siamo alle soglie di un cambiamento cosmico.(…) il mondo moderno va verso la creazione, ma non ha ancora conosciuto una creazione autentica, né poteva conoscerla, del resto, prima della svolta cosmico-antropologica, prima della grande rivoluzione religiosa che dovrà avvenire nell’autocoscienza umana.” E Jacques Maritain sembra fargli eco nel sottolineare l’esigenza di questa nuova creatività dello Spirito :”Se una nuova era di civiltà, non di barbarie, deve schiudersi, l’esigenza più profonda di tale era sarà la santificazione della vita profana, una fecondazione dell’esistenza sociale-temporale operata dall’esperienza spirituale, dalle energie contemplative, dall’amore fraterno”.
2. Ma che cosa abbiamo constatato lungo il XX secolo? Abbiamo amaramente verificato che più questa esigenza di rinnovamento premeva e cresceva di intensità di decennio in decennio, più tutte le potenze della figura morta di umanità che continua a dominare dentro di noi e nelle strutture portanti del mondo, si sono scatenate per opporsi al proprio inevitabile tramonto. L’Ego disfatto si è contratto come mai, irrigidito, chiuso nella propria cecità, pur di evitare o almeno ritardare la propria sconfitta. E’ questa terribile e rabbiosa resistenza all’ineluttabile che spiega gli orrori e anche le vergognose contraddizioni del XX secolo. Lo stesso Berdjaev, dopo i primi entusiasmi del ’15, si rese subito conto che la via del rivolgimento spirituale non sarebbe stata così rapida, tanto che nella prefazione all’edizione tedesca dello stesso libro, Il senso della creazione, del 1927, sentì il bisogno di precisare :”Adesso come allora io credo che Dio chiami l’uomo ad un’iniziativa creatrice, ad una risposta creativa all’amore di Dio. La nostra creatività deve esprimere il nostro amore per Dio. E però, la crisi che sta attraversando l’umanità, quella crisi che porta alla luce innanzitutto la bancarotta dell’umanesimo, mi sembra oggi ancora più tragica: essa non consente di nutrire alcuna speranza in un passaggio immediato ad una creatività religiosa. Prima che possa apparire all’orizzonte il primo baluginare di un nuovo raggio di luce, ci attende ancora un lungo cammino fra le tenebre. Il mondo deve passare attraverso una nuova fase di barbarie.”
La creatività, infatti, può anche essere messa al servizio di intenzionalità diaboliche, e il Novecento potrebbe anche essere letto come lo scontro estremo tra le tendenze liberanti e quelle annichilenti messe in moto da una straordinaria energia creativa che irruppe nell’anima occidentale in modo travolgente, con la potenza dell’esplosione nucleare dell’atomo dell’Ego, generando mutamenti psichici e storici di ogni tipo. E sarebbe del tutto illusorio credere che la distruttività novecentesca sia stata battuta e archiviata con il 1989, e cioè con il crollo del comunismo europeo, che chiude la partita tra totalitarismi e società liberaldemocratica per il governo del mondo. Sussiste infatti una distruttività meno evidente e rozza, ma non meno pericolosa all’interno delle società “liberali”, ed è interessante leggere che cosa ne pensava, per esempio, Thomas S. Eliot nel 1939, e cioè in un momento particolarmente drammatico in cui l’Inghilterra liberale doveva ancora confrontarsi fino in fondo con il nazismo:”Ma la costante silenziosa influenza che si esercita in ogni società di massa imperniata sul profitto, e che conduce all’abbassamento del livello artistico e culturale, mi pare più insidiosa d’ogni forma di censura. La macchina sempre più perfezionata dell’organizzazione pubblicitaria e della propaganda – ossia la tecnica per influire sulle masse con ogni mezzo tranne che con l’appello alla loro intelligenza – agisce contro l’arte e la cultura. Ostili ad esse sono pure il sistema economico, il caos degli ideali e la confusione di pensiero che distinguono la nostra educazione tipicamente di massa”. E direi che tutta la seconda metà del XX secolo abbia dato ampia conferma a queste intuizioni profetiche di Eliot, tanto che giustamente, anche se forse troppo cupamente, Giovanni Testori poteva scrivere nel 1991:”Siamo alla disfatta clamorosa e dolorosa del comunismo e del capitalismo, di tutti gli orgogli umani che hanno strozzato il senso primo della vita. Il crollo del comunismo è più grandioso, perché definitivo. Il crollo del capitalismo è invece subdolo, perché il capitalismo ha più brillori, più chimere e maschere da mettere addosso ai suoi cittadini sconfitti. Il capitalismo addormenta, sa rinviare la presa di coscienza. Una disfatta non solo italiana, ma planetaria. La vedo nella distruzione del rapporto umano, nel non permettere che si ascolti la domanda radicale che abbiamo in noi, sempre occultata e differita. Giornali e televisione la spendono offrendo alternative di benessere e felicità stupida. La pubblicità stordisce, attraverso catture ottiche-uditive, il poco spazio che resta di libertà reale.”
