La laicità assoluta dell’umanità nascente
Riconoscersi laici in quanto cristiani e cristiani in quanto laici
Molte volte nelle attuali controversie su laicità, laicismo, cultura laica etc., non si comprende appieno di che cosa si parli, e si finisce per fare affermazioni generiche che servono solo ad incrementare quel crescente bisogno di scontro ideologico che sta montando in Italia. La riduzione di questioni complesse alla comoda ma avvilente misura dello slogan è sempre il segno di una pericolosa carenza di profondità, di una voglia impellente di mettere a tacere ogni interrogazione seria, e di scaraventare in faccia all’avversario parole tanto perentorie quanto poco pensate. Questo rinserramento in asserzioni sempre meno ponderate, questa educazione alla rigidità mentale, acritica, orgogliosa delle proprie presunte certezze, e sempre più animosamente armata contro i nemici di turno che premerebbero alle porte, è propriamente la pedagogia della guerra.
Quando ad esempio sentiamo dire che la religione cristiana non dovrebbe entrare nelle questioni della politica, in quanto bisognerebbe salvaguardare l’assoluta laicità dello stato, si dimentica che proprio questa laicità deriva in modo diretto e necessario dalla distinzione cristiana tra le due città e i due poteri, e che quindi più affermiamo questa laicità più siamo intrinsecamente cristiani, e cioè in qualche modo facciamo entrare pesantemente la religione nei fondamenti del nostro discorso politico, cosa che oggi è evidente ad esempio nel confronto con il mondo islamico, e che viene ormai riconosciuta con chiarezza anche da pensatori come Vattimo: “Ciò che credo si possa dire nei termini di un pensiero non metafisico è che gran parte delle conquiste – teoriche e pratiche, fino all’organizzazione razionale della società, al liberalismo e alla democrazia – della ragione moderna sono radicate nella tradizione ebraico-cristiana, e non sono pensabili al di fuori di essa”.
Parimenti quando da parte cattolica si fanno derivare tutti i mali del presente da quel processo di secolarizzazione, che dall’illuminismo porterebbe dritto dritto al relativismo e al nichilismo, forse si dimentica che questo processo porta dentro di sé uno spirito radicalmente cristiano, che sono cioè proprio i misteri cristologici dell’Incarnazione a relativizzare e a “mondanizzare”, e cioè a calare nella carne concretissima e molto incerta e chiaroscurale dei nostri giorni terreni, la rivelazione di Dio. Si dimentica inoltre l’essenza dissacrante dell’annuncio cristiano che toglie legittimità ad ogni potere religioso o politico che pretenda di assoggettare l’uomo in nome di un sacro bagnato quasi sempre del sangue dei poveri. Si dimentica poi che Gesù è stato ucciso dai sacerdoti del suo popolo proprio perché era un tremendo dissacratore, perfino della santità del sabato, un vero relativista che relativizzava addirittura la legge di Mosè pur di salvare la vita ad una adultera. Si dimentica infine la natura potremmo dire illuministica e in un certo senso nichilistica – nel senso paolino del ridurre al nulla le cose che sono (1Cor. 1,28) – del cristianesimo, come ha scritto molto bene il cardinale Jean-Marie Lustiger: “A generare l’universo scientifico, moderno e secolarizzato, è stato il mondo occidentale, nato dalla Parola biblica. Di conseguenza la crisi di questo mondo è una crisi della fede. (…) La crisi del nostro secolo, nella misura in cui esso vive del trionfo dell’Occidente, è una crisi collettiva del cristianesimo stesso.” Concetto questo ribadito d’altronde dallo stesso Benedetto XVI poco prima della sua nomina papale, il 1° aprile del 2005, a Subiaco: “l’Illuminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana”.
La crisi terminale della razionalità autosufficiente
Se dunque usciamo dalla cultura bellica degli slogans e delle piazze contrapposte, e cioè dall’atteggiamento infantile di chi si chiude nella difesa più o meno isterica di figure di identità approssimative e consunte, che cosa vediamo? Qual è il vero problema che dovremmo affrontare?
