Lo sguardo messianico che ama e trasfigura il mondo
La con-fusione tra ciò che muore e ciò che nasce
In questa grande stagione evolutiva, in cui l’umanità sta ridisegnando con immensa fatica i lineamenti della propria identità, e comprendendo ad un nuovo livello di ampiezza e di profondità il mistero della propria presenza sul pianeta terra, sembra di vivere in un momento di caos totale. La confusione in realtà è determinata soltanto dal frammischiarsi appunto caotico di elementi concettuali e comportamentali appartenenti all’universo storico-culturale che si sta esaurendo, insieme con i primi contenuti della figurazione nascente di umanità. Le cose si mischiano, come all’estuario di un fiume, dove l’acqua dolce e quella salata si confondono in un vortice di risacche e di onde anomale, in un punto estremamente pericoloso, proprio perché saturo di energie contrastanti.
E’ lì che ci troviamo, presi nel vortice e appunto nella con-fusione.
Come metalli infatti veniamo fusi e riplasmati in nuove figure; ma è sempre ardua l’arte del lasciarsi liquidare, è doloroso gettare nella fornace del fabbro gli antichi idoli d’oro e d’argento, tante costruzioni mentali magari millenarie, tante figure d’identità, costumi, abiti, tradizioni venerate, dentro le quali ci eravamo abituati a vivere, e che credevamo perciò che fossero eterne ed immutabili, mentre ora vediamo con sgomento che ogni giorno perdono qualche lineamento, dissolvendosi e squagliandosi nell’altoforno della trans-figurazione.
Erotica ed economia in travaglio: qual è il giusto godimento dei beni della terra?
Uno degli ambiti in cui avvertiamo con maggiore asprezza il turbine dei rivolgimenti è proprio quello della valutazione del corretto uso dei beni terreni e di come esplicare la nostra libertà nel loro godimento. Ci chiediamo in mille modi diversi, nelle infinite controversie sulla sessualità o sull’etica economica: qual è l’uso legittimo del corpo e del mondo? È giusto godere della bellezza delle creature, e in quale misura? Fino a che punto insomma e in quali modi l’eros va espresso e goduto? E poi la creazione della ricchezza è un bene oppure dobbiamo ricercare la povertà e la spoliazione pura e semplice? L’abate di un monastero benedettino, ad esempio, o lo stesso Vaticano possono investire in borsa e avere ingenti beni immobiliari? Perché la Chiesa cattolica è diventata sempre più flessibile nel regolare il corretto uso della ricchezza, lasciandolo in definitiva alle scelte della libera coscienza individuale, mentre resta così rigida e capillarmente normativa nell’ambito dell’etica sessuale?
L’eros e l’economia/ecologia sono perciò in grande travaglio.
Noi ci soffermeremo però soltanto sul primo settore, quello erotico-affettivo. E proprio rispetto a questo ambito fondamentale dell’esperienza umana constatiamo ogni giorno con maggiore allarme che il matrimonio e la vita consacrata sembrano perdere le loro sicurezze millenarie, sfilacciarsi, liquidarsi, confondersi in una baraonda di opinioni in cui diventa sempre più difficile districare il vero dal falso, il giusto dall’errato.
Le donne e gli uomini del nostro tempo chiedono certamente relazioni più profonde e più vere, animate cioè da un amore sincero ed autentico, contestano la rigidità del vecchio matrimonio borghese e patriarcale, la sua convenzionalità, la sua ipocrisia, accusano poi le scelte di vita religiosa di essere spesso alienazioni, fughe compensatorie, consacrazioni di psicopatologie nevrotiche; ma fondano poi le loro critiche appellandosi ad un’idea spaventosamente superficiale di soggettività umana, e quindi di autonomia, di libertà, e di autorealizzazione.
Tutti noi, in realtà, desideriamo di vivere un livello nuovo di integrazione interiore, e quindi di felicità, percepiamo che oggi è possibile un’esperienza coniugale come una vita consacrata meno governate da forzature e da scissioni psichiche, da mortificazioni dell’eros e dello spirito. Tutti cioè percepiamo che appunto una nuova figurazione umana sta riformulando le strutture psichiche e spirituali delle nostre forme di vita; ma è come se non sapessimo ancora come vivere in modo attivo e creativo dentro questo travaglio identitario.
E così finiamo spesso per rimpiangere le sicurezze del passato, gli otri vecchi cioè, senza riconoscere con chiarezza e con onestà intellettuale le tremende lacune che le forme tramontanti manifestavano. Quante volte cioè il matrimonio è stato veramente la tomba dell’amore, lo schiacciamento della donna e della sua dignità, l’inferno edipico esplicitato da Freud, un luogo di violenze insomma, che ha prodotto non a caso per secoli società pronte a massacrarsi nell’ininterrotta sequela di guerre che è stata la storia umana fino ad oggi? E quante volte la vita consacrata è stata proprio una negazione patologica della crescita umana e dell’amore, del corpo e delle sue emozioni, la consacrazione del terrore di vivere e di aprirsi alle relazioni più intime? Quante volte la scelta religiosa è stata una vera e propria fuga o peggio una costrizione sociale?
Se non facciamo nostre le giuste critiche agli assetti del passato non potremo mai comprendere perché queste figurazioni del matrimonio e della vita consacrata sono entrate in crisi, e di conseguenza non potremo neppure elaborare adeguate traiettorie di uscita dalla crisi. Oggi, in altri termini, mancano ancora diagnosi appropriate e appropriate terapie delle trans-figurazioni in atto.
A me pare d’altra parte che per iniziare con umile determinazione questo immenso lavoro interpretativo dovremmo, sia pure in modo molto rapido, ripercorrere almeno due passaggi cruciali della nostra storia: quello dal Medioevo alla modernità, e quello attuale dalla crisi della modernità al nuovo tempo che si apre. Dovremmo intuire cioè in che modo in queste due svolte muti proprio il nostro rapporto con il mondo e con il corpo, e di conseguenza tutte le nostre visioni erotiche ed economiche.
La svolta moderna: dal disprezzo del mondo alla sua trasformazione
In rapidissima sintesi possiamo dire che, nonostante alcune eccezioni di rilievo, quali, ad esempio, la spiritualità francescana di San Bonaventura, il Medioevo si nutrisse di una concezione sostanzialmente negativa del mondo, e quindi del corpo umano e dell’uso dei beni terreni, in vista di un compimento escatologico ritenuto imminente. Basta ricordare lo straordinario successo che ebbe all’inizio del XIII secolo l’opera De contemptu mundi sive De miseria conditionis humanae del papa Innocenzo III, di cui si sono rinvenuti ben 406 manoscritti diversi per la realizzazione dell’edizione critica, e che procede fin dal primo capitolo più o meno su questi toni: “Consideravi ergo cum lacrymis de quo factus sit homo: quid faciat homo, quid facturus sit homo. Sane formatus de terra, conceptus in culpa, natus ad poenam, agit prava quae non licent, turpia quae non decent, vana quae non expediunt, fiet cibus ignis, esca vermis, massa putredinis” (Liber Primus, Caput Primum).
E’ interessante notare poi che Innocenzo non scrisse mai la seconda parte del libro, che doveva essere un De hominis dignitate, e che lo stesso Petrarca, sollecitato a completare l’opera, si rifiutò di scrivere.
Dovevamo aspettare insomma Pico della Mirandola e la svolta rinascimentale per trovare una misura positiva e creativa della dignità umana.
In questo contesto non è difficile concepire il giusto rapporto con la terrestrità come pura e semplice negazione: il miglior uso del corpo è cioè la sua repressione e mortificazione, fino alla autofustigazione e alla tortura; il miglior uso dei beni terreni è il loro spregio, un’assoluta e severa rinuncia; il miglior uso della nostra libertà è la sua più radicale sottomissione all’autorità religiosa esterna, cui semplicemente obbedire.
E’ contro questo spirito, che d’altronde non sembrava animare poi società molto evangeliche, pacifiche, non violente, e giuste, ma che piuttosto dava fondamento teologico ad assetti sociali rigidi e spesso spietati; è contro questo clima psico-sociale in cui si confondevano ascesi e violenza, mortificazione e ingiustizia, condanna (proclamata dai pulpiti) del mondo e governo spregiudicato delle sue ricchezze, lasciate di fatto all’uso più arbitrario dei potenti, che si apre la grande stagione spirituale che chiamiamo “moderna”.
L’epoca moderna infatti inaugura da subito un diverso rapporto con la sfera della corporeità e della storicità del mondo. Il mondo non è più un luogo da cui fuggire negli eremi monastici, quanto piuttosto una dimensione da conoscere sempre più accuratamente (scienza empirica galileiana), da trasformare con tecniche sempre più potenti (Francesco Bacone e lo sviluppo delle tecnologie), e da contemplare e amare e godere nella bellezza di tutte le sue forme (recupero dell’arte classica nel Rinascimento italiano). La stessa ricchezza non è più soltanto una condizione da condannare (almeno a parole…), ma un modo per accrescere il benessere dell’umanità (sviluppo mercantile e poi capitalistico dell’economia). Addirittura il piacere torna ad essere un valore positivo, e non solo un sinonimo del peccato, e infatti è Lorenzo Valla il primo ad ardire di comporre, nella prima metà del XV secolo, un saggio intitolato appunto “De voluptate”, e cioè “Sul piacere”. Mentre di lì a poco la Riforma di Lutero avrebbe affermato la priorità della libertà di coscienza rispetto a qualsiasi autorità esterna.
