Una nuova stagione di fede vissuta
La fine di un’epoca del cristianesimo
Il cristianesimo sta vivendo in Italia, e più in generale, in Europa, una crisi davvero singolare, che in realtà ha radici molto antiche, e che procede e si va aggravando sempre più velocemente da alcuni decenni. Se non partiamo ogni volta dalla comprensione di questo dato di fatto, rischiamo di avventurarci in considerazioni estremamente generiche e in proposte di rilancio del tutto inefficaci.
Nella premessa alla nuova edizione (2000) del suo volume “Introduzione al cristianesimo” (1968), Joseph Ratzinger constatava che, nonostante il persistere di un notevole numero di credenti “in questo momento storico il cristianesimo non è riuscito a porsi distintamente come un’alternativa epocale” . Il cristianesimo infatti, nonostante molteplici e reiterati successi di superficie, sembra sempre più appannato, diluito com’è negli ambigui convincimenti delle società secolarizzate; sembra a volte soltanto una leggerissima e quasi evanescente verniciatura di moralità altruistica sulla corazza d’acciaio del mondo tecno-mercantile planetarizzato.
La radice di questo fenomeno, come dicevamo, è antica e profonda, e si alimenta alla sostanziale e arcaica superficialità di un cristianesimo di massa, ridotto per secoli a consuetudine antropologico-culturale, a ritualità e a devozione. Ancora Ratzinger si chiedeva nello stesso saggio: “Chi è capace di dire a uno che lo chiede, in modo comprensibile ma conciso, che cosa propriamente significhi ‘essere cristiani’? Chi sa spiegare a un altro, in maniera comprensibile, perché egli crede, indicando quale sia la direzione chiara, il centro della decisione della fede?”
Ben pochi, davvero pochissimi! Così risponderebbe a queste domande, fatte nel 1968, il recentissimo “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia” , il quale ci informa, ad esempio, che, se ancora il 79,1% degli italiani si dichiara cattolico, il 47% di loro ritiene che a scrivere la Bibbia sia stato Mosè o addirittura Gesù, oltre il 70% non è in grado di nominare gli autori dei Vangeli, e solo un incredibile 1,6% sa citare correttamente i 10 comandamenti …
Insomma, qui non si tratta di una congiuntura critica tra le altre, qui ci troviamo di fronte ad un fenomeno che mette in discussione un mondo intero, siamo cioè nel vortice della fine di un’epoca millenaria della storia del cristianesimo.
Ed infatti Papa Francesco arriva a scrivere nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium: “Nemmeno possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico” (EG n. 70). Ma perché si è prodotta una rottura di tali proporzioni? Che cosa sta succedendo nel mondo che rende così difficile per un italiano o per un francese aderire alla fede dei propri avi, e tradurla in parole e opere di nuovo splendide e convincenti? Le risposte a queste domande cruciali non possono più limitarsi ad individuare una serie di cause, quali la crisi della famiglia o il solito secolarismo o il crescente individualismo tardo-moderno, che a loro volta sono soltanto effetti di processi ben più radicali, e appunto di portata antropologico-culturale, tutti da investigare con maggiore acutezza e onestà intellettuali.
Dalla rappresentazione alla realizzazione dei misteri
Qui ovviamente non ci possiamo soffermare nell’analisi delle cause radicali della crisi del cristianesimo storico . Ciò che possiamo dire però, sia pure in estrema sintesi, è che sta tracollando e si sta disfacendo un intero sistema religioso, in cui i misteri della fede erano preminentemente rappresentati, ma ben poco realizzati, in cui cioè ci si è illusi che il teatro sacramentale fosse sufficiente di per sé ad assicurare la maturazione della fede personale, come già Paolo VI sottolineava nell’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi del 1975 “Un certo modo di conferire i sacramenti senza un solido sostegno della catechesi circa questi medesimi sacramenti e di una catechesi globale, finirebbe per privarli in gran parte della loro efficacia. Il compito dell’evangelizzazione è precisamente quello di educare alla fede in modo tale che essa conduca ciascun cristiano a vivere i sacramenti e non a riceverli passivamente o a subirli” (EN 47).
