Premi "Invio" per passare al contenuto

Amore e Incarnazione

Un commento all’enciclica sull’amore
di Benedetto XVI

La relazione tra uomo e donna come icona dell’amore di Dio

La prima lettera circolare che Benedetto XVI ha scritto a tutti i fedeli del pianeta parte dal “centro della fede cristiana”(n.1), e cioè dal mistero di un Dio che è amore e che, facendosi umanità in carne e ossa in Gesù di Nazareth, ci rivela che anche l’essere umano è fatto interamente di amore e per amare e creare in libera pienezza, ad immagine del Padre, che è l’Amore Creatore per eccellenza. Il Papa sente la necessità di rilanciare questo messaggio di speranza in un mondo “in cui al nome di Dio viene a volte collegata la violenza o perfino il dovere dell’odio e della violenza”(n.1): “L’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente enciclica”(n.39).

Poiché l’amore, che è l’essenza stessa di Dio, ha preso forma umana in Gesù Cristo “che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito” (n.12), Benedetto XVI va a vedere come questo amore divino, appunto incarnandosi, discenda e operi nei due ambiti più concreti dell’esperienza umana portandoli a inaudite configurazioni: la relazione tra l’uomo e la donna, e le relazioni sociali tra le persone: l’amore coniugale e la carità per il prossimo. In particolare, nell’orizzonte biblico, le forme della relazione coniugale divengono icone che ci rivelano come Dio stesso si rapporti al suo popolo. In altri termini noi esprimiamo la nostra comprensione del mistero di Dio essenzialmente nei modi in cui viviamo la relazione coniugale. Ciò è fondato innanzitutto sul racconto della creazione umana, in cui si dice che “Dio creò l’uomo a sua immagine;/ a immagine di Dio lo creò;/maschio e femmina li creò”(Gen 1,27). Per cui l’unione amorosa tra l’uomo e la donna, i due che si fanno “una carne sola” (Gen 2,24), costituisce l’icona stessa in cui Dio ci si dà a vedere: “Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano”(n.11). E se Jahwè sposa Israele (Os 1,2), così il Cristo incarnandosi si coniuga indissolubilmente con la nostra umanità (Ef 5,23-32), per cui egli diventa, nel suo stesso essere, “il matrimonio insuperabile, la perfetta comunione personale tra il Dio redentore e l’umanità riscattata” . Ciò significa che noi ogni volta che configuriamo il matrimonio in determinate forme storico-culturali non solo diamo una interpretazione della relazione tra uomo e donna, ma proprio così diventiamo iconografi del volto stesso di Dio e testimonianze, più o meno autentiche, del mistero dell’Incarnazione del suo amore nella persona di Gesù Cristo. E’ a questo livello di rifondazione antropologica che credo vada letta questa prima enciclica di Benedetto XVI. Ciò che è in gioco, infatti, è la figura di umanità che vorremo disegnare nel prossimo secolo, e lo scontro che ormai si va delineando è appunto tra progetti di umanità.

L’Incarnazione di Dio santifica la corporeità umana

Dunque che cosa succede alla relazione tra uomo e donna dopo Cristo? Questa relazione entra, come tutta la creazione, in un processo di radicale trans-figurazione: l’Amore divino scende infatti con potenza inaudita in tutte le dimensioni, fisiche, psichiche, e spirituali, della relazione, portandole a perfetta realizzazione. L’Incarnazione di Cristo conduce cioè a compimento il desiderio di unione perfetta che ogni amore porta con sé. E compie questo miracolo coniugando fino in fondo tutti gli opposti: il maschile e il femminile innanzitutto, ma in loro e tramite loro la terra e il cielo, lo spirito e la materia, Dio e la carne, Cristo e il sesso. Questa coniugazione ricreativa, però, non avviene in un solo momento, ma procede gradualmente, in base alla logica della crescita del Regno (Matteo 13,31-32), e si approfondisce con fatica non solo nella vicenda terrena della singola coppia, ma anche di secolo in secolo e attraversando fasi storiche ben differenziate, che dovremmo imparare a comprendere sempre meglio, in quanto esse coincidono in definitiva con le diverse fasi di comprensione dello stesso mistero dell’Incarnazione, e cioè con le diverse epoche della storia della Chiesa.