Tradizione cattolica e modernità: la nuova integrazione
Questa rivoluzione, come sappiamo, è proceduta lungo i secoli spesso in aperto contrasto rispetto alla tradizione cattolica, pur portando dentro di sé alcuni principi ed alcune esigenze che la stessa Chiesa riconosce ormai come profondamente evangelici, quali, ad esempio, la concezione della sostanziale bontà/bellezza del mondo, ed il principio della libertà personale come mèta finale del nostro itinerario spirituale e diritto inalienabile di ogni uomo.
Questa tensione secolare tra Tradizione cattolica e Modernità, mossa anch’essa, almeno in parte, da spinte evolutive evangeliche, costituisce il dramma degli ultimi 500 anni, e cioè dell’intera epoca moderna, che vive oggi la sua fase terminale in questo nuovo e ben più abissale passaggio storico.
Oggi infatti siamo arrivati ad un punto estremo e fatale della storia del pianeta terra in cui i due grandi tronconi della storia spirituale europea, e ormai planetaria, e cioè appunto la tradizione cattolica e le culture moderne, sono chiamati a riconoscere la loro origine comune nello Spirito della Nuova Umanità inaugurata da Cristo, e ad integrarsi perciò tra di loro correggendo vicendevolmente le unilateralità ormai per davvero insostenibili, che sono sorte e si sono aggravate lungo i secoli proprio a causa della loro separazione, come precisò anche Benedetto XVI, poco prima della sua elezione al pontificato: “Il Concilio Vaticano II, nella costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, ha nuovamente evidenziato questa profonda corrispondenza tra Cristianesimo e Illuminismo, cercando di arrivare a una vera conciliazione tra Chiesa e modernità, che è il grande patrimonio da tutelare da entrambe le parti. Con tutto ciò bisogna che tutte e due le parti riflettano su se stesse e siano pronte a correggersi” (Discorso del 1° aprile 2005 a Subiaco).
Ma che cosa significherà questa integrazione correttiva tra tradizione cattolica e culture moderne? Come opererà rispetto al problema del rapporto con il mondo e con il corpo? Negli ambiti infuocati dell’erotica e dell’economia? Come trasformerà il matrimonio e la vita consacrata, la produzione industriale e l’uso delle energie, l’educazione scolastica e la democrazia, i regimi fiscali e i regimi sessuali lo Spirito del Cristo che sta penetrando in strati sempre più profondi della nostra carne, fin dentro gli abissi finora inconsci delle nostre oscurità animali, fondendo e mescolando i nostri metalli mentali, dilatando i nostri contenitori concettuali e unificando i continenti del mondo nell’unico Spirito che tutto con-fonde e al contempo tutto rischiara nella luce di una nuova integrità corporeo-spirituale?
A queste domande risponderanno i prossimi secoli, già ora, però, possiamo individuare le primissime linee correttive che sia le culture moderne che la tradizione cattolica stanno prendendo per integrarsi nella Nuova Figurazione (cristo-logica), che sta emergendo sul nostro pianeta. E definendo queste linee possiamo incominciare ad intuire anche quali traiettorie nuove si aprano per il nostro rapporto più libero e più integro con il corpo e in generale con la terrestrità dei beni del mondo.
La conversione delle culture moderne alla propria sorgente messianica
Partiamo dalla crisi delle culture moderne e procediamo anche qui per sommissimi capi:
1) Le culture moderne hanno utilizzato fin dal principio e continuano a servirsi quasi esclusivamente di contenuti messianici, quali, ad esempio, il valore assoluto della persona e della libera ricerca della verità, o la finalità della storia nella piena realizzazione della giustizia e della pace, negando però sempre più decisamente ogni validità al fondamento cristologico da cui questi contenuti derivano.
Questa modernità di conseguenza si sta inaridendo come un tronco segato dal proprio albero.