3. Questo stiamo vivendo, questa disfatta che non si vuole riconoscere come tale e che quindi non sa e non può rovesciarsi in nuovo inizio, in conversione di rotta. E’ da questa comprensione dell’urgenza e della specificità ultimativa dei tempi in corso che possiamo riorientare il nostro pensiero e comprendere in che senso la vocazione all’amore risulti sempre più impellente per l’uomo contemporaneo disfatto e proprio per questo pronto a rinascere.
Partiamo dunque da una prima constatazione fenomenologica: tutte le parti del nostro essere, tutte le attività individuali o sociali che non sappiano rovesciare questa fine in una qualche forma inedita di novità di vita tendono a scindersi o in prassi convulse e senz’anima o in ritorni a forme di interiorità incapaci di azione efficace. Viviamo in sfere ipertecnicizzate di pura funzionalità meccanica o in ambiti spiritualistici avulsi da qualsiasi confronto con la storia reale. E questa scissione ci spacca letteralmente il cuore. L’attivismo produttivistico (dalla borsa a certo volontariato, dall’ebbrezza delle telecomunicazioni all’iperproduzione consumistica) e il risucchio psico-spirituale in un’anima impaurita e difesa, inesauribilmente catturata dalla propria “cura”, sono paradossalmente fratelli gemelli, figli entrambi della nostra attuale incapacità di creare, e cioè di coniugare lo Spirito che è Amore con la carne delle nostre storie, per dar vita a nuovi modi di stare insieme, di organizzare una festa o di utilizzare le tecnologie sottraendole alla tentazione luciferina di diventare fini a se stesse, uscendo così dall’orizzonte dell’umano. Siamo cioè incapaci di un Amore fecondo a tutti i livelli. Ecco una prima connotazione più precisa della vocazione che ci interpella. Continuiamo a farci tramiti di una fecondità/produttività (di cose o di rapporti) senza amore e senza senso, o, se va bene, di un amore senza fecondità, celibe e masturbatorio (da Internet a certi spiritualismi consolatori). Ecco perché la denatalità è l’indice della crescente impotenza creativa di un popolo, della nostra paura egoistica di dare alla luce il Figlio che rompa l’incantesimo della nostra sterilità umana e culturale.
4. Dato che il mistero dell’Incarnazione divino-umana dell’Amore che sa concepire e procreare è il mistero stesso dell’azione salvifica di Gesù Cristo, le nostre difficoltà psicologiche e storiche ad incarnare ad un nuovo livello di profondità e di forza lo Spirito dell’Amore fecondo ci segnalano una crisi di passaggio all’interno dell’economia della salvezza. Ci troviamo sul crinale di una fase nuova del processo di discesa di Dio nella carne dell’uomo, e quindi della rivelazione dell’Amore come sostanza unica e coesiva dell’intero universo. Intuizione questa che d’altronde si colloca anche al centro dell’intero pontificato di Giovanni Paolo II che si autointerpretava come preparazione al Grande Giubileo del 2000 inteso a sua volta proprio come ricominciamento su nuove basi purificate dell’intera storia della Chiesa, e quindi dell’intera umanità (cfr. Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente n.23).
