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Emily Dickinson: poesia come visione e nascita

Concepire l’Eterno come tempo presente

1. Come si sa Emily Dickinson non aveva nessun interesse per la vita letteraria, tanto che non desiderava neanche pubblicare le sue poesie. Eppure possedeva una coscienza piena della propria vocazione, che le faceva esclamare, già a 21 anni: “Noi che ci dilettiamo ad immaginare di essere gli unici poeti mentre tutti gli altri sono prosa”. Ed inoltre aveva una considerazione addirittura suprema dell’essere poeti: “Valuto – quando faccio il conto/ al primo posto – i poeti – poi il Sole -/ poi l’estate – poi il cielo di Dio -/ e poi – la lista è finita “ (569).
Per lei fare poesia significa infatti penetrare nel mistero della vita per trasformarla da dentro. Fare poesia significa essenzialmente esercitare una inesausta pratica conoscitiva della propria anima, al fine di guadagnare un punto di vista nuovo e, direi, felice sulle cose, sull’esistenza terrena e sul mondo: uno sguardo che finalmente veda. Che cosa? Emily dice con chiarezza: “le cose/ che nessun orecchio ha udito,/nessun occhio scrutato”(160). Ma questo Mistero Invisibile ci si rivela contemplando in trasparenza le cose più ordinarie: un uccellino, un albero fuori della finestra, un ragno. Non è lontano da noi, è solo velato. In tal senso Emily scrive in una lettera del febbraio del 1863: “Il soprannaturale è soltanto il naturale rivelato. Non è la rivelazione che attende/ ma i nostri occhi non ancora pronti”. E’ la nostra anima che deve imparare a vedere, a divenire poetica, e quindi veggente, per scoprire nelle cose più ordinarie il Significato più sorprendente: “amazing sense/ From ordinary Meanings”(448).

2. Imparare a vedere è qualcosa che ha a che fare con il mistero della morte. Ordinariamente, con i nostri occhi di carne, noi vediamo infatti che le persone e tutte le cose nascono, crescono, e muoiono, svanendo nel nulla. Emily è ossessionata dal pensiero della morte, più di 500 poesie sono infatti incentrate sul morire. Ella osserva e descrive con precisione a volte raggelante le ultime espressioni facciali del morente, quasi a volergli strappare l’ultimo segreto. La morte è sempre con lei, pronta a rubarle le persone più care: “Ah, Morte troppo esigente! Ah democratica Morte! Che ha ghermito la più altera zinia del mio giardino – e poi ha stretto forte al suo petto la bambina del servo! Ditemi, è dappertutto? Dove nasconderò i miei tesori? Chi è vivo?”(Lettera del 6.11.1858).
E’ dunque tutto qui? Non c’è altro da dire? Possiamo solo temere e sfuggire la morte, rinviare una condanna capitale che annienta il senso di tutta la vita? