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Al di là dell’io, al di là dell’Occidente

Leggere i segni dei tempi
nel travaglio della poesia contemporanea

1. La grande poesia, dalla metà dell’800 in poi, diviene oscura, astratta, inquietante. Hugo Friedrich, nella sua trattazione fondamentale su “La struttura della lirica moderna”, dice giustamente che i versi di un Rimbaud o di un Mallarmé non sono stati ancora assimilati dal grande pubblico, nonostante le infinite edizioni e traduzioni. La poesia di un Trakl o di un Dylan Thomas risulta ancora ostica, difficilmente comprensibile, ci parla di cose oscure in modo oscuro, ermetico, e bizzarro, altro aggettivo che diventa positivo da Baudelaire in poi. Emerge e si privilegia inoltre l’orrido, il laido, lo smembrato, la scissione, l’angoscia, la distruzione, la dissonanza, la nausea, la putrefazione, e poi ancora lo spaesamento, lo shock, l’informe, l’eccesso e l’eccessivo comunque. E’ da un’accensione bruciante e lacerante del linguaggio che si attende l’irruzione di un senso ancora comunicabile, e non da una sua sapiente articolazione. Tra Goethe o Leopardi da una parte, e Rilke o Campana dall’altra non passano soltanto alcuni decenni, ma si apre una frattura eonica, una cesura cosmico-storica che è ben lungi dall’essere stata compresa adeguatamente.

2.

Che cosa succede in Europa tra 8 e 900? Che cosa si annuncia nelle esperienze psico-poetiche degli artisti e dei pensatori di questa fase cruciale del destino dell’Occidente?
Potremmo dire molto in sintesi così:
la coscienza ego-centrata dell’io cristiano-occidentale giunge al compimento delle proprie possibilità evolutive, e si sfalda. La grande poesia segnala il collasso psichico dell’egoità (come figura dell’io perfezionatasi lungo il processo di razionalizzazione della modernità), e al contempo l’irruzione dentro l’orizzonte di questa coscienza sfilacciata di contenuti che non a caso la psicoanalisi, nascente proprio in quel periodo, avrebbe definito “inconsci”.
Allentandosi le recinzioni psichiche costruite a difesa e ad edificazione dell’io ego-centrato, l’uomo entra in contatto con zone, con emozioni, con energie e con esperienze che non sa più di dove provengano né quale natura posseggano. Ci si identifica col cosmo (da Whitman a Ungaretti), con animali feroci (da Rimbaud a Nietzsche), con i morti (Rilke), con entità spirituali superiori, o addirittura con Dio. Si raggiungono stati di ebbrezza e di illuminazione, di sconvolgimento interiore e di gioia estatica, in cui lo stesso limite della morte sembra superato: “O resurrezione, resurrezione di quel che è – pensa/ nel suo pensiero dove la morte manca”(Luzi).
Nell’ordine “allucinato” del poeta-veggente sembra dilatarsi addirittura uno sguardo trans-mortale: “Bisogna andare attraverso la morte per emergere davanti alla vita, nello stato di modestia sovrana”(Char).

3.

Gli studi sul mistero abissale della nostra psiche sono andati molto avanti negli ultimi decenni, e probabilmente le più recenti ricerche sugli stati alterati di coscienza possono aiutarci a comprendere la traiettoria poetica del nostro secolo. Lo psichiatra Stanislav Grof, ad esempio, dopo più di trent’anni di sperimentazioni e di studi sistematici sulla psicologia trans-personale, è giunto alla convinzione che la coscienza non sia affatto un prodotto accidentale dei processi neurofisiologici del cervello, quanto piuttosto il “campo energetico” intelligente, presente e operante nella vita di tutto l’universo. Per cui in stati di coscienza non ordinari l’uomo potrebbe “trascendere tempo e spazio, attraversare i confini che ci separano dalle varie specie animali, sentire come propri i processi del regno vegetale o del mondo inorganico e addirittura esplorare realtà differenti, per esempio, quelle mitologiche, che prima non sapevamo neppure esistessero”.
Alcuni poeti, come abbiamo visto, hanno effettivamente sperimentato proprio questo tipo di alterazioni trans-egoiche, queste sfasature dell’identità, questi affondamenti nel grande sogno cosmico (Nerval). Carl Gustav Jung, d’altronde, già negli anni ‘30 distingueva una poesia “psicologica”, elaborata all’interno di ciò che ci è immediatamante comprensibile, da una poesia “visionaria”: “ Qui tutto si capovolge: il tema o gli eventi che formano il contenuto della rappresentazione artistica non sono più materia conosciuta; la loro essenza ci è estranea e sembra provenire da un remotissimo sfondo di epoche preumane o da sovrumani mondi di luce o di tenebra”.
La grande poesia, in realtà, è divenuta tutta “visionaria” lungo il Novecento, tutta trans-egoica, e quindi cosmica, mistica, spirituale, tutta protesa alla sperimentazione di stati della coscienza (e quindi dell’essere) che oltrepassino la datità empirica della rappresentazione ego-razionale (e spazio-temporale) della realtà. Scriveva a tal proposito Ungaretti nel 1926: “Abbiamo dell’innocenza, non più come nell’Ottocento, un desiderio filosofico, ma un’esperienza diretta; possediamo una conoscenza mistica della realtà”.