Benedetto XVI illustra questo processo coniugativo/rigenerativo come integrazione tra l’eros greco e l’agape cristiana. Nell’orizzonte dell’Incarnazione di Dio, infatti, e quindi nella “nuova creazione” che ne deriva (2Cor 5,17), non ci può più essere, almeno in linea di principio, né contrapposizione né separazione tra l’elemento fisico ed erotico e quello spirituale: “In realtà eros e agape – amore ascendente e amore discendente – non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in genere”(n.7). Qui non so fino a che punto l’utilizzo del concetto greco di eros aiuti a comprendere la novità cristiana. L’eros greco, infatti, sia come passione dei sensi ed ebbrezza dionisiaca, sia come potenza spirituale di elevazione verso il divino (Platone), che come fuoco mistico (Plotino), costituiva la forma di amore sessuale e di esperienza spirituale che l’umano poteva vivere appunto prima di Cristo, prima che Dio si facesse carne e storia e alleanza piena con l’umanità. Prima dell’Incarnazione, infatti, la tensione mistica dell’essere umano non poteva che essere diretta verso un’uscita dai vincoli corporei irredimibili di questo mondo, così come la sessualità non poteva che essere o sfrenamento selvaggio o condizione mondana da evitare. Lo sfrenamento dionisiaco e le rigide astensioni sessuali di origine neoplatonica ma anche yogiche o buddistiche appartengono cioè allo stesso orizzonte ante-cristico, in cui appunto la carne, la terra, e la sessualità non sono state ancora sposate da Dio, e quindi redente e immesse nel processo messianico della loro trans-figurazione.

Dopo Cristo insomma l’eros greco, come forma storica di amore sessuale e/o mistico, non ha più ragion d’essere, e, se rimane, non potrà che assumere forme sempre meno umane, in quanto sempre più distanti dal processo evolutivo in corso. In tal senso ha perfettamente ragione Nietzsche quando scrive in Al di là del bene e del male: “Il cristianesimo propinò del veleno all’Eros: – questo non ne morì, ma degenerò, divenne vizio”(n.168). Ciò però non significa affatto che sia sparita l’attrazione sessuale o la mistica dell’unione, ma che esse hanno incominciato ad assumere – lungo un processo millenario di estrema complessità e ambiguità – forme sempre nuove e del tutto inedite. Ecco perché nel Nuovo Testamento la parola eros semplicemente non viene usata mai, letteralmente scompare dal vocabolario cristiano (n.3). Questa circostanza non è affatto casuale. Sancisce un fatto. Questo tipo di amore, sia sessuale che spirituale, non ha più ragion d’essere, come la ricerca più avanzata ha mostrato da tempo , anche se poi ha continuato e continua a proporsi in migliaia di varianti sempre più decadenti: dall’amor cortese ai diversi gnosticismi e spiritualismi anticristiani, da un certo romanticismo che coniuga amore e morte fino a Dinasty e alle pubblicità di Armani.

Ma, a parte questo problema terminologico, ciò che resta fondamentale nel discorso del Papa è il ribadire il novum cristiano, e cioè appunto l’inedita e inaudita coniugazione definitiva tra Spirito e carne, per cui: “Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d’altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza”(n.5). Questo discorso però non avrebbe avuto alcun senso né per Platone né per Buddha, lo possiamo fare cioè solo dopo Cristo, dopo la santificazione e la redenzione misteriosissime della nostra carne. Credo che oggi sia determinante, proprio per superare la nostra confusissima fase storica di mutamenti radicali, riacquistare una coscienza lucida dei diversi passaggi storico-antropologici attraverso i quali si svolge la vicenda umana.

Corpo e cristianesimo: una storia difficile

Ora però dovremmo chiederci con grande semplicità ed anche con una certa onestà intellettuale: ma la storia del cristianesimo che abbiamo alle spalle ha veramente testimoniato sempre in modo coerente e convincente questo amore per la corporeità umana, e per tutte le sue espressioni?
Qui io credo che, specialmente in quanto cristiani, dovremmo essere molto precisi, e anche molto umili, se desideriamo veramente che si apra una nuova stagione storica sulla terra in cui l’amore possa penetrare più a fondo nelle nostre vite e renderle così sempre più felici. Il Papa purtroppo dedica a questo spinosissimo tema soltanto un rapido cenno: “Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di esser stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci sono sempre state”(n.5). Credo che sarebbe un po’ più rispondente all’esperienza comune e anche alla verità storica sostenere che noi cristiani, almeno finora, abbiamo preminentemente demonizzato l’eros greco senza però dare una testimonianza adeguata della maggiore bellezza, della maggiore realizzazione umana, e quindi della maggiore felicità anche sessuale, raggiungibili attraverso l’amore coniugale rigenerato in Cristo. Ciò che è prevalso per secoli è stato l’atteggiamento sessuofobico di sant’Agostino: “Quanto a me, penso che le relazioni sessuali vadano radicalmente evitate. Penso che nulla avvilisca lo spirito dell’uomo quanto le carezze di una donna e i rapporti corporali che fanno parte del matrimonio” . Altro che integrazione tra eros e agape… Ciò che è prevalso è stato appunto il puro e semplice , visto di per sé come peccato, nel migliore dei casi veniale, e non certo la celebrazione di piaceri più intensi e più completi, che il nostro corpo proprio spiritualizzandosi dovrebbe sperimentare, come pure san Tommaso ci aveva insegnato. Il più delle volte non abbiamo purtroppo né sperimentato né trasmesso la gioia di una vita che divinizzandosi si potenzia in abbondanza su tutti i piani, quanto piuttosto la mortificazione di ogni spontaneità, e la paura per il corpo, e specialmente per quello femminile.

Dobbiamo perciò dirci con chiarezza e in spirito di conversione e di pentimento che ciò che per secoli è prevalso nella coscienza cristiana dominante è stato proprio quel rifiuto della “carne come una eredità animalesca”, di cui parla il Papa come gravissimo attentato alla dignità integrale della persona. Dobbiamo ammettere con lucida coscienza storica, e senza risolvere i più spinosi problemi storici sul piano astratto dei principi che venivano proclamati a parole, che per secoli nella civiltà cristiana non ha affatto prevalso la prospettiva coniugale: non è stata la coniugazione tra maschio e femmina, tra cielo e terra, tra Dio e umanità, tra Spirito e carne, il modello archetipico proposto al popolo; ma proprio la separazione monastica, l’anelito spirituale di tipo davvero erotico-platonico, e cioè la disincarnazione, la condanna pura e semplice dell’aspetto terrestre, del piacere, della donna, e specialmente della sessualità . Nessuno ci ha insegnato a ricercare anche nella pratica sessuale la verifica faticosa della nostra realizzazione divino-umana. Forse adesso, e solo adesso, dopo le durissime e spesso unilaterali critiche della modernità alle chiusure medioevali e la crisi in cui versano queste stesse prospettive critiche, potremo incominciare a comprendere ad un nuovo livello di radicalità il mistero salvifico del Pensiero creatore di Dio che penetra fin dentro le tenebre della nostra carne, fino al buio della nostra sessualità e del nostro peccato, per fare luce proprio lì, fino agli inferi della nostra persona. Se vogliamo fare chiarezza non possiamo sottacere o minimizzare questa radicale svolta nella dottrina e nella pastorale cattolica, che trova un momento culminante e insieme iniziale nel Concilio Vaticano II, ed in particolare nella Costituzione pastorale Gaudium et spes (cfr. n.49c), e che, come abbiamo detto, va a toccare la stessa nostra comprensione del mistero dell’Incarnazione.

Per comprendere la portata della trasformazione in atto entro la riflessione cattolica sulla sessualità umana, fino a questa piena integrazione dell’eros “in vista della sua vera grandezza”(n.5), propostaci dal Papa, sarebbe sufficiente ricordare alcune affermazioni categoriche di san Paolo, che hanno ispirato secoli di teologia morale, del tipo: “è cosa buona per l’uomo non toccare donna” (1Cor 7,1); oppure: “chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!”(1Cor 7,33). Strano poi che Gesù abbia scelto come primo Papa proprio un uomo così “diviso”, in quanto sposato, e che per giunta ha continuato a portarsi dietro sua moglie (1Cor 9,5). Oppure potremmo ricordare ancora una volta il radicale disprezzo per la sessualità manifestato reiteratamente da sant’Agostino: “desiderate l’unione fisica solo nei limiti necessari a generare figli. E poiché non potete averne in altra maniera, abbassatevi a quell’atto con dolore” . Ma forse la sofferenza secolare determinata da questo sospetto su ogni tipo di espressione sessuale ce la può evocare nel modo più concreto un breve passaggio di un famoso romanzo, Il Gattopardo: “Sono un uomo vigoroso ancora, e come fo ad accontentarmi di una donna che, a letto, si fa il segno della croce prima di ogni abbraccio e che, dopo, nei momenti di maggiore emozione non sa dire che ’Gesummaria!’. Quando ci siamo sposati tutto mi esaltava, ma adesso… sette figli ho avuto con lei, sette; e non ho mai visto il suo ombelico. E’ giusto questo?”.

Un tempo nuovo per l’incarnazione dell’amore

Ci troviamo dunque in una fase nuova della storia, in cui è proprio il mistero dell’Incarnazione, delle Nozze tra Dio e l’umanità, e di conseguenza anche la relazione carnale e spirituale tra uomo e donna, ad illuminarsi di luce nuova. Per cui la Chiesa si trova ad affrontare un profondo travaglio rigenerativo. Da una parte non può più proporre una morale sessuale di tipo monastico-medioevale, ma dall’altra fa molta fatica a sganciarsi da quei presupposti. Questo determina un’intrinseca, sia pure a volte ben occultata contraddizione. Insomma, l’amore matrimoniale è, come ci insegna Benedetto XVI, il luogo fondamentale di questa difficilissima integrazione tra istinti e amore divino, tra desiderio, piacere, e santificazione, e quindi è il luogo cruciale in cui si esperimenta il mistero della faticosa compenetrazione degli opposti, e cioè il mistero stesso dell’Incarnazione; oppure esso è un residuo di partecipazione obbligata alle leggi peccaminose di questo mondo? Il matrimonio come progressiva compenetrazione di un uomo e di una donna su tutti i livelli della loro persona è una pratica che appartiene allo stato decaduto di “questo corpo votato alla morte”(Rm 7,24), e quindi in definitiva al peccato; oppure è il luogo privilegiato in cui procede il mistero del Regno, e cioè il miracolo delle nozze tra la carne umana e lo Spirito di Dio?

Ancora nel 1954 Pio XII scriveva senza mostrare ombre di dubbio: “La dottrina che stabilisce l’eccellenza e la superiorità della verginità e del celibato sul matrimonio, annunciata dal divin Redentore e dall’Apostolo delle genti, fu solennemente definita dogma di fede nel concilio di Trento, e sempre concordemente insegnata dai santi Padri e dai Dottori della Chiesa” . Meno di trenta anni dopo il suo successore Giovanni Paolo II sembra contraddirlo: “le parole di Cristo (…) non forniscono motivo per sostenere né l’inferiorità del matrimonio, né la superiorità della verginità o del celibato in quanto questi per la loro natura consistono nell’astenersi dall’unione coniugale nel corpo” . E’ chiaro che qui non si tratta di stabilire una supremazia morale, ma di ripensare a fondo l’intera antropologia umana, per portare avanti in questa fase di straordinari mutamenti culturali il processo di trans-figurazione avviato dall’Incarnazione.

Forse potremmo comprendere un po’ meglio ciò che sta succedendo se ripensassimo a fondo i duemila anni che abbiamo dietro le spalle come un faticoso processo di discesa rigenerativa della luce del Cristo sempre più dentro il mistero carnale della nostra umanità. Di secolo in secolo la coscienza cristiana, infatti, ha dato sempre più rilevanza teologica alle realtà storiche, comprendendo che il Regno non sarebbe venuto in breve tempo a porre fine a questo mondo, ma sarebbe appunto cresciuto lentamente da dentro il corpo dell’uomo e del mondo come un seme che produce “prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”(Marco 4,28). Sempre più intensamente i cristiani hanno compreso perciò che le realtà temporali (il corpo e il cosmo) non sono affatto ostacoli alla salvezza da cui liberarsi, fuggendo il mondo, ma i luoghi teologici in cui la salvezza avviene.

Questo processo di discesa della luce trasfiguratrice del Cristo incarnato dentro le oscurità del mondo ha subìto una grande accelerazione nei secoli della modernità, provocando la Chiesa a continue trasformazioni, e, tra l’altro, anche a domandarsi se l’amore professato corrispondesse poi alle realtà sociali in cui spesso operava come sistema di potere. Ecco perché Benedetto XVI deve scrivere: “E’ doveroso ammettere che i rappresentanti della Chiesa hanno percepito solo lentamente che il problema della giusta struttura della società si poneva in modo nuovo”(n.27). Anche qui è stato il crescere e l’intensificarsi della penetrazione dell’amore di Cristo dentro la carne storica della nostra umanità a farci comprendere che la giustizia sociale è un luogo teologico fondamentale dell’avanzare del Regno, superando le scissioni tra carità proclamata e ingiustizia e violenza praticate o almeno avallate, che per secoli hanno macchiato il volto della Chiesa, e che hanno spinto Giovanni Paolo II al gesto profetico della richiesta di perdono della 1° Domenica di Quaresima del 2000.

L’impulso rigenerativo del Cristo sta dunque penetrando sempre più a fondo nelle nostre realtà terrene, nei nostri corpi sessuati e nel corpo ferito della storia, chiamandoci a prendercene cura e a lasciarli trasfigurare, purificare e portare a compimento ad un nuovo ed inedito livello di profondità, dalla potenza dello Spirito dell’Amore. E questo approfondimento in noi degli effetti dell’Incarnazione tocca, come è ovvio, preminentemente la relazione coniugale tra maschio e femmina e le relazioni sociali a tutti i livelli: sessualità e politica, nel loro rapporto allo Spirito. L’amore umano da cui tutti nasciamo e tutte le nostre relazioni chiedono oggi di essere ripensate e rigenerate ad un nuovo livello, per “far entrare la luce di Dio nel mondo”(n.39) come mai prima non fu nemmeno possibile immaginare. Dovremmo cioè entrare in una concezione molto più dinamica e storica della stessa storia della salvezza, impegnandoci a comprenderne le fasi e i passaggi, e corrispondendo così anche ad un mutamento mentale che da almeno due secoli è in cammino: “il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell’ordine, a una concezione più dinamica ed evolutiva”(Gaudium et spes n.5g). Solo così potremo comprendere un po’ meglio ciò che sta accadendo e potremo intravederne anche le traiettorie evolutive.

L’amore di Dio penetra in ogni relazione umana portandola a compimento

“L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia”(Gaudium et spes n.4a).
E’ questa novità che non riusciamo ancora a misurare nella sua portata davvero antropologica. E noi cristiani inoltre non riusciamo ancora a leggere i processi trasformativi in atto dal punto di vista della storia della salvezza, e cioè nell’ottica della progressiva penetrazione del Cristo dentro la carne storico-esistenziale della nostra umanità . Qui non mi posso naturalmente soffermare, ma, nell’orizzonte aperto da questa enciclica, potremmo dire che l’Amore di Dio possa oggi penetrare più a fondo sia nella relazione tra i sessi che nelle strutture politiche del mondo, affinché la nuova umanità le guarisca e le conduca alla loro perfezione. Questa inedita penetrazione però crea “un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e sintesi nuove” (Gaudium et spes n. 5g).

Benedetto XVI descrive con grande precisione le fatiche dell’integrazione tra l’eros e l’agape: “un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni”(n.5). Se infatti desideriamo davvero coniugarci sempre di più con un’altra persona, questo implica l’incontro con tutte le dimensioni del nostro essere, anche con quelle più oscure e difficili. E’ molto più semplice bloccare il rapporto in un matrimonio convenzionale e sessualmente infelice, piuttosto che crescere nella vera coniunctio pretendendo intimità, autenticità, e vitalità sessuale. Per far sì che il matrimonio diventi un luogo di realizzazione integrale, in cui la rigenerazione di Cristo operi a tutti i livelli, dovremo incamminarci lungo una ricerca che non finirà mai, dovremo ogni giorno cercare, e a volte proprio tra le tenebre, un’unione sempre più forte e vera . Dovremo alimentare il desiderio, scoprirci fino alle nostre vergogne, confessarci l’un l’altra, toccare e sperimentare le nostre brame infantili senza perderci in esse, non rimuovere niente, ma metterci alla prova sempre di nuovo. Dovremo limarci, smussarci, compenetrarci fino a combaciare, e questo avviene anche attraversando i propri inferi, non rimuovendoli o facendo finta che non esistano. Un processo che, se vogliamo uscire da un idealismo astratto tanto edificante quanto estraneo all’esperienza concreta dell’uomo, nessuna precettistica troppo rigida potrà mai imbrigliare, perché è davvero difficile stabilire a volte che cosa faccia crescere l’amore da cosa sia solo desiderio sfrenato. Un processo in cui confluiscono piuttosto profonde rielaborazioni mentali, liberazioni da antiche ferite e blocchi psichici, e grazie dello Spirito . Ma è proprio questa fatica, questa lotta d’amore tra lo Spirito e la carne, che hanno desideri opposti (Rm 8,6), ma che nella nuova umanità di Cristo provano appunto a coniugarsi, è proprio questa follia di un corpo sessuato tutto spirituale, che si va formando dentro la fatica matrimoniale della coniunctio oppositorum, è proprio questo processo il luogo in cui io imparo veramente ad amare con tutto il corpo, senza residui o aree rimosse, e divengo così me stesso, maschio e femmina in una carne sola: immagine vivente di Dio fattosi carne: Cristo: “non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso”(n.5).