A me pare che la questione all’ordine del giorno si possa riassumere così:
le culture moderne, che si sono sviluppate, a partire dal XVI secolo, sempre più fuori e poi sempre più spesso contro la Chiesa cattolica e lo stesso cristianesimo – pur alimentandosi alle sorgenti della medesima fede -, nella convinzione di poterne sostituire le funzioni salvifiche nei termini di un progresso scientifico e politico tutto terreno, vivono una loro crisi terminale, una sorta di catastrofe dei loro stessi fondamenti teorici e di tutte le loro speranze storiche;
per ritrovare linfa vitale ed energia creativa nuova sono chiamate a riscoprire le loro sorgenti spirituali, che sono intrinsecamente cristiane, e ad avviarsi così a ricomporre processualmente quel divorzio tra fede cristiana e cultura moderna che segna, come diceva già Paolo VI, il vero dramma del nostro tempo (cfr. Evangelii nuntiandi 20).
Questa riconiugazione tra Chiesa cattolica e modernità, e quindi ovviamente anche tra tutte le chiese cristiane, questa riunificazione nello stesso tronco spirituale da cui tutti qui ad Occidente deriviamo, che è poi la Nuova Umanità inaugurata da Cristo, implica d’altronde un profondissimo processo di conversione e di purificazione della Chiesa stessa, che è chiamata ad assimilare tutti gli impulsi evolutivi e liberatori della modernità, riconoscendoli nella loro valenza evangelica.
Questo processo, come si sa, è già stato avviato dal Concilio Vaticano II, e trova, a mio giudizio, nella grande richiesta di perdono compiuta da Giovanni Paolo II nella prima domenica di Quaresima del 2000 un nuovo slancio profetico, tutto ancora da assimilare e da trasformare in atteggiamenti coerenti e consequenziali.
Ma vediamo meglio in che senso le culture “laiche” vivano una fase di crisi terminale.
I due grandi filoni culturali, radicati nel processo rivoluzionario della razionalità moderna, sono, come si sa, quello scientifico e quello storico-politico. Ora il riduzionismo materialistico della scienza di tipo positivistico è stato del tutto travolto dalle scoperte della fisica del XX secolo, che spingono, per fare solo un esempio, scienziati come Max Planck a dire in una famosa conferenza, tenuta a Firenze nel 1944: “Come fisico vi dico in base alle mie ricerche sull’atomo: non esiste nessuna materia in sé! Tutta la materia ha origine ed esiste solo in virtù della propria forza, la quale fa vibrare le particelle atomiche e che le tiene insieme come un minuscolo sistema solare dell’atomo (…) Così dietro questa forza dobbiamo supporre uno Spirito intelligente e consapevole. Questo Spirito è il fondamento di tutta la materia”.
Se dunque la scienza va perdendo ogni fondamento teorico di tipo materialistico, e sembra addirittura sempre più spesso parlare il linguaggio della mistica, parimenti si è da tempo dissolto l’entusiasmo per la risoluzione tecnologica di tutti i problemi dell’uomo. Noi oggi siamo molto più preoccupati piuttosto che entusiasmati per una modalità di sviluppo tecno-mercantile che non sempre sembra orientarsi nella direzione dei veri interessi dell’umanità. Eppure, nonostante queste evidenze, permane nella cultura dominante e nel senso comune una sorta di totalitarismo scientistico, un’arroganza materialistica, ed un riduzionismo antropologico che sembrano anzi irrigidirsi quanto più crollano i loro fondamenti teorici e si manifestano le loro insufficienze pratiche.
Sul piano storico-politico poi il progetto social-comunista di sradicare la fede cristiana e di sostituirla con una religione di tipo rivoluzionario, del tutto materialistica e atea, è tragicamente naufragato nell’orrore stalinista e crollato nel fango con gli ultimi mattoni del Muro di Berlino. L’illusione catastrofica che l’uomo possa fare a meno di quell’apertura all’infinito che lo costituisce, o che possa soddisfarla in un processo tutto immanente di liberazione politica, questo filone culturale, che da Hegel e da Marx arriva in Italia fino a Croce, a Gentile, e a Gramsci, è anch’esso in coma irreversibile, e si sta spappolando nelle melme mentali di un vero e proprio relativismo assoluto, di questo nichilismo tutto borghese, individualistico e sostanzialmente disperato, che trionfa su “Repubblica” come a “Canale5”. Quelli che fino a ieri sognavano la rivoluzione mondiale del proletariato, la palingenesi storica di una umanità finalmente liberata, si sono ridotti alla depressione “morettiana” o all’indignazione antiberlusconiana, sempre più fioca e ad intermittenza, tra un viaggio nostalgico a Cuba e un salto a Parigi per le ultime sfilate di moda. Eppure anche questo filone, nonostante i fallimenti davvero catastrofici e le vergogne e le contraddizioni che si porta dietro, sembra non avere perduto l’antica arroganza, quel piglio da primi della classe che però non si sa più dove fondino tutta la loro sicumera…
Nella notte occidentale nasce un essere umano che ascolta
Come possiamo custodire le grandi forze evolutive che, pure in forme distorte, comunque agivano in questi filoni, e rilanciarne i progetti per il XXI secolo? Questa è una domanda davvero laica, razionale, e del tutto moderna: come possiamo rilanciare i grandi progetti della modernità: la conoscenza sempre più profonda della natura, la liberazione integrale dell’umano da ogni forma di schiavitù religiosa o politica, la giustizia economica e sociale a livello ormai planetario, l’unificazione del mondo nella sinfonia e nel concerto policromo delle sue voci, come possiamo continuare ad essere “assolutamente moderni” (Rimbaud), purificandoci però dall’illusione catastrofica di un’autonomia assoluta, di una solitudine irrelata della ragione, e quindi della stirpe umana?