L’unico problema SERIO che ci troviamo di fronte perciò è questo: come possiamo incarnare più integralmente l’Amore che preme in noi? come possiamo renderlo fecondo, creativo, procreativo in ogni ambito della nostra esistenza?
Noi uomini contemporanei siamo in realtà tormentati da questa energia d’Amore travolgente che non riusciamo a canalizzare in alcun modo e lasciamo stagnare e marcire in noi, o fuoriuscire in forme tossiche e autodistruttive. Molte delle nostre sofferenze psichiche, delle nostre paure e dei nostri sensi di colpa o di inferiorità derivano dalla percezione più o meno consapevole di tradire noi stessi, e cioè di non riuscire a diventare quegli uomini e quelle donne nuove che già vivono embrionalmente in noi attendendo che lasciamo loro la possibilità e lo spazio per venire alla luce. Molti degli orrori degli ultimi secoli inoltre andranno interpretati come effetti catastrofici delle distorsioni che abbiamo operato di questa spaventosa energia trasformativa che si rendeva disponibile. L’Onda dell’Amore infatti può essere distorta anche se finisce prima o poi per distruggere tutto ciò che intrinsecamente le si opponga o pretenda di utilizzarne in senso inverso l’impulso evolutivo. In termini biblici, tutto ciò che vuole anticipare e sostituirsi al Cristo Nascente è Anti-Cristico, opera vana del demonio, disastro al disastro destinato.
La salvezza come lavoro nella storia
1. E’ a questo punto che inizia il vero e proprio lavoro per ciascuno di noi, un lavoro che è innanzitutto psicologico e spirituale. Dobbiamo in primo luogo lavorare proprio sulle nostre canalizzazioni e chiederci: che cosa ostruisce i miei canali? che cosa devia o blocca l’espressione del mio amore ? che cosa mi riempie di paura nei confronti della libera espressione della mia vita creativa?
Questa è la fase reiterata del riconoscimento e della confessione delle nostre molteplici chiusure egoiche, una fase che oggi possiamo facilitare con tutte le pratiche di autoconoscimento psicologico sviluppatesi lungo il XX secolo, e anche mediante le diverse pratiche di meditazione che inducano in noi stati di pacificazione e quindi una maggiore limpidezza di sguardo autoosservante. E’ il sereno riconoscimento e la quieta accettazione dei nostri limiti, infatti, che facilita il processo passivo della loro trasformazione in sorgenti di nuova vita ad opera appunto dell’Amore che lancia i suoi raggi dal profondo del nostro cuore.
2. Più attenuiamo la rigidezza e la occlusione delle grate oscuratrici e avvelenanti delle nostre paure e delle nostre distorsioni interiori, più lo Spirito dell’Amore può effondere il suo respiro sanante in noi e procedere nella sua operazione di ristrutturazione psico-fisica globale, come dice bene Simone Weil:”Al di sopra dell’infinità dello spazio e del tempo, l’amore infinitamente più infinito di Dio viene ad afferrarci. Viene alla sua ora. Noi possiamo semplicemente acconsentire ad accoglierlo o rifiutarlo. Se restiamo sordi, egli ritorna continuamente come un mendicante, ma un giorno, proprio come un mendicante, non ritorna più. Se acconsentiamo, Dio getta in noi un piccolo seme e se ne va. Da quel momento Dio non ha più niente da fare e nemmeno noi, se non attendere. Dobbiamo soltanto non pentirci del consenso accordato, del sì nuziale. Ciò non è facile come sembra, poiché la crescita del seme in noi è dolorosa. Inoltre, per il solo fatto che accettiamo questa crescita, non possiamo fare a meno di distruggere ciò che la metterebbe in difficoltà, cioè di strappare le cattive erbe, la gramigna; purtroppo la gramigna fa parte della nostra stessa carne; quindi queste cure da giardiniere sono un’operazione violenta. Tuttavia il seme, nonostante queste cure, cresce da solo. Viene il giorno in cui l’anima appartiene a Dio; quel giorno l’anima non solo acconsente all’amore, ma amerà veramente, effettivamente”.
La nostra anima, acconsentendo allo Spirito dell’Amore, diviene Maria, la vergine che proprio in quanto non conosce l’uomo nella sua vecchia struttura mortale, può accogliere il seme dell’Uomo-Dio che viene, come precisa sant’Ambrogio, che, parlando dell’anima, dice che quando inizia a convertirsi “viene chiamata Maria, riceve cioè il nome di colei che ha portato Cristo: è diventata un’anima che spiritualmente genera Cristo”.
3. Questa è la fase più propriamente mistica dell’itinerario trans-figurativo, fase che a sua volta si ripete ad ogni momento di crescita spirituale, ad ogni respiro addirittura. Questa è la fase dell’intima unione con Dio, dell’ascolto silenzioso della sua Parola procreativa, delle Nozze in altri termini. In questa fase il cantico d’amore dell’anima coniugata mostra parecchie analogie con le esperienze unitive proprie di altre tradizioni religiose, quali la bhakti hindu, la mistica sufi o la linea neoplatonica dell’eros unitivo. Ma lo stato dell’anima mariana non è finalizzato al riassorbimento immediato nell’Uno comunque inteso: le Nozze sono interamente e fin dal principio finalizzate al Parto, e questo rende singolare e specifica la mistica mariana anche in questa fase di matrimonio spirituale.
In altri termini, lo Spirito d’Amore che scende in me-Maria vuole certamente riportarmi al Padre, nella mia vera dimora, ma non direttamente, non sottraendomi alla mia storicità e alla storicità del mondo (abbandonato alla sua illusorietà); bensì proprio attraversando interamente questa storicità fino ai suoi inferi materiali con la potenza trans-figuratrice del Figlio che nasce in me. La salvezza perciò non consiste più dopo Cristo nell’assorbimento dell’anima decosmicizzata e depsicologizzata nell’ Assoluto ; ma nel processo storico concreto della trasfigurazione spirituale di tutto il Corpo antropocosmico penetrato fino in fondo e quindi salvato dal Cristo Nascente. E’ il mondo storico perciò, la mia vita più feriale, il luogo teologico della salvezza, e non l’anima spiritualisticamente interpretata come zona interiore. Ecco perché è così prosaico e concreto poi il criterio che determinerà la nostra salvezza: ero carcerato, mi hai visitato? avevo fame, mi hai dato da mangiare? (Mt 25,41) L’Amore vero è cioè un lavoro storico dopo Cristo, un semplice fare (cfr. Gv 3,21, 1Gv 3,18), e il peggiore pericolo che corriamo è proprio quello dell’omissione, per la quale saremo condannati: avevo fame e non mi hai dato da mangiare, non hai fatto quello che potevi, non hai voluto vedere…
L’Amore di Cristo come potenza comunicativa e prassi di guarigione
1. La spiritualità cristiana in tal senso è assolutamente inedita, fondandosi sull’evento unico dell’Incarnazione del Verbo. Essa non è riducibile né ad una mistica del Sé (Patanjali o Sankara o Plotino), né ad una mistica dell’unione intenzionale d’amore (Bhakti-yoga o Rumi o il salmista). Propriamente la spiritualità cristiana non è una mistica, pur possedendo momenti mistici, quanto una poetica storico-esistenziale dell’Incarnazione dell’Amore. Ed è oggi quanto mai indispensabile riconquistare una qualche chiarezza su queste differenze apparentemente così sottili, ma in realtà del tutto evidenti per chi si lasci penetrare anche solo da un piccolo seme di senape dell’inseminagione dello Spirito del Risorto.