4.

Il fatto che esperienze trans-egoiche, visionarie e/o caotiche, diventino l’unica sorgente poetica di un’epoca intera significa che quest’epoca sta attraversando, nel mistero del senso complessivo (antropo-cosmico) della sua temporalità, una iniziazione trans-egoica. Perciò ormai possiede potenza poetica, e quindi propellenza storico-spirituale, solo ciò che promani da orizzonti psichici dilatati rispetto alla coscienza ego-centrica. L’Occidente scende, come già Stevenson e Dostoevskij avevano profetato, nelle profondità dei propri inferi rimossi, deve confrontarsi faccia a faccia con tutti quegli aspetti oscuri e demonici che la ragione moderna credeva di avere superato solo perché li aveva occultati nelle segrete del proprio inconscio. Lungo tutto il Novecento siamo stati chiamati ad incontrare il nostro Hyde, il nostro Nascosto scimmione (alter-ego del razionalissimo e moralissimo Dottor Jekill), e a tentare di integrarlo in una figurazione più ampia e più matura di noi stessi. Il più delle volte però queste integrazioni non sono state neppure avviate, per cui le energie caotiche primarie (liberate dall’esplosione “nucleare” dell’egoità e non integrate) hanno semplicemente sconvolto menti e nazioni incendiando come Furie il pianeta. L’estremo pericolo di queste irruzioni demoniche ci spinge adesso, all’inizio del nuovo millennio, a rinvenire al di là dell’io ego-centrico, e oltre il caos degli elementi lasciati a loro stessi, un nuovo principio ordinatore, un Nuovo Io cui affidare il compito di sintetizzare una nuova figurazione psichica dell’uomo e una (conseguente)nuova organizzazione del mondo, più giusta e più armoniosa.

5.