Oggi quasi nessuno crede più che la scienza possa rispondere da sola agli strazianti bisogni di salvezza dell’uomo, o dà più credito all’onnipotenza della tecnica. Nessuno si illude più che l’azione politica possa liberare l’uomo da tutti i suoi problemi esistenziali, mentre la ricerca “libera” del piacere fine a se stesso ha condotto alla depressione, alla nausea, e allo sfaldamento di ogni relazione duratura, e cioè alla fase terminale, oscena e pornografica, in cui annaspa la nostra società.
Gli scenari palingenetici della modernità, emancipata dalle proprie fonti cristologiche, si sono trasformati in pochi decenni in lugubri panorami di morte e di desolazione, psichica e planetaria. Le culture moderne perciò o si ricollegano alle fonti messianiche dei loro stessi progetti di conoscenza e di liberazione, oppure degraderanno in questo clima di corruzione generale, in cui l’unico valore che resta stabile è quello del denaro, gestito da classi dirigenti sempre più ignobili, tanto stolte quanto feroci.
2) Ma che cosa significa per le culture scientifiche e politiche e artistiche della modernità riconoscere e ricollegarsi alla propria sorgente spirituale messianica?
Significa in sostanza comprendere che il Centro motore dei propri processi non è e non potrà mai più essere l’ego illusoriamente autonomo, l’atomo individualizzato nella propria solitudine cosmica, questo tipo di soggettività chiusa in se stessa, senza fonte e senza ascolto, che d’altronde l’intero XX secolo, da Heidegger a Jung, da Kandinskij a tutta la grande poesia, ha già relativizzato e mostrato nella sua infondatezza teoretica e inadeguatezza pratica.
Il soggetto del processo messianico, potremmo dire, deve tornare ad essere la soggettività messianica stessa, e cioè lo stesso Messia: l’Io veramente trans-egoico e quindi post-bellico, l’Io cioè relazionale, che si realizza nella relazione sostanziale e originaria con la propria Fonte (Dio), con tutti gli altri (l’Umanità), e con tutto l’altro (Cosmicità), con i quali è cotessuto, con cui cioè è una sola cosa.
3) In altri termini, la modernità ha risvegliato in Europa, e poi in tutto il mondo, l’impulso messianico a trans-formare l’universo, a trans-figurare le realtà umane e terrene, attraverso l’azione libera dell’uomo, la scienza, le tecniche, l’economia, l’arte, e la politica. Ma le catastrofi del ‘900 ci hanno mostrato che la soggettività ego-centrica non è per niente in grado di portare avanti questo processo di rigenerazione. Le due guerre mondiali, gli stermini operati dai totalitarismi “pseudo-messianici”, le distruzioni ambientali determinate da una tecnica e da un’economia pilotate dall’egoismo cieco degli uomini, ci stanno manifestando in modo lampante, apocalittico direi, che i grandi progetti di liberazione della modernità non possono più essere guidati dalla nostra piccola mente ego-centrata; ma richiedono, per proseguire, che l’uomo compia una sorta di rivolgimento interiore, ed entri in contatto con il Centro più profondo del proprio essere, che è appunto l’Io messianico che sta guidando il mondo e ognuno di noi alla propria piena realizzazione.
4) Ricollegarsi allo Spirito del Messia, che è in noi e in cui siamo per davvero noi stessi, per portare avanti i progetti della modernità, liberandoli dalla loro presunzione e dalle loro distorsioni ego-centriche, significa anche comprendere come procede nella storia il Regno messianico della pace, della giustizia, e della libertà. Significa, in particolare, comprendere che la soggettività umana è segnata da una alienazione fondamentale, per cui se l’io è lasciato a se stesso, ai propri desideri voraci, e ai propri deliri di onnipotenza, non raggiunge affatto la libertà e la soddisfazione che cerca, ma tende viceversa a distruggersi, guidato inconsciamente da forze spietate e furibonde. Il Regno perciò procede nella nostra vita e nella storia per conversioni, meta-noie, morti iniziatiche del nostro ego illusorio, e quindi attraverso continui rivolgimenti cata-strofici, e non lungo una linearità progressiva. In altre parole non tutto ciò che l’ego desidera porta alla liberazione dell’uomo, non tutto ciò che l’ego può fare accresce la nostra integrità umana, e non tutto ciò che la coscienza egoica ritiene giusto e vero corrisponde alla verità del nostro essere.