E’ proprio nello spazio doloroso del fallimento dell’uomo che si pretende autonomo, è proprio in questo nostro momento di crisi non solo delle culture tradizionali, ma anche di tutte le culture critiche, che arrivano a criticare lo stesso fondamento del loro criticare, precipitando nel nulla e nell’afasia, è proprio ora che possiamo ridisegnare e insieme riscoprire i veri lineamenti della nostra umanità.
L’io tardo-moderno che accetti di vivere il fallimento delle pretese della propria ragione delirante, monologante, e sorda alle profondità del proprio respiro, può riscoprire l’abisso della propria interiorità, riscoprire che prima di ogni interrogazione razionale c’è un nostro essere in ascolto, un nostro essere in relazione. E questo sfondamento della soggettività chiusa in se stessa verso un ascolto più radicale di ogni organizzazione razionale dei discorsi, è esso stesso uno dei caratteri fondamentali di tutte le esperienze spirituali più avanzate del XX secolo: da Rimbaud a Heidegger, da Freud fino a Prigogine o alla Zambrano. Ancora una volta è del tutto laico verificare che l’essere umano è di per sé proteso verso e aperto all’Infinito, strutturalmente bisognoso di una speranza salvifica e di un senso che raccolga e custodisca i giorni della propria vita. E’ del tutto razionale e laico verificare che il nostro essere umani si realizza soltanto nel difficile compito di donare e di ricevere amore, sempre protesi verso una felicità che, per essere completa, non può avere fine, perché ogni gioia, come diceva lo stesso ateissimo Nietzsche, vuole eternità, profonda, profonda eternità.
Dobbiamo perciò edificare, sulle ceneri di una ragione (e quindi di una forma di soggettività umana) presuntuosa quanto insufficiente, una antropologia della nostra umanità radicale, di una umanità nuova e del tutto laica, e cioè del tutto calata nella carne umana del tempo, senza orpelli sacrali o recinti “religiosi”, una umanità inedita e inaugurale che proprio ora sta emergendo dalla crisi e dal tracollo di tutte le millenarie figurazioni belliche, culturali e religiose, dell’identità umana. Dobbiamo comprendere come questa nuova umanità post-bellica (in quanto trans-egoica, nascente cioè dallo scioglimento delle chiusure dell’io entro i confini posseduti e serrati della propria identità) maturi proprio attraverso gli ambiguissimi secoli della modernità, con tutte le contraddizioni che conosciamo, e che proprio oggi emerga come unica possibilità ancora evolutiva non solo per proseguire i progetti purificati della modernità, ma, più in generale, per proseguire la storia umana sul nostro pianeta terra.
E’ in questo luogo povero e potente, in cui l’umano sembra nascere daccapo, che il mistero di Cristo, come nuova umanità e umanità compiuta e inseminata in noi, può tornare a parlare con tutta la sua freschezza. Questo richiede ovviamente una fede, e quindi anche un linguaggio spirituale, una pastorale ordinaria, e una catechesi davvero purificati da tutte le deformazioni belliche della nostra storia bimilleraria, davvero passati attraverso le durissime lezioni della modernità.
Ma questo sarebbe un argomento da trattare in una riflessione ulteriore.
Pubblicato nella Rivista Via Verità e Vita – Comunicare la fede, num.5, settembre-ottobre 2007, anno LVI.