L’esperienza poetica da Rimbaud in poi, ma a partire in realtà dalle primissime intuizioni di Novalis e frammentazioni linguistiche di Hoelderlin, non fa dunque più parte della storia della letteratura occidentale, ma realmente di una nuova storia, di un’era incipiente che non è altro che la temporalità di una inedita figurazione dell’identità umana. Tutto questo si chiarirà sempre di più, quanto più ci inoltreremo nella nuova età abbandonando i gusti, la letteratura, e la stessa forma psichica della nostra vecchia identità ego-centrata. Anche il pensiero di Nietzsche o di Heidegger non appartiene più alla storia della filosofia occidentale, cosa che, d’altronde, era per loro del tutto evidente, e costituiva anzi proprio la questione centrale di tutto il loro sforzo creativo. Purtroppo ciò che è evidente nella luce del pensiero resta spesso obliterato nelle tenebre dell’erudizione accademica, e le biblioteche universitarie continuano a riempirsi di ricerche “scientifiche” sulla fine della filosofia e su altre amenità del genere… Così come la frattura eonica insita nell’esperienza poetica del ‘900, così evidente e drammaticamente vissuta da un Campana o da Celan, resta del tutto ignota o comunque non adeguatamente focalizzata (perché non sperimentata ) per moltissimi altri autori “da antologia”, e per la quasi totalità della critica letteraria contemporanea che, non a caso, è oggi quanto mai incapace di indicare un qualsivoglia principio teoricamente fondato per le sue scelte di (pessimo) gusto.. Si procede così in pieno sonnambulismo teorico, utilizzando strumenti e concetti ottocenteschi, privi di qualsiasi residuale significato, come se la fisica teorica continuasse a discettare della natura in termini newtoniani dopo le scoperte di Heisenberg o di Bohr. In questo scenario di anemia culturale, prossima al coma profondo, i vari e sempre più numerosi e frettolosi tentativi di sistematizzazione critica del Novecento (o peggio del secondo Novecento o peggio ancora dei sempre più “nuovi” o più “giovani” autori, di 40, 30, 20, 10 anni…) risultano spesso del tutto arbitrari e inconsistenti, e a volte addirittura comici, in quanto ormai ognuno eleva a paradigma storico praticamente i propri amici, se non direttamente i poeti che pubblica nella propria collana o nella propria rivistina di provincia…
E’ tempo che si comprenda meglio e più seriamente la portata eonica della frattura rivoluzionaria che, annunciatasi alla fine del ‘700, mostrò la sua dirompenza psico-storica apocalittica lungo il XX secolo, per giungere proprio adesso ad una soglia per molti aspetti definitiva. Ed è tempo che in questo sforzo interpretativo la poesia davvero contemporanea comprenda il proprio ruolo, anche politico e sociale, nella transizione antropologica in atto.

6.

In questa fase trans-figurativa potremmo dire che l’esperienza poetica divenga una specie di segnaletica dei passaggi della nostra iniziazione alla nuova figura di uomo (planetario) che si sta configurando.
Una poesia perciò è riuscita, è bella, se in essa si incarna perfettamente, e cioè in una risonanza fisico-linguistica perfetta, uno stadio preciso della trans-figurazione di quel poeta. L’estrema particolarità esistenziale e biografica coincide in questo caso con la maggiore universalità del discorso, in quanto il nuovo io scopre e rivela la cosmicità e la storicità collettiva intrinseche della propria più intima identità. Più la mia coscienza si dilata, in altri termini, alla misura del mio nuovo io, e cioè si trans-figura, e più io sono la terra, i morti, le stelle, gli amici, il mondo nel suo attuale moto trasformativo, in quanto l’io sono che ci sta assimilando a sé è cosmico di per sé, collettivo, comunitario, planetario, è l’Uomo che riunifica l’intera umanità nell’unità dell’Unico Genere di cui già parlava Trakl (ein Geschlecht), e che costituisce d’altronde l’orizzonte di tutta la speranza messianica ebraico-cristiana.
Superata la prima fase novecentesca, caotica e destrutturante, del passaggio trans-figurativo, possiamo oggi tentare come poeti, e insieme agli psicologi, ai pensatori, ai fisici, ai biologi, ai cosmologi e ai medici dell’era nuova che avanza, una prima mappatura degli stati trans-egoici che continuamente attraversiamo nell’itinerario iniziatico della nostra trans-figurazione. La poesia, infatti, anticipa le tappe dell’iniziazione, le “immagina”, e cioè configura (incorpora) in immagini quei sottilissimi stati psichici ed emotivi, e così ci consente di esperire, sia pure nella fulmineità dell’istante contemplativo, quelle stazioni trasmutative che poi dovremo percorrere e ripercorrere faticosamente con tutta la pesantezza dei nostri corpi. L’intuizione istantanea, però, l’Atemwende celaniano, il fulmineo retour àmont di Char, ci donano intanto l’ossigeno indispensabile lungo la via, rinfrescando a tratti il ricordo del suo compimento già occultamente (ed eternamente) presente.

7.

Una primissima mappatura molto schematica degli stati trans-egoici che la poesia ci ripropone in infiniti testi e che corrisponde in buona parte alle analisi di alcuni stati non ordinari di coscienza, elaborate, ad esempio, da Tart e da Wilber, può essere questa:

A)
coscienza ordinaria: identificazione egoica
linguaggio logico-discorsivo
B)
collasso e morte dell’egoità
crisi del discorso e della coerenza egoico-logici
C)
irruzioni caotiche:
smembramento del tessuto semantico ordinario del linguaggio
onirismo, veggenze confuse, demonismo, surrealismo
D)
coscienza cosmica, oceanica
esperienze estatiche di identificazione col Tutto
decantazione e semplificazione progressive del linguaggio
E)
coscienza spirituale di un nuovo io
che incontra un Tu come referente di una relazione dialogica
più originaria dello stesso mondo creato:
la realtà cosmica si rivela come un gioco creativo
operato tra persone (divino-umane)
che parlano tra loro, che si “scambiano la parola”

La successione degli stati naturalmente non è mai un processo cronologico (né nei testi né nella vita) lineare. Ciascuno di noi vive contemporaneamente su diverse lunghezze d’onda, anche se propendiamo poi a stabilizzarci ad un certo livello iniziatico.
L’intera civiltà occidentale, ad esempio, “vibra” lungo il Novecento tra una coscienza egoica sempre più collassata (e proprio per questo spesso irrigidita in resistenze estreme), e irruzioni caotiche sempre più devastanti e incontrollabili. In tal senso il suo baricentro è proprio il rovesciamento dell’identificazione egoica, e noi non troveremo mai pace né sensatezza se non superemo questo punto critico e non arriveremo a creare almeno gli embrioni di una civiltà irrorata dalla coscienza cosmica e spirituale che ci attende dopo la cata-strophè dell’Ego.

8.

Ogni grande poeta ha dato corpo nella sua opera ad un momento particolare della transizione psico-cosmica in atto. In Leopardi, ad esempio, già si annuncia la crisi teorica ed esistenziale dell’io egoico, che però resta sostanzialmente il soggetto del suo (triste) discorso, mentre in Rimbaud lo sfaldamento dell’ego-centratura va molto oltre, fino al punto che l’ego è propriamente “tolto di mezzo”, per cui si può passare a volte dalle sue lamentazioni e dalle sue disperazioni infernali alle prime Illuminazioni della nuova coscienza che preme per irrompere in noi e nella storia.
Ecco perché i poeti che dopo Rimbaud si stanziano sul livello egoico della coscienza , anche se per modulare le tonalità tragiche o ironiche del suo esaurimento (nervoso), restano comunque poeti “minori”: da Pascoli all’ultimo Montale. I poeti più significativi sono, al contrario, quelli che hanno saputo percorrere il più ampio spettro della trasmutazione iniziatica, senza bloccarsi in nessuno stadio intermedio, ma compiendo perfettamente ogni passaggio. Perciò è più importante Char di Valery, Trakl di Rilke, e, venendo a noi, Luzi di Zanzotto. Ci sono poi alcuni poeti che hanno raggiunto vertici iniziatici altissimi, ma solo in rarissimi momenti e al prezzo di una caotizzazione assoluta di tutto il resto della loro lingua, della loro mente, e della loro vita, come, per esempio, Dylan Thomas o Artaud, per non parlare dei modelli supremi di queste iniziazioni squilibrate: Hoelderlin e Nietzsche. Dobbiamo comprendere da questi esempi psichiatrici che il processo iniziatico verso la coscienza spirituale del nuovo io è un metabolismo esistenziale complessivo. Detto in altri termini: la poesia non basta. All’istante illuminativo deve seguire la fatica dell’incarnazione, in tutti gli ambiti della nostra vita, di quella luce. Il nuovo livello di coscienza, poeticamente raggiunto, deve poi trasformare la nostra coscienza ordinaria, deve anzi piano piano divenire proprio la nostra ordinaria visione (percezione emotiva) delle cose: questa è la svolta dei tempi in atto.
E questa fatica dell’incarnazione feriale della nuova veggenza darà una misura “umana”, terrena e politica, alla nostra poetica, evitando gli squilibri e le scissioni novecentesche. E’ tempo che la parola profetica, in cui riprende a parlare il principio (Blanchot), torni a plasmare la terra, e umiliandosi scendendo nelle durezze della nostra carne, si sottragga alle tentazioni luci-ferine di chi pretendendo di rimanere pura luce, conquista alla fine soltanto le tenebre.

9.