La tradizione cattolica si converte allo Spirito del Messia
Se dunque le culture moderne debbono comprendere che il Regno non è comunque di questo mondo, anche se procede in esso come potenza di trans-figurazione; la Chiesa cattolica sembra chiamata ad assimilare ulteriormente il principio in base al quale il Messia non è venuto a condannare il mondo, ma a salvarlo. In verità sembra che la Chiesa sia più avanti delle culture moderne dominanti in questo processo di reciproca integrazione. Essa infatti, almeno a partire dal Concilio, ha incominciato il lungo travaglio di una riconciliazione con gli elementi evolutivi del pensiero moderno, mentre ben pochi sono gli esempi di pensatori laici che incomincino a comprendere e a riconoscere la matrice messianica del loro pensiero e del loro operare.
Quali direzioni ci indica il riconoscimento da parte cattolica della natura messianica ed evangelica degli impulsi evolutivi della modernità?
1) Innanzitutto la Chiesa sta comprendendo che spesso ha testimoniato la sua missione di salvezza del mondo esasperando la condanna, la mortificazione, e il disprezzo del mondo stesso e del corpo, e così rinforzando paradossalmente proprio quell’io vecchio, quell’ego giudicante e violento, pieno di odio e di paure, che la fede dovrebbe semplicemente liquidare.
Abbiamo cioè troppo spesso costruito un cristianesimo ego-centrato, legalistico, e penitenziario.
Siamo perciò chiamati a discernere con molto maggiore acutezza se la mortificazione cui ci appelliamo sia un vero strumento per una integrazione/unificazione psichica e spirituale maggiore, oppure se manifesti solo un rafforzamento delle nostre scissioni nevrotiche. E dobbiamo discernere al contempo se il piacere che inseguiamo derivi da una pulsione infantile a soddisfare parti scisse e immature della nostra anima, oppure se sia un sano strumento di maggiore unificazione.
2) Come compiere però questo più sottile discernimento? Come posso sapere se il mio rapporto col mondo e con il corpo, se la mia sfera erotica e la mia azione economica, se la mia ricerca scientifica e le mie invenzioni tecniche siano espressioni mortifere dell’ego in putrefazione oppure creazioni e operazioni dello Spirito messianico? Come procederà concretamente un matrimonio sottratto alla convenzionalità egoico-borghese, e aperto ad integrazioni molto più profonde, dentro la carne, e fino agli abissi scoperchiati delle nostre zone d’ombra? Quale comunicazione sessuale richiede una relazione coniugale fondata realmente sulla comunicazione verbale progressiva tra i coniugi di tutto ciò che sono e che sentono, senza più ipocrisie o mascheramenti? E poi, come potremo pensare e vivere una vita consacrata che non voglia fondarsi sulla negazione/rimozione/repressione del mondo/corpo, ma appunto sulla sua trans-figurazione? In che senso e a che punto dei nostri processi trans-figurativi la nostra sessualità può integrarsi in una castità verginale? Qual è la misura giusta e autenticamente salvifica tra repressione ascetica ed espressione liberata della sessualità sia nel matrimonio che nella vita consacrata, in questo punto nuovo di penetrazione dello Spirito di Cristo dentro la carne psichica dell’uomo?
Insomma qual è l’uso messianica-mente corretto, e cioè, per dirla con Rimbaud, assolutamente moderno, dei beni della terra? E quindi come dobbiamo ripensare i valori evangelici della povertà, della castità, e dell’obbedienza, dopo la svolta liberatrice della modernità, e dentro questa nuova e per molti versi definitiva svolta antropologica? Per cui, alla fine, come dobbiamo ripensare la Chiesa stessa, in toto, e cioè la nostra teologia, la nostra antropologia, la nostra ecclesiologia, la nostra liturgia, lasciandoci ispirare dallo Spirito del Messia che sta facendo nuove tutte le cose?
3) La risposta a queste domande sta già da tempo procedendo dentro i travagli evolutivi dei nostri corpi. Il nostro compito credo sia solo quello di aprirci ai processi in atto, e di elaborare dei cammini concreti, degli itinerari iniziatici, di liberazione e di guarigione profonda, nelle parrocchie come nelle Congregazioni religiose, nelle associazioni laicali come nelle università, in cui aiutarci a vivere queste trasformazioni formidabili con spirito di gioia e di speranza.
Si è aperta un’immensa stagione di ricerca, che animerà nel prossimo secolo uno slancio inimmaginabile di pensiero e di sperimentazione spirituale.
La terra unificata e dolente chiede a gran voce, come d’altronde la nostra stessa anima violentata, che un Nuovo Uomo, non più egoica-mente guidato, ma globale-mente, e quindi messianica-mente ispirato, prenda la guida del mondo e della nostra vita.
Pubblicato nella Rivista della CISM (Conferenza Italiana Superiori Maggiori) “Religiosi in Italia”, ottobre 2010, Anno XV n. 5