Dobbiamo dire però che questo processo è aperto al mistero di un compimento che è al di là di questa nostra vicenda terrena. Ciò significa che la piena coniugazione con mia moglie, e cioè il mio perfetto matrimonio, si compirà soltanto nel Regno di Dio. Lo stesso vale d’altronde per ogni destino personale e per l’intero processo storico di trasformazione/redenzione del mondo. Noi oggi siamo chiamati solo a compiere un nuovo passo in questa direzione, innanzitutto criticando a fondo tutte le forme in cui il matrimonio e la relazione di amore con il nostro prossimo sono state mistificate e controfigurate, magari proprio in nome della novità cristiana. Benedetto XVI ha scelto come sua prima enciclica di andare al cuore della nostra fede, all’amore di Dio che invade il nostro cuore e ci trasforma in Cristo, nella nuova umanità divinizzata. Possiamo perciò con grande gioia e nuovo slancio ripartire proprio da qui, e chiederci ognuno davanti a se stesso e a Dio: c’era e c’è davvero eros trasfigurato in tanti matrimoni “cristiani”? c’era e c’è davvero amore, comprensione, dialogo, tenerezza, gioco, e passione? C’era e c’è sessualità felice e potente? C’era e c’è libertà spirituale e ricerca, c’è desiderio ardente, carne “ribollente” (orgasmo viene da organ, che significa appunto ribollire), e preghiera costante? Abbiamo compreso che solo una contemplazione assidua dà fuoco al fuoco dell’unione, e quindi anche al desiderio sessuale? Abbiamo predicato e predichiamo questo? Abbiamo compreso che un uomo che ogni giorno cerca di coniugarsi sempre più profondamente con la propria donna, conquistando integrità e felicità in Dio, diverrà davvero un testimone della libertà di Cristo, una persona che nessun potere di questo mondo potrà mai sottomettere? Abbiamo predicato e predichiamo questo? E se la Chiesa è una comunità d’amore all’interno della quale “non deve esservi una forma di povertà tale che a qualcuno siano negati i beni necessari per una vita dignitosa”(n.20), dobbiamo chiederci: ma è stato sempre davvero così? È ora così? Oppure siamo veramente lontani, drammaticamente lontani da ciò che il Cristo ci indica: quella comunione tra fratelli e sorelle, tutti uguali tra loro, e tutti felici di prendersi cura l’uno dell’altra? Oppure forse proprio ora possiamo renderci conto così chiaramente del poco amore coniugale e sociale che esprimiamo, perché la luce del Cristo-Amore ci sta preparando per una nuova fase storica della sua penetrazione salvifica nella carne dell’umanità?

E allora riprendiamo il nostro cammino, come persone e come Chiesa, con estrema umiltà e grandissima speranza, aperti all’Inedito e all’Inaudito che viene, senza pretendere di avere già in tasca tutte le risposte, senza ingannare nessuno sostenendo che il cristianesimo sia sempre stato ciò che forse non è ancora mai stato, e che casomai solo pochissimi sante e santi hanno almeno in parte prefigurato. Riprendiamo il nostro cammino, con lo spirito semplificato dei viandanti, verso la piena umanità che Gesù ci dona offrendocene però ogni giorno solo una piccola nuova porzione: il pane quotidiano appunto sufficiente solo per oggi, affinché non presumiamo di essere già ciò che invece stiamo faticosamente diventando.
E ringraziamo perciò Benedetto XVI in quanto ci ha richiamati al cuore della nostra fede e della nostra speranza: “Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo”(n.39).