Questo cristianesimo, nutrito da una fede quasi sempre più o meno magica e superstiziosa, e fondato sulla perenne delega ad altri, agli specialisti del sacro, del compito di comprendere il senso delle proprie scelte spirituali, questo cristianesimo inconsapevole è per sempre finito, anche se potrà continuare a sussistere come residuo antropologico nelle aree meno culturalmente sviluppate del pianeta. Speriamo che la Chiesa cattolica non voglia affidare ad esse una sua illusoria ripresa falsamente “popolare”: il popolo di Dio, infatti, quello vero, è fatto di persone sovrane – sacerdoti, re, e profeti – che vivono in prima persona e in piena consapevolezza il mistero della propria rigenerazione nello Spirito del Cristo, gustandone ogni giorno un po’ di più l’infinita potenza creativa.
Dunque in questo faticoso spartiacque tra due epoche millenarie della storia della salvezza, siamo tutti chiamati a cercare un’esperienza più profonda e più intima del Cristo Gesù, vivo e presente e operante in noi. Tutti infatti aneliamo, che lo sappiamo o meno poco importa, alla realizzazione della vita di Dio in noi, e cioè ad una pienezza di vita e di felicità, che tanto desideriamo, pur non sapendo nemmeno di cosa propriamente parliamo, come diceva sant’Agostino. Ed è proprio questo anelito di realizzazione personale della propria salvezza il cuore di quella Nuova Evangelizzazione, di cui iniziò a parlare Giovanni Paolo II durante la Messa nel Santuario di S. Croce in Polonia, nel 1979: “alla soglia del nuovo millennio – in questi tempi nuovi, in queste nuove condizioni di vita – torna ad essere annunciato il Vangelo. E’ iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso”.
Una vera Nuova Evangelizzazione però non può che essere una Nuova Iniziazione, una maggiore realizzazione personale e quotidiana del mistero della salvezza annunciato e inaugurato da Gesù 2000 anni fa.
Che cosa continua ad ostacolare la nostra unione con il Cristo?
Allora possiamo rapidamente elencare quali elementi ostacolino questo anelito contemporaneo alla maggiore realizzazione dell’unione spirituale con Gesù, e quali possano favorirlo?
Certamente ciò che non può che aggravare questo sfocamento progressivo della fede in Gesù è ogni forma di ulteriore ignoranza iniziatica. Ogni volta che continuiamo a mantenere le persone in un atteggiamento di adesione inconsapevole verso contenuti teologici e dottrinali mai compresi, e cioè induciamo le persone a far finta di credere in cose che nemmeno capiscono, noi allontaniamo la rivelazione della potenza trasformativa e liberatoria di Gesù, e ci allontaniamo perciò dal suo Spirito.
Ogni volta che insistiamo in modo unilaterale, teatrale ed estrinseco, sulle rappresentazioni/celebrazioni (più o meno pompose e alienanti) dei misteri, proiettando i fedeli verso concetti e immagini fuori di loro, come se la fede fosse una specie di relazione magica verso immagini o eventi di per sé salvifici; ogni volta poi che induciamo una devozione sentimentalistica, o un’attitudine da massa plaudente, più o meno isterica, entusiastica, e infantile, noi favoriamo, magari senza nemmeno rendercene conto, una regressione psicologico-spirituale, e così allontaniamo le persone da quell’esperienza intima e reale del mistero di Dio nello Spirito di Cristo, che richiede sempre impegno personale e profonda individuazione, e cioè atteggiamenti opposti a quelli propri di ogni tipo di massificazione.
Ogni volta inoltre che sproniamo le persone all’attivismo frenetico, insistendo ancora una volta su motivazioni moralistiche o sociologistiche, e cioè in definitiva sul senso di colpa che affligge ogni uomo, noi allontaniamo le persone dalla liberazione interiore che opera in noi il Cristo, alimentando al contrario le loro difese nevrotiche, e cioè le loro strutture psichiche di alienazione.
Ogni volta infine che favoriamo la distrazione, la deconcentrazione, la chiacchiera, pure “religiosa”, e la dissipazione mentale, come ogni giorno fa la cultura mass-mediologica dominante, noi feriamo e indeboliamo la nostra anima, che anela ad unirsi allo Spirito di Cristo, e a godere della sua vita sempre nuova e sempre creativa.