Solo quando riusciamo anche in un piccolo e umile gesto a dare corpo all’Amore, solo allora il Risorto può nascere fisicamente in noi e operare la sua salvezza specifica in quella particolare circostanza storico-concreta. L’Amore di Cristo è cioè sempre amore che salva, energia di salvezza per gli altri, canalizzazione attraverso di noi di una potenza che mai nessuno di noi può possedere, donazione di un non-mio che attraversandomi e dirigendosi verso altri mi svela a me stesso: li riconoscerete dai frutti.
L’Amore che si irradia in noi tramite Cristo, e cioè lo Spirito Santo (Rm 5,5), non è perciò né amoroso silenzio né immobilità perfetta, quanto piuttosto comunicazione efficace, annuncio, un semplice ma dirompente farsi capire, come ci illustra l’episodio della Pentecoste (Atti 2,1-18). Il discepolo irrorato dallo Spirito non cade in una qualche estasi silenziosa ma si mette a parlare lingue nuove, trova canali inediti di comunicazione, è cioè pervaso da un fuoco poetico, da lingue di fuoco incendiarie che continuano a dare fuoco al mondo.
La seconda caratteristica dell’Amore di Cristo è la sua missionarietà: l’Amore che scaturisce in me tramite Cristo mi spinge sempre fuori di me, per strada, nel mondo, mi invia: andate, annunciate, curate, guarite. Cristo è l’Inviato che invia. E questo andare missionario è sempre creazione storica, invenzione di modi, di tecniche, di linguaggi, di culture della trasmissione. E’ questa spaventosa dinamica propulsiva insita nel mistero stesso dell’Incarnazione che può spiegarci l’incredibile mobilità espansiva dell’Occidente cristiano, con tutte le sue ambiguità e i suoi orrori, ma anche con quell’inesauribile desiderio di andare fuori di sé e di conoscere l’altro. E’ tempo di discriminare l’intento originario di questo impulso e di purificarlo da tutte le distorsioni mostruose cui ha dato vita nei secoli. E’ tempo di riconoscere e di lasciare emergere il fuoco dell’amore che ribolle ancora inespresso nell’inconscio del nostro Occidente dimentico di se stesso e dei suoi doveri, in quanto dimentico del proprio destino.
2. Questo amore, che corre a impastarsi nella vicenda storico-esistenziale degli uomini come un lievito che la trasforma da dentro, è qualcosa di assolutamente nuovo, come ci ha insegnato per primo Gesù:”Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.(Gv. 13,34) La novità del comandamento non sta nell’amore inteso in senso generico, certamente già presente nell’antica alleanza e in ogni altra tradizione spirituale; ma nelle modalità di questo amore, nel dover amare come Gesù ci ha amati, e, poiché Gesù ci ha mostrato la modalità folle dell’amore del Padre per noi tutti (Gv :15,9), noi siamo chiamati ad amarci vicendevolmente come Dio stesso ci ama, e questo è inaudito, questo costituisce il cuore dell’assoluta novità e ultimatività del tempo che si apre con l’Incarnazione. Questo amore infatti è reso possibile solo dall’inabitazione dello Spirito di Dio in noi, è cioè solo Dio in noi che può amare come Gesù ci ama:”Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.(Gv.15,13).