Stiamo elaborando i presupposti di una nuova cultura in senso antropologico.
Questa cultura viene elaborata da ciò che in noi è “coscienza cosmica” e “coscienza spirituale dell’io”.
Che l’uomo possa espandersi fino a sperimentare il livello cosmico della propria coscienza non è più soltanto l’intuizione folle di un Blake, ma è ormai anche una considerazione scientifica fondata sulle ricerche più avanzate della fisica. Erwin Schroedinger, ad esempio, premio Nobel e coideatore della meccanica quantistica, scrive: “Per quanto possa sembrare inconcepibile al senso comune voi, e tutti gli altri esseri senzienti, costituite un tutto indivisibile. Quindi la vita che state vivendo non è semplicemente una parte di tutta l’esistenza, in un certo senso essa è il tutto… Così potete gettarvi sulla terra e abbracciarla sicuri di essere una cosa sola con essa, ed essa con voi. Siete forti e invulnerabili come la terra, anzi mille volte più forti e invulnerabili. Domani essa vi inghiottirà, e il giorno dopo vi trascinerà verso nuove lotte e nuove sofferenze. E ciò non avverrà soltanto ‘un giorno’:
Adesso, oggi, ogni giorno essa vi dà alla luce, non una sola volta, ma migliaia e migliaia di volte, proprio come ogni giorno migliaia di volte essa vi inghiotte”.
Siamo esseri cosmici e siamo esseri spirituali in un senso ben lungi dall’esserci chiaro.
Capiremo veramente chi siamo soltanto lungo il processo del nostro diventarlo. E lo diventeremo soltanto imparando a dialogare con quell’Altro (Celan) che è prima del mondo, e cioè proprio adesso, che è questo Essere Presente che proprio ora mi dà la parola, prima del mondo e del tempo, ma dentro di essi, nel loro principio, affinché io li ridica, li benedica, e mi salvi così con tutte le cose trans-figurandole, manifestandole nella loro eterna gloria.
La più grande poesia del 900, nelle sue scalate vertiginose e nei suoi abissamenti, ha conosciuto a vari livelli questo TU, e lo ha anche lasciato parlare a volte.
Quest’altra voce (Bonnefoy) chiama, infatti, risucchia, convoca, indirizza.
La poesia del prossimo millennio sarà soltanto un servizio pubblico della sua rivelazione.
Finita la storia della letteratura, e chiusi finalmente tutti i musei dell’Occidente, la parola poetica diverrà una delle forme conoscitive e delle prassi iniziatiche trans-figurative dell’Uomo Nascente.
Niente di meno e niente di più.
Quanto tempo ci vorrà perché tutto questo possa diventare cultura comune? Questo non ha molta importanza. Il tempo è già maturo, ma i tempi della manifestazione “pubblica” di ciò che è maturo sono spesso lunghi e comunque imprevedibili. A ognuno di noi però è chiesto ora di scegliere da che parte stare, con il Morente o con il Nascente. Dobbiamo decidere personalmente se stagnare tra le sicurezze di un livello di coscienza e di un assetto di mondo che continuano certamente a dominare, ma che sono intrinsecamente e irrimediabilmente esauriti, o più propriamente estinti, oppure se aprirci risolutamente all’avventura psichica e storica della Nuova Umanità, con i suoi inevitabili pericoli. Io credo che sia meglio naufragare alla ricerca dell’Isola del Tesoro piuttosto che marcire con tutti gli onori nella schiavitù dell’Egitto. La mèta, infatti, la promessa, è qualcosa cui è giusto offrire tutto.
Il resto sarà dato in sovrappiù.

Quando sono giunto fuori,
assolutamente fuori di tutto,
al di là di ogni vestigia, allora
sono risorto, ponendo il piede
su un altro mondo,
risorto, compiendo una resurrezione,
risorto, non rinato, ma risorto,
con lo stesso corpo di prima,
nuovo al di là della conoscenza
di ciò che è nuovo,
vivo al di là della vita,
orgoglioso al di là di qualsiasi
idea di orgoglio, vivendo
dove la vita non era immaginabile,
qui, nell’altro mondo, ancora
terrestre
io stesso, lo stesso di prima
eppure indicibilmente nuovo”
.

D.H.Lawrence

Articolo pubblicato sul n.5 della rivista Atelier, marzo 1997.