Ripartiamo dall’esperienza contemplativa di Dio
La fase storico-culturale del cristianesimo che si sta chiudendo, dunque, e che possiamo definire tendenzialmente orientata più alla rappresentazione che alla realizzazione personale dei misteri della salvezza (salva evidentemente l’esperienza dei santi), sembra caratterizzarsi per una triplice carenza strutturale e di formazione: c’è poca conoscenza iniziatica, c’è scarso autoconoscimento interiore profondo, e c’è scarsa elaborazione culturale. Queste tre carenze ovviamente risaltano con chiarezza solo OGGI, dal nostro punto di vista di uomini e donne del XXI secolo, siamo noi cioè che siamo chiamati ad andare oltre questi deficit, in quanto solo ora ci appaiono in tutta la loro gravità.
Se queste tre sono le carenze, vuol dire che se desideriamo rilanciare il mistero gaudioso della nostra intimità con il Cristo, e cioè della nostra unità di Spirito con lo Spirito del Creatore, dobbiamo operare su tutte queste tre aree deficitarie al contempo.
E partiamo perciò dal cuore di tutto, e cioè proprio dall’esperienza contemplativa, che è la dimensione primaria e fondamentale, entro la quale tutti i contenuti della nostra fede diventano appunto esperienza, si fanno palpito cardiaco, emozione, luce intellettuale, corpo vibrante, e visione, come ci ricorda Papa Francesco: “Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri” (EG n. 264).
La nostra però è una società organizzata purtroppo per rendere queste esperienze semplicemente impossibili. Le nostre menti sono educate, fin da bambini, alla più estrema frammentazione, alla velocità dello zapping e del link telematico. Stiamo diventando inadatti a qualsiasi forma di concentrazione prolungata, e quindi lontani mille miglia da qualunque stato contemplativo, che presuppone la concentrazione, il silenzio, e una certa quiete mentale.
Anche nella Chiesa a volte prevale l’attivismo, ci si perde in mille opere, magari pie e caritatevoli, senza più curarci del cuore che le compie queste opere, dimenticando però che è proprio la tonalità emotiva del cuore che rende il nostro operare benedetto o meno. Dovremmo invece, proprio noi cristiani, ricordare al mondo che senza una costante educazione al silenzio e all’ascolto, finiamo nella frenesia nevrotica che è sempre una fuga da sé, e che in un modo o nell’altro inesorabilmente ci ammala.
Papa Benedetto, nell’Udienza Generale del 25 aprile del 2012, diceva: “San Bernardo, che è un modello di armonia tra contemplazione ed operosità, nel libro De considerazione, indirizzato al Papa Innocenzo II per offrigli alcune riflessioni circa il suo ministero, insiste proprio sull’importanza del raccoglimento interiore, della preghiera per difendersi dai pericoli di una attività eccessiva, qualunque sia la condizione in cui ci si trova e il compito che si sta svolgendo. San Bernardo afferma che le troppe occupazioni, una vita frenetica, spesso finiscono per indurire il cuore e far soffrire lo spirito. E’ un prezioso richiamo per noi oggi, abituati a valutare tutto con il criterio della produttività e dell’efficienza”.
Eppure mancano terribilmente scuole di meditazione e di contemplazione, mancano le giuste verifiche che dovremmo compiere di tutte le pratiche spirituali che spesso continuiamo a svolgere per pura inerzia. Manca inoltre una chiara predicazione in questo senso, si finisce quasi sempre per dare per scontata questa centralità contemplativa, come fosse cosa ovvia e da tutti ossequiata, senza dire con chiarezza che la crisi della fede in cui stiamo precipitando è innanzitutto una crisi di spiritualità e di pratiche spirituali davvero efficaci.
Qui il lavoro è immenso ed entusiasmante, si tratta di riscoprire tutti i patrimoni della nostra tradizione cristiana, e di riattualizzarli, rendendoli praticabili dall’uomo e dalla donna del XXI secolo e dei successivi. Si tratta di verificare esistenzialmente le forme di preghiera vissute nella Chiesa, e si tratta anche di metterle a confronto con le pratiche di altre tradizioni spirituali, che possono aiutarci a predisporci meglio al silenzio e all’ascolto orante della Parola di Dio.