3. Questa è la nostra segreta e pressante vocazione: il segreto della gioia che ci manca e che inseguiamo per piste fallaci e illusorie: abbiamo assoluto bisogno di imparare ad amare così! Noi muoriamo letteralmente dalla voglia più o meno conscia di amarci come Cristo ci ama, e di farlo dentro la pasta concreta dei nostri rapporti umani, sociali, feriali, tutti i giorni. E questo perché è Cristo stesso che vuole diventare l’anima di tutta la nostra esistenza personale e collettiva, il Re del Regno che viene ed è già presente in noi e tra noi come potenzialità ancora inespressa del nostro vero essere. L’intera modernità potrà essere riletta in questa chiave ermeneutica, come l’ambiguissimo tempo in cui la pressione liberatrice del Cristo ha assunto una nuova velocità accelerando i processi di dissoluzione dei vecchi involucri dell’Uomo-Mondo decaduti,e producendo in tal modo una catena di violentissime reazioni difensive, di resistenze e di contraffazioni demoniache degli intenti di liberazione dello Spirito dell’Amore. Io credo che sia ormai giunto il tempo di un ineluttabile salto di qualità, possiamo finalmente interpretare correttamente la carica e la direzione del tempo pentecostale che stiamo attraversando, purificarne e precisarne così gli intenti, ed elaborare in tal modo una nuova e grandiosa progettazione planetaria per la costruzione di una autentica cultura della pace, intesa come preparazione e anticipazione profetica sempre imperfetta dell’unica autentica pace, quella del Regno di Dio. Ma per far questo, dobbiamo innanzitutto creare luoghi e tempi in cui lasciar maturare questo Amore in noi. Abbiamo bisogno di vivere in gruppo, in comunione di amicizia i travagli della nostra trasformazione, e questo dovrebbe essere il compito preminente della riorganizzazione delle chiese nel prossimo secolo, le quali dovranno ripensarsi proprio a partire dalle esigenze spirituali e storico-sociali e dalle prassi concrete di intervento nella storia delle varie comunità ecclesiali, e quindi sulla base di un serio aggiornamento dei diversi carismi e ministeri e del loro reciproco rapporto, alla luce della nuova fase della storia della salvezza che si viene aprendo.
La nostra missione: l’amore che libera e sovverte
1. In conclusione potremmo dire che lo Spirito d’Amore di Cristo, e cioè l’Amore di Dio che oggi vive in noi, possieda due caratteristiche essenziali che ne rivelano l’origine cristica: innanzitutto è un amore terapeutico, cura e guarisce sempre, sempre ben calato in una specifica relazione personale: dal più piccolo sollievo ai miracoli, l’amore di Cristo in noi libera sempre dal male, lo esorcizza, lo trasforma in qualcosa di positivo, in dinamica di crescita, come dice sant’Ambrogio:”tutto è per noi Cristo: se vuoi curare le tue ferite, egli è il medico; se bruci dalla febbre, egli è la fonte d’acqua; se temi la morte, egli è la vita”. E ciò accade ancora attraverso i suoi discepoli che non sono altro che canali della sua acqua inesauribile, della cascata della salvezza.
In secondo luogo l’Amore di Cristo è sempre sovversivo. Manifesta sempre un ordine delle cose, e quindi una modalità dei rappoorti, un ordine pubblico che è in netto contrasto con l’organizzazione sociale di questo mondo, anzi ne è il puro e semplice rovesciamento. Il Regno di Dio, in quanto incarnato pienamente nella storia concreta, non si limita a trascendere le logiche di questo mondo, ma pretende di rovesciarle nei fatti, di distruggere realmente le opere malefiche cui esse danno vita:”Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo”.(1Gv.3,8) Ecco perché non appena incarniamo anche solo un granello di amore di Cristo, diveniamo subito delle persone malviste che rapidamente verranno emarginate se non addirittura perseguitate negli ambiti specifici in cui avranno tentato di insinuare le logiche del Regno di cui sono agenti segreti.
Dove non rinveniamo questi due elementi in forme più o meno evidenti, credo che l’Amore di Cristo non sia ancora penetrato nel centro cardiaco dell’azione, e che stiamo deviando di conseguenza o verso un qualche attivismo senza amore autentico, e quindi in definitiva innocuo, o verso una qualche ritirata psicologistica senza forza d’incarnazione, e perciò ancora una volta del tutto innocua rispetto alle potenze tenebrose di questo mondo e ai loro proconsoli e procuratori.
Preghiamo perciò il Signore che vinca sempre più a fondo le nostre resistenze, le nostre paure, i nostri blocchi infantili, e ci renda capaci di incarnare con arte ed efficacia creativa il suo Amore, affinché la nostra gioia, la gioia nostra e dei nostri amici sia veramente piena.