La nuova integrazione
tra spiritualità e prassi trasformative
In questi ultimi anni si è aperta una nuova stagione storica nel rapporto tra religione e politica. Il forte imprinting messianico dei teo-cons statunitensi ha alimentato anche in Europa la consapevolezza che il livello antropologico radicale delle fedi religiose non può più essere relegato nella sfera del privato e che quindi la stessa laicità dello stato va ripensata in un contesto inedito, quale è quello del multiculturalismo in cui viviamo.
Al dibattito tra cristiani e laici occidentali sulla rilevanza del radicamento giudaico-cristiano della nostra civiltà è sotteso cioè il più ampio scenario dell’attuale confronto tra le diverse culture del pianeta, che sono sempre più costrette a confronti ravvicinati e non sempre pacifici.
Ciò che però non mi pare venga sufficientemente sottolineato è che tutti i protagonisti di questo confronto vivono una profonda crisi: tutte le tradizioni religiose del pianeta sono infatti travagliate e consumate e costrette a vertiginose trasformazioni dal rovello secolare della modernizzazione, che non si è affatto fermato, e l’insorgenza di riflussi fondamentalistici è solo il segnale di una reazione isterica di fronte all’angoscia della fine del proprio mondo. Parimenti la stessa cultura laica, sia di stampo scientistico che di ispirazione sociale, attraversa da decenni stadi progressivi di fallimento e autoconfutazione. Che cosa significa infatti oggi essere laico? Non credere in Dio? Credere nell’autosufficienza della ragione umana nell’organizzazione della vita personale e civile? Ma hanno ancora un senso preciso ed evidente simili affermazioni dopo Heidegger o dopo Heisenberg, dopo Freud o anche dopo Rimbaud, dopo cioè la relativizzazione e la storicizzazione di ogni progetto di descrizione o di definizione razionale della realtà?
Il cristianesimo storico d’altra parte è stata la prima tradizione religiosa ad entrare nel travaglio critico della modernità, già a partire dalla Riforma, per cui quando si parla genericamente di “valori cristiani” bisognerebbe spiegarsi meglio: a quale cristianesimo ci riferiamo? A quello di Pio X o a quello di Bonhoeffer? E se poi ci si riferisce più specificatamente al Cattolicesimo, non si dovrebbe dimenticare che la stessa Chiesa Cattolica sta attraversando la propria passione purificativa almeno a partire dal Concilio Vaticano II: una revisione profonda e una confessione dei propri peccati che è culminata con l’atto profetico della 1a Domenica di Quaresima del 2000 compiuto da Giovanni Paolo II. Ora, allorché una persona o un’istituzione confessa la negatività di una modalità complessiva del proprio essere e del proprio agire lungo tutta la propria storia, essa si apre ad una ridefinizione della propria identità: la purificazione della memoria rimette in gioco cioè e in movimento i lineamenti del nostro stesso essere, se è una cosa seria naturalmente…
Tutto questo viene tranquillamente dimenticato nella riflessione sul confronto tra le civiltà e tra credenti e laici occidentali, ed in tal modo si rischia di non vedere ciò che in realtà sta avvenendo: la faticosa emersione di una figura inedita di umanità proprio attraverso la consumazione, la crisi, e a volte il tracollo di tutte le figurazioni storico-religiose del pianeta, almeno per come si erano configurate finora.
Il vero scontro in corso cioè non è affatto tra civiltà tradizionali (Islam e Cristianesimo, Cina confuciana o Giappone zen, etc.) che riemergerebbero dalla crisi dei progetti laici della modernità, ma tra questa figurazione inedita di umanità (figlia legittima, ma anche erede imprevedibile dell’intero travaglio storico cristiano e moderno) e tutti i riflussi fondamentalistici (religiosi o etnici o anche laicistici) e le derive nichilistiche (tecnico-mercantili) che tentano in ogni modo di ostacolarne l’emersione.
Il problema culturale più urgente consiste perciò nel tentare di comprendere quali siano i lineamenti di questa nuova umanità che sta emergendo sul pianeta terra, e nel favorirne l’emersione. Tutti infatti siamo come sospinti a trans-figurarci in lei a prescindere da qualsiasi adesione a qualsiasi fede. E’ cioè del tutto razionale e laico farlo, in quanto ogni altra direzione si sta mostrando sempre più insostenibile ecologicamente e psicologicamente, ingiusta eticamente, improduttiva economicamente, e grottesca esteticamente. Dobbiamo poi dire che l’attuale emersione planetaria di una umanità sostanzialmente relazionale e trans-formativa, di un unico e più coeso e interdipendente Genere Umano, ci ripone inevitabilmente a confronto con il mistero della nuova umanità, appunto trans-culturale e trans-religiosa, che in base alla fede cristiana è stata inaugurata dal Cristo Gesù, e quindi con l’intera storia della civiltà cristiano-occidentale.
Se i processi attuali di unificazione/globalizzazione ci stanno spingendo ineluttabilmente verso una figura di umanità sempre meno particolaristica, egoistica, e chiusa in se stessa e nelle proprie presunte verità, questa evidenza storica non richiede solo una nuova inventiva politica, ma anche un inesausto lavoro interiore. In altri termini è ormai necessario inserire il livello della trasformazione personale entro ogni progettazione politica seria di riequilibrio a tutti i livelli nella direzione della giustizia e della pace. La trasformazione personale sta diventando cioè un elemento sostanziale della costruzione di un mondo meno ingiusto e conflittuale, per cui anche qui il livello psicologico-spirituale e quello storico-politico sono chiamati ad integrarsi in modo inedito, in una forma di laicità realmente post-moderna. Questa integrazione mi sembra d’altronde l’unica via per evitare sia le derive spiritualistiche (e in fondo guerrafondaie) dei neofondamentalismi, che bloccano la spiritualità in codificazioni d’altri tempi, generando solo ignoranza se va bene e molta violenza se va male; sia l’impazzimento di una storia (personale e collettiva) lasciata al proliferare di tecnologie prodotte solo dalla logica del mercato.