Pedagogia umana e iniziazione cristiana
nel vortice di una svolta antropologica
Premessa
Quando ci troviamo ad affrontare un tema cruciale come quello della necessità di rilanciare i processi e gli itinerari educativi ad ogni livello, dovremmo innanzitutto essere ben consapevoli della radicalità e della novità del compito che ci proponiamo. Infatti, se non ci rendiamo conto che l’umanità si trova oggi in una fase antropologica di ricominciamento, in cui stiamo ridefinendo addirittura i lineamenti della nostra stessa identità umana, rischiamo di elaborare progetti educativi del tutto inadeguati, pensati cioè per un contesto antropologico in estinzione, e quindi alla fine inesorabilmente fallimentari.
Questo discorso vale ad ogni livello, sia per gli itinerari educativi in generale, che per quelli che attengono più specificamente alla formazione cristiana.
In questo breve saggio vorrei perciò:
1)partendo da una osservazione molto sintetica della situazione storica in cui ci troviamo e della crisi generalizzata che stiamo attraversando,
2)tentare una interpretazione complessiva di questi fenomeni critici, e cioè cercare una loro chiave interpretativa unitaria,
3)per individuare poi le linee di un rilancio del progetto umano sulla terra, e quindi anche di una nuova prassi educativa finalizzata a questo rilancio,
4)e infine soffermarmi in modo più approfondito sulle problematiche di un rinnovamento della educazione alla fede cristiana in questo contesto, e quindi di una evangelizzazione che sia per davvero nuova.
La crisi di tutte le agenzie educative
Partiamo dunque da un dato di fatto abbastanza evidente: tutte le agenzie educative stanno vivendo un enorme travaglio rigenerativo, e in realtà già da parecchio tempo. E’ sempre meno chiaro come educare, quali modelli proporre, quali valori, e specialmente con quali metodi. In famiglia come nella scuola, nella vita politica nazionale o internazionale, nelle parrocchie come nella vita religiosa, assistiamo ad una universale crisi dell’autorità, e ad un’altrettanto generalizzata crisi dell’obbedienza, che necessariamente ne deriva. Ma senza questa relazione, senza una trasmissione autorevole e una ricezione gioiosa e fiduciosa di vita e di pensiero, non può svilupparsi alcun rapporto educativo. E infatti proprio da questa carenza di forza educativa promana poi quel clima di smarrimento e di confusione, di depressività e di sfiducia che avvelena le nostre società.
Questa è appunto un’evidenza, un dato di cronaca, ogni giorno confermato dalla nostra esperienza.
Ma da qui possono svilupparsi 2 atteggiamenti e due linee interpretative, e quindi anche due modalità di intervento, del tutto antitetici.
Da una parte possiamo rivestire una mentalità sostanzialmente pessimistica, che vede in questa fase epocale soltanto la crescita di un degrado irrefrenabile, e che finisce per rimpiangere non si sa bene quali “bei tempi andati”, sperando di ripristinare, magari con la forza o addirittura con la violenza, ordini sociali arcaici o assetti religiosi di un passato spesso sanguinario.
Dall’altra, invece, possiamo aprire una riflessione molto più approfondita che sappia interrogarsi su che cosa stia realmente succedendo sulla terra, che sappia poi discernere in questi processi critici le traenze evolutive che li abitano, e che sappia quindi prospettare anche soluzioni nuove, direzioni inedite di sviluppo dell’uomo, e di conseguenza anche forme e metodi educativi finalizzati a questo sviluppo.
La svolta antropologica verso un’umanità relazionale
Con crescente lucidità si sta facendo sempre più chiaro di decennio in decennio che l’umanità nel suo complesso sta attraversando una delle più profonde e radicali svolte della propria storia su questo pianeta. Benedetto XVI, nel suo ultimo libro-intervista, insiste perciò sull’urgenza di “vedere attraverso il momento attuale la necessità di una svolta, annunciarla, annunciare che essa non può avvenire senza una conversione interiore” . Ma anche in ambito laico cresce la consapevolezza del carattere ultimativo e decisivo di questa fase storica. Il sociologo americano Jeremy Rifkin, ad esempio, arriva a dire: “La crisi globale che sta cominciando a colpire la nostra civiltà ci costringe a domandarci se non abbiamo già raggiunto il punto di svolta nella storia dell’umanità, perlomeno come è stata definita fin dall’avvento delle grandi civiltà agricolo-idrauliche che hanno segnato la nascita della coscienza storica”.
Potremmo indicare in molti modi i contenuti essenziali di questo passaggio cruciale, sottolineandone gli aspetti politici, economici, antropologici o culturali: i pericoli climatici o i fenomeni “caotizzanti” della globalizzazione, le varie crisi identitarie e le risposte fondamentalistiche che ne derivano, gli squilibri tra Nord e Sud del mondo, e così via. Ma a me pare che l’elemento fondamentale di questa crisi, che ne fa essenzialmente una crisi di crescita, consista nell’esaurimento e nello spappolamento progressivo di tutte le forme belliche e antagonistiche di identificazione umana. In altri termini: tutte le forme di identità, che per secoli e a volte per millenni, si sono costituite e rinforzate nella contrapposizione/separazione rispetto all’altro da sé, sia in ambito sessuale che in ambito sociale, nazionale, o religioso, si stanno manifestando come forme illusorie e alla fine distruttive, anche se persistono e anzi acuiscono la loro azione omicida e cosmicida. E poiché nell’intera storia che conosciamo questa forma bellica di identità ha dominato quasi incontrastata, è chiaro perché la sua catastrofica crisi terminale costituisca una vera e propria svolta antropologica.
L’io umano ego-centrato, centrato cioè su un sé (individuale, tribale, nazionale, di classe, casta, o religione) chiuso in se stesso e contra-posto nei riguardi di chi fosse altro da sé, questa figura di umanità polemica-mente orientata sta collassando su tutti i piani, e mostrando con accecante evidenza, e cioè apocalittica-mente, di essere una forma insostenibile di identità, specialmente con l’intensificarsi dei processi di unificazione planetaria.
Parimenti una nuova figurazione di umanità, che possiamo definire relazionale, o coniugativa, in quanto si rafforza aprendosi alla relazione con l’altro da sé, e ai difficili processi di trans-formazione permanente che questa apertura relazionale comporta, questo Nuovo Io trans-egoico e per davvero postbellico, sta emergendo con lentezza e fatica, ma pure ineluttabilmente, come l’unica possibilità evolutiva, addirittura come l’unica chance di sopravvivenza per l’intero genere umano.
Più cresce l’interazione economica e culturale tra i popoli, più cioè diventiamo nei fatti un’unica realtà globale, e più fortemente emerge la realtà relazionale dell’essere umano, il nostro essere sostanzialmente esseri spirituali che nascono e si sviluppano solo attraverso le relazioni interpersonali ed in una correlazione costante con l’intero ambiente storico e cosmico. Il mistero dell’unità del genere umano, che la fede cristiana ci rivela in Cristo, e che oggi sta diventando realtà storica effettiva, richiede perciò, come precisa Benedetto XVI nella sua Enciclica Caritas in veritate: “un’interpretazione metafisica dell’humanum in cui la relazionalità è elemento essenziale”.(n. 55)
Questa nuova umanità relazionale, non più ego-centrata, ma aperta alla relazione emotiva con gli altri, viene chiamata in ambito laico empatica. L’umanità empatica, postbellica e trans-egoica, dovrà “invertire il corso della nostra stessa storia di specie e creare una nuova civiltà interdipendente che consumi non più ma meno energia, e che tuttavia permetta all’empatia di procedere nella sua maturazione e alla coscienza globale di espandersi fino a coprire di grazia e compassione, anziché di scorie dell’energia che consumiamo, la terra intera”(Rifkin).
Rendiamoci conto di come su questo piano la riflessione laica più avanzata vada a coincidere per molti versi con le prospettive messianiche del cristianesimo. E’ a questo livello perciò che può aprirsi un inedito e ricchissimo dialogo tra tradizione cristiana ed esiti davvero evolutivi del pensiero moderno.
L’educazione dell’umanità nascente
Ora, dobbiamo comprendere che la progressiva consumazione e crisi terminale delle identità belliche determina contestualmente la crisi di tutti i modelli educativi ideati per formare appunto identità di quel tipo: maschi separati/opposti alle femmine, italiani contro austriaci o inglesi, borghesi contro operai o nobili, cristiani contro ebrei o hindù, e così via. Queste identità fondamentalmente polemiche venivano formate attraverso una pedagogia spesso incentrata sulla violenza, la coercizione, e la paura, sull’autoritarismo, sull’obbedienza a norme rigide e disumane, su immagini terrorizzanti di un Dio che castiga e corregge senza alcuna pietà.
Ebbene tutto questo mondo è in liquidazione. Alleluja!
Per cui le identità liquide o la modernità liquida, di cui da molti anni parla Zygmunt Baumann, sono anche l’effetto di questa liquidazione universale dell’intero assetto bellico del mondo. Non dovremmo perciò rimpiangere troppo la solidità dei mondi passati, quanto piuttosto seguire e possibilmente orientare la corrente della liquidazione, affinché ci porti al battesimo di un Nuovo Uomo, nato appunto dall’acqua del dissolvimento del vecchio ego bellico, e dallo Spirito della Nuova Umanità, liberata dall’odio che divide, separa, e alla fine distrugge.
E allora forse abbiamo trovato un primo elemento fondativo per un rilancio del progetto umano sulla terra, e quindi anche di tutti gli itinerari educativi, e cioè una fondata speranza, che potremmo esprimere così:
questa crisi immane, che stiamo tutti sopportando e soffrendo, non è una crisi che porti alla morte o all’annientamento del genere umano; ma è una crisi di crescita, un’immensa opportunità evolutiva.
Stiamo andando cioè verso il Meglio, sia pure catastrofica-mernte, e cioè dovendo rovesciare la nostra mentalità bellica, ci stiamo dirigendo comunque verso una Nuova Umanità non più ego-centrata, ma relazionale.
Se, come diceva Simone Weil, educare significa essenzialmente dare motivazioni; allora per prima cosa dobbiamo essere convinti delle potenzialità evolutive di questo tempo, perché altrimenti quali motivazioni possiamo trasmettere ai nostri figli o ai nostri allievi? Come possiamo convincerli che crescere e studiare e faticare è una cosa bella e importante, se poi diciamo loro che tutto sta andando alla malora?
No. Ritrovare l’entusiasmo di una speranza ben fondata è il primo compito che dobbiamo porci, se vogliamo rilanciare la storia umana sul pianeta terra.
E questo significa niente di meno che elaborare una nuova interpretazione dei due millenni di storia cristiano-occidentale, dei 5 secoli della modernità, e in particolare del XX secolo, come nascita e crescita ambiguissima di questa Nuova Umanità trans-egoica, che oggi sembra irrompere sul palcoscenico ormai globalizzato del pianeta come unica possibilità di sopravvivenza. Dobbiamo elaborare cioè una inedita cultura della trans-formazione dell’identità umana, facendo confluire e dialogare tra di loro le culture (politiche, filosofiche, scientifiche, artistiche, e tecnologiche) della modernità con la loro riscoperta matrice ebraico-cristiana, in quanto lo stesso schema archetipico di una Nuova Umanità, più libera, più pacifica, e più giusta, sorge in realtà e si trasmette di secolo in secolo a partire dalle fonti inesauribili della speranza messianica del Regno di unità e di pace, appunto, di giustizia e di uguaglianza, che il Cristo ha inseminato nel cuore umano della terra.
Perciò Benedetto XVI insiste sull’integrazione e sulla vicendevole correzione tra cristianesimo e modernità: “L’essere cristiano è esso stesso qualcosa di vivo, di moderno, che attraversa, formandola e plasmandola, tutta la mia modernità, e che quindi in un certo senso veramente la abbraccia”.
Accanto a questa componente culturale l’educazione dell’umanità nascente richiede un’inedita attenzione ai processi interiori, ai sentimenti, agli affetti, e ovviamente alle relazioni, in quanto ognuno di noi possiede antiche ferite e terribili paure, che ci chiudono in noi stessi, e impediscono l’emersione della nostra identità postbellica e relazionale. Questi aspetti psicologici, esistenziali, e spirituali dell’educazione stanno già emergendo con sempre maggiore forza ad ogni livello, dalla famiglia alla scuola. L’uomo e la donna del prossimo secolo avranno bisogno, in altri termini, di un costante e sapiente accompagnamento, perché la trans-formazione in atto è davvero travolgente e richiede un lavoro interiore costante, da sviluppare entro relazioni calde e convincenti.
Una nuova cultura dell’umanità nascente deve perciò sviluppare una nuova pedagogia adeguata. E la nuova immagine dell’uomo che sta emergendo, di un io cioè che continua a trans-figurarsi aprendosi all’altro da sé, richiede anche una nuova idea e una nuova pratica della formazione umana, da intendersi appunto come trans-formazione permanente attraverso le relazioni, per la liberazione e la realizzazione sempre più vaste delle proprie potenzialità creative.
Per una evangelizzazione per davvero nuova
Sulla base di queste premesse risulta abbastanza chiaro che educarci alla fede oggi è in una certa misura un compito del tutto nuovo, un ri-educarci, un ricominciamento nell’esperienza della fede. E’ ovvio che l’Annuncio è sempre lo stesso, ma forse la profondità della nostra comprensione dei suoi contenuti sta cambiando, come da tempo ci ricorda anche la Conferenza Episcopale Italiana: “L’impegno che nasce dal comando del Signore: Andate e rendete discepoli tutti i popoli (Mt 28,19), è quello di sempre. Ma in un’epoca di cambiamento come la nostra diventa nuovo. Da esso dipendono il volto del cristianesimo nel futuro, come pure il futuro della nostra società” (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 2004, n. 1).
Perciò molte forme storiche in cui abbiamo vissuto finora la fede cristiana e il suo annuncio stanno attraversando un grandioso travaglio trasformativo. Stiamo infatti entrando in una fase nuova della storia del cristianesimo, e quindi della storia della salvezza: “E’ questa oggi la ‘nuova frontiera’ della pastorale per la Chiesa in Italia. C’è bisogno di una vera e propria conversione, che riguarda l’insieme della pastorale”. (Ibidem, n.1)
Dobbiamo perciò tornare agli elementi più personali e radicali della nostra fede, e chiederci: che cosa significa per me, nella mia vita quotidiana, nel mio lavoro, nella mia vita affettiva, e cioè OGGI credere in Gesù Cristo?
E questo implica innanzitutto sperimentare, annunciare, e spiegare il grande passaggio che stiamo vivendo sia a livello storico-planetario che a livello esistenziale e personale. Dobbiamo cioè sperimentare e annunciare che una Nuova Umanità postbellica e relazionale sta per davvero emergendo in ciascuno di noi e sulla Terra, come unica possibilità evolutiva, e cioè salvifica. Dobbiamo cioè ripetere l’Annuncio cristiano, appunto della Nuova Umanità rigenerata in Cristo, nel nostro Adesso storico e nel nostro Ora esistenziale, aiutando credenti, non credenti e altrimenti credenti a leggere in profondità questo momento formidabile della loro esistenza e della storia del mondo.
Eccoci così di nuovo dinanzi al punto fondamentale che abbiamo già incontrato: educare OGGI alla fede cristiana significa innanzitutto rianimare una grande speranza: comprendere e annunciare che questa crisi terribile, questa sorta di smottamento personale e planetario di tutte le identità storiche, possiede una direzione, un senso evolutivo. Dobbiamo perciò elaborare una nuova cultura profetica della trans-figurazione in atto che entri in dialogo con le culture non cristiane, che per tante vie sono già arrivate a comprendere la necessità di un vero e proprio passaggio di figurazione antropologica. E’ proprio questo enorme lavoro di pensiero che ci addita anche il nostro Papa-teologo: “Questo processo immane è il vero, grande compito dell’ora presente”.
E discernere “in cosa la fede deve far proprie le forme e le immagini della modernità, e in cosa deve invece opporre resistenza”, come suggerisce ancora il Papa, implica una rilettura messianica dei duemila anni di cristianesimo, della modernità, e dell’attuale punto di svolta, che sappia selezionare con cura le traenze evolutive rispetto ai contenuti da abbandonare, uscendo da visioni unilaterali e insufficienti.
Facciamo un esempio. Oggi, in ambito cattolico, si sottolinea molto spesso che sarebbe in atto un processo universale di scristianizzazione e di secolarizzazione. E questo è vero, ma solo da un certo punto di vista: il cristianesimo certamente non è più un dato antropologico-culturale, si celebrano meno sacramenti, si frequenta molto meno la messa domenicale, circola un certo ateismo pratico, e così via.
Però non possiamo negare che mai come in questi ultimi decenni, almeno nelle aree più sviluppate del mondo, alcuni valori cristiani siano stati messi in pratica: mai si è cercata e realizzata la pace in Europa come negli ultimi 60 anni, mai c’è stata tanta uguaglianza, mai le minoranze hanno avuto tanta attenzione e rispetto, mai le donne hanno raggiunto tanta parità, mai i disabili sono stati tanto rispettati e curati, mai c’è stata tanta attenzione alle altre tradizioni religiose, e così via.
E allora? Come mai nei tempi in cui il cristianesimo era saldo ed egemonico dominava in Europa una guerra permanente? I poveri erano molto più violentemente schiacciati e asserviti? Non esistevano diritti umani garantiti? Le donne sopportavano uno stato di minorità assoluta, e così via?
Noi cristiani dovremmo renderci conto che le chiavi interpretative unilaterali, che continuiamo spesso ad utilizzare con estrema leggerezza anche in tanti documenti ecclesiali, non servono proprio a niente: né a comprendere la storia, né ad intervenire efficacemente nel presente. E dovremmo anche capire che ci fanno perdere per di più ogni residua credibilità davanti a chi si aspetterebbe da noi analisi critiche e autocritiche ben più fondate, e cioè ben altra lucidità e chiarezza profetiche.
No. La realtà è che i processi in atto sono spaventosamente ambigui. La realtà è che siamo chiamati a discernere l’elemento messianico presente anche nei processi di apparente scristianizzazione, e l’elemento antimessianico presente anche in tante forme storiche del cristianesimo. Perciò probabilmente il termine scristianizzazione è inadeguato a descrivere il nostro tempo. Forse ciò che sta morendo è solo una figurazione storica del cristianesimo, un cristianesimo fatto più di religione sociale che di fede autentica. Forse ci stiamo purificando, forse ci stiamo paradossalmente proprio cristianizzando.
E se dovessimo alla fine reinterpretare questo tempo come l’epoca preparatoria per una rinnovata cristianizzazione?
E’ questa chiave nuova di interpretazione della storia, che rilancia nell’ADESSO personale e storico l’annuncio messianico, il fondamento di una autentica nuova evangelizzazione, nutrita di un costante dialogo annunciante con tutte le culture della terra.
Senza questa chiave ermeneutica non avremo alcuna nuova evangelizzazione, ma solo la ripetizione fallimentare di vecchie parole. L’evangelizzazione del XXI secolo sarà davvero nuova nella misura in cui sapremo rinnovarci noi stessi, rigenerarci nella Nuova Umanità di Cristo, e quindi rinnovare la Chiesa, liberandola da tutte le forme che ancora la bloccano nella Vecchia Umanità ormai terminale.
Aprire un’entusiasmante stagione di trans-formazione
L’annuncio dialogante dell’emersione della Nuova Umanità relazionale, che irrompe in modo inedito e inaudito sul palcoscenico ormai planetario e unificato della storia umana, non può che rigenerare tutti i cammini educativi, indirizzandoli verso la formazione di persone che sappiano sempre meglio inter-relarsi, e scoprire se stesse proprio nell’apertura relazionale all’altro, e non separandosi o isolandosi nelle proprie forme auto-difensive.
Per noi cristiani questo significa propriamente realizzare in modo molto più radicale l’essenza stessa della nostra fede: la nostra rinascita spirituale, il nostro Battesimo, la nostra nascita come esseri spirituali, persone perciò in sostanziale comunione con la Fonte del nostro essere e con tutti gli altri.
Educarci oggi alla fede cristiana significa, in altri termini, passare da una religione molto rappresentata, in cui cioè i misteri della salvezza vengono appunto rappresentati negli splendidi quadri delle chiese e nelle liturgie sacramentali, ad una fede molto più realizzata, in cui i misteri diventano la dinamo della nostra vita quotidiana.
Ecco perché dobbiamo rivedere tutti i cammini iniziatici, e chiederci se e in quale misura essi siano adeguati a far emergere la nuova umanità relazionale, e cioè il cristiano e la cristiana del tempo che si sta aprendo.
Per far questo credo sia necessario ripartire da noi adulti, ed in particolare da nuclei di ricerca che divengano poi punti di irradiazione di questa formazione spirituale rinnovata. Sia nelle parrocchie che nelle congregazioni religiose, o anche nelle varie associazioni ecclesiali, dovremmo dar vita a Gruppi in cui avviare o portare avanti una grande sperimentazione di nuovi itinerari iniziatici, in cui vivere e condividere i processi reali della nostra trans-formazione nello Spirito del Cristo, nostra Nuova Umanità.
Questo d’altronde è l’indirizzo che la CEI dà alla Chiesa italiana per il prossimo decennio: “In questo decennio sarà opportuno discernere, valutare e promuovere una serie di criteri che dalle sperimentazioni in atto possano delineare il processo di rinnovamento della catechesi, soprattutto nell’ambito dell’iniziazione cristiana” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 54).
A tal scopo, come un piccolo contributo in questa direzione, ho avviato i Gruppi Darsi pace nel 1999 presso l’Università Salesiana di Roma. In questi Gruppi le persone più diverse, credenti e agnostici, suore e preti, artisti e casalinghe, praticanti di discipline orientali e persone che vengono da molteplici esperienze psicoanalitiche o psicoterapeutiche, vengono innanzitutto accolte nel loro travaglio. Le loro sofferenze, le loro crisi di identità e di significato vengono valorizzate, e interpretate come segno di un grande passaggio evolutivo che ci coinvolge tutti. Lungo il primo triennio di base si tenta di far comprendere e sperimentare che tornare alla fede cristiana non significa affatto ritornare ad antiche schiavitù, ma aprirsi con tutto il cuore ai processi evolutivi e di liberazione che sono in corso, dando loro una direzione e un significato definitivo.
Questi Gruppi si basano su un metodo che integra un insegnamento culturale, centrato appunto sulla lettura messianica del nostro tempo estremo, con un accompagnamento psicologico ed esistenziale, che aiuti one by one, e attraverso relazioni di amicizia concrete, a sciogliere gli impedimenti e le resistenze interiori al cambiamento salvifico. Il percorso viene inoltre radicato fin dall’inizio in una pratica di meditazione e di preghiera cristiana, in una sorta di centralità contemplativa, che ci faccia sperimentare giorno dopo giorno la verità direi fisica, ed emotiva, della nostra liberazione in Cristo.
In conclusione, educare alla fede oggi non significa imporre o anche solo esporre una gran quantità di concetti astratti o di pie riflessioni bibliche o anche di sollecitazioni morali o sociali; quanto piuttosto facilitare i processi reali della nostra guarigione, introdurre nel mistero della nostra rinascita nello Spirito di Dio, accompagnare cioè in una iniziazione reale.
E questo può accadere solo all’interno di Gruppi esperienziali, in cui la trasmissione della fede avvenga attraverso relazioni intense ed esperienze personali, che possano poi riversare nelle varie comunità, parrocchiali o religiose, la luce di un vero ricominciamento.
Articolo pubblicato nel n.3/XXVIII, maggio-giugno 2011, della Rivista “Vocazioni”, Bimestrale a cura del Centro Nazionale Vocazioni della CEI