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San Paolo ad Atene

Ora come allora: l’umanità a un bivio

Con Paolo ad Atene per leggere il nostro presente

In questo breve intervento vorrei provare a seguire san Paolo nella sua missione ad Atene, e vorrei ascoltare il suo discorso sulla collina dell’Areopago, per comprendere meglio il tempo che stiamo vivendo noi in questo esordio di millennio. La Parola di Dio infatti è viva solo se qualcuno la incarna adesso, nella propria vicenda esistenziale e storica più concreta, lasciandone trasparire quello Spirito, quella Luce che trasforma ogni momento della vita e della storia collettiva, facendone una fase precisa della storia della salvezza.

Tenteremo dunque una piccola interpretazione del nostro tempo alla luce delle parole di san Paolo, svolgendola in tre punti fondamentali:
1.ci chiederemo prima di tutto quali caratteristiche mostri la città di Atene che la rendano per certi versi analoga alle società dominanti odierne;
2.poi vedremo che cosa annunci san Paolo in quel contesto, e tenteremo di individuare che cosa siamo chiamati noi stessi ad annunciare in modo credibile ed efficace nel nostro ambiente culturale postmoderno;
3.e infine vedremo quali effetti ottenga san Paolo, che cosa impari dalla reazione degli Ateniesi, e che cosa ne possiamo apprendere noi.

Idolatria e culture impotenti

Atene si mostra agli occhi di san Paolo come una città piena di idoli (Atti 17,16), che fanno fremere il cuore dell’apostolo. Anche oggi le nostre città sono piene di immagini accattivanti e seduttive, e fiumi di immagini ci avvolgono dappertutto, facendoci vivere entro una realtà sempre più virtuale e artificiale. Viviamo anzi in un ambiente che ci dà l’illusione che il mondo sia fatto tutto dalle nostre mani.
Questa è un po’ la grande idolatria contemporanea: crediamo solo in ciò che produciamo noi stessi, e creiamo un mondo immaginario solo per avvincere i nostri sensi alle cose del mondo, agli oggetti del mercato.
Quasi più nulla, nemmeno l’arte, allude al mistero di una ulteriorità, di una provenienza, e di una destinazione finale delle cose visibili.
L’idolatria di oggi ci vincola perciò ai limiti spazio-temporali di questo mondo, e quindi alla morte, al nulla, e al non senso. E’ la dittatura del visibile, ridotto a sua volta a ciò che può essere prodotto (alla tecnologia), e venduto (al mercato), come precisa bene il sociologo americano Jeremy Rifkin: “Quello che per qualcuno può essere un’utopia, per altri è un incubo. Provate a immaginare di svegliarvi, una mattina, e di scoprire che ogni cosa che vi riguarda è a pagamento: la vostra vita è diventata un’esperienza di natura esclusivamente commerciale. (…) L’era dell’accesso si definisce, soprattutto, attraverso il crescente asservimento delle esperienze alla sfera economica. Reti commerciali di ogni dimensione e della più varia natura tessono una ragnatela che avvolge completamente l’esistenza umana, riducendone ogni momento a merce”.

Ad Atene poi prolifera una cultura già decadente. Paolo parla di filosofi epicurei e stoici, ma non c’è più alcuna grandezza in loro, quanto piuttosto una gran voglia di chiacchierare a vanvera (Atti 17,21).
Anche oggi domina una cultura decadente e impotente, fatta di riduzionismo scientistico, di psicologismo a buon mercato, e di un profluvio di chiacchiere che trasbordano da miriadi di festival della filosofia, delle letterature, della matematica, della storia, o di chi sa che: festival, comunque, come a san Remo, dove si va a sentire parlare questo o quello, dove ognuno dice la sua, ognuno se la canta e se la suona, tanto poi in realtà non cambia proprio niente, e a governare i cuori e le menti resta l’unica ideologia rimasta, quella della mercificazione universale.

L’annuncio è ancora sconvolgente

In questo contesto da cultura terminale, da fine di un’epoca, Paolo annuncia sostanzialmente tre cose:
a) al di sopra di tutti i vostri dèi e idoli vari c’è il vero Dio, il vero Principio della creazione, che trascende perciò il mondo, pur essendone il Principio e la sostanza essenziale (Atti 17,28);
b) l’uomo è di stirpe divina, è anch’egli perciò più grande del mondo, e non deve perciò sottostare ad alcun potere di questa realtà mondana (né divino né umano): l’uomo è il centro e lo scopo della creazione, infatti Dio “ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio” (Atti 17,26), affinché l’uomo possa conoscere Dio e servirlo come ministro della creazione, a quest’unico scopo;
c) proprio adesso ci troviamo in un momento decisivo della storia, in cui “Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi”(Atti 17,30). Dobbiamo cioè prepararci ad un giudizio globale che misurerà ogni uomo sulla nuova misura di umanità che è già presente nel Cristo Risorto.

Anche noi dobbiamo riannunciare in modo credibile queste tre idee fondamentali.
Dobbiamo ricordare che c’è un Principio Spirituale che trascende tutta la realtà visibile e materiale, e ne è la sorgente creativa. Dobbiamo ribadire che l’uomo è in relazione diretta con questa Fonte, e che perciò è libero e divino. Dobbiamo cioè combattere ogni riduzionismo, che pretenda di ridurre appunto l’essere umano a cosa di natura. No, dobbiamo rivendicare la follia umana, la sua assoluta unicità e dignità, la sua estraneità rispetto ai limiti di questo mondo, la sua grandezza che è più vasta di ogni confine spazio-temporale. E infine dobbiamo anche noi annunciare che ci troviamo in un momento singolarissimo della storia del mondo, in un punto cruciale e fatale in cui l’annuncio cristiano della Nuova Umanità sembra trovare conferma nella storia, e addirittura nella cronaca quotidiana ormai, nel tracollo sempre più drammaticamente evidente di tutte le culture belliche della terra. Dobbiamo annunciare che in questa fase ultimativa della storia del pianeta si apre dinanzi a tutti noi con inaudita radicalità la biforcazione tra annientamento totale e profondissimo rinnovamento.

Tutti siamo perciò chiamati ad aprirci a processi più radicali di purificazione dagli elementi idolatrici e alienati di cui siamo ancora impastati, sia come culture storiche e religiose, che come individui, come Giovanni Paolo II ci ha sempre ricordato additandoci nel Giubileo del 2000 un punto di ricominciamento per tutta la Chiesa.

L’annuncio come liberazione nella potenza dello Spirito

Di fronte all’annuncio della Risurrezione, e cioè della trasformazione definitiva della materia corporea di tutta la creazione, san Paolo incontra sia la derisione, sia il rifiuto, che l’adesione.
Paolo comprende però che l’annuncio della trasfigurazione della carne non può fondarsi solo sulla logica persuasiva dei discorsi. Per annunciare l’inaudito miracolo ci vuole l’inaudita potenza dello Spirito: “la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza”(1Cor. 2,4).

Per noi questo significa che l’annuncio della Nuova Umanità crescente non può limitarsi ad essere un bel discorso razionale o morale, ma deve portare con sé un’effettiva potenza di liberazione.
Questo attende il mondo e ogni uomo: una parola di straordinaria potenza che ci illumini, ci liberi, e ci guarisca. Questa parola c’è, è in noi, dobbiamo forse imparare meglio a farla risuonare, perciò urgono nuovi itinerari che ci aiutino a entrare in contatto con le profondità spirituali del nostro uomo nascente.