Conoscere meglio se stessi e la storia del mondo<br<
Sul piano dell’autoconoscimento poi dovremmo partire da questa triste ma purtroppo veritiera considerazione del monaco benedettino tedesco Anselm Gruen: “La Chiesa ha sicuramente perso competenza nel campo della cura delle anime. Si è occupata troppo poco dell’anima del singolo e ne ha studiato troppo poco la struttura per poterla aiutare in modo adeguato nel cammino che porta a diventare uomini”.
Ebbene oggi possiamo e dobbiamo conoscere noi stessi, i movimenti interiori della nostra anima, e i meccanismi più o meno inconsapevoli della nostra mente, in modo nuovo e ben più profondo. Anche qui possiamo servirci di un patrimonio immenso che ci arriva da diverse fonti: innanzitutto dalla grande sapienza spirituale cristiana, dai Padri del deserto fino a San Giovanni della Croce, per intenderci; ma poi anche dagli studi e dalle pratiche millenarie intorno ai meccanismi della mente svolti dalle tradizioni asiatiche, sia hindu che buddhiste; e infine dalle elaborazioni della psicologia del profondo dell’ultimo secolo.
Siamo chiamati a estrarre da tutta questa ricchezza quelle forme di conoscenza di noi stessi che ci aiutino a capire come entrare in contatto sempre più intenso e vivo con lo Spirito della nostra Nuova Umanità, proprio individuando sempre meglio e dissolvendo tutti gli strati di alienazione, di menzogna, e di distorsione, anche religiosa, che continuano a tenerci a grande distanza dalla comunione d’amore col Cristo vivente.
Sul piano dell’elaborazione culturale infine il nodo centrale che dobbiamo affrontare è tuttora il rapporto tra tradizione cattolica e svolta moderna. Dobbiamo ancora capire bene e spiegare che cosa sia successo in questi ultimi cinque secoli. Come e perché insorga l’anelito moderno ad una nuova libertà, di conoscenza, di pensiero, e politica, proprio nel terreno della cristianità. Come e perché questa svolta abbia creato una scissione tremenda entro il medesimo tronco cristiano, fino agli esiti nichilistici di molte correnti, originariamente cristiane, della modernità. Come e perché poi la Chiesa cattolica si sia così radicalmente opposta a queste correnti. Come e perché, a partire dal Concilio Vaticano II, la Chiesa abbia invece incominciato ad assorbire molti contenuti moderni, fino a quel momento in gran parte osteggiati. Quali siano insomma i contenuti della modernità, intrinsecamente cristiani, da assorbire, e quali invece siano da rigettare. E in che modo la Chiesa, lungo questo processo, che è di conversione, debba cambiare. Su tutti questi punti c’è ancora una grande confusione, che ostacola il nostro libero contatto con lo Spirito di Cristo. Ha ragione perciò Papa Ratzinger quando scrive: “La questione è: in cosa il secolarismo ha ragione? In cosa dunque la fede deve far proprie le forme e le immagini della modernità, e in cosa deve invece opporre resistenza? Questa grande lotta attraversa oggi il mondo intero”.
Questa lotta va però esplicitata e chiarita, non possiamo continuare ad assorbire contenuti sempre maggiori propri della modernità, senza spiegare che cosa sia cambiato di essenziale nella Chiesa, nelle sue convinzioni teologiche e filosofiche, affinché tali mutamenti epocali siano diventati possibili e anzi necessari alla propria conversione, e cioè alla propria configurazione al Cristo. E’ ovvio che nella Chiesa sussista una continuità di annuncio e di vita, dalla fondazione operata dal Cristo fino a noi, ma è anche più che evidente che ci troviamo a vivere lungo questa continuità un processo di rigenerazione e di purificazione di tali proporzioni, da giustificare il concetto di un vero e proprio ricominciamento.
In conclusione, dunque, per approfondire la nostra comunione con Cristo, nostra Nuova Umanità, dobbiamo impegnarci insieme e contemporaneamente sia sul piano spirituale e contemplativo, sia su quello dell’autoconoscimento interiore, che su quello di una nuova creatività culturale. Solo questo impegno integrato può disporre tutto il nostro essere, lo spirito, la mente, e il cuore, a quella trans-figurazione sempre più profonda che Cristo Gesù vuole operare dentro ciascuno di noi, per trasformare ogni cellula del mondo.
Pubblicato nella Rivista “Religiosi in Italia”, della Conferenza Italiana Superiori Maggiori, Marzo-Aprile 2015 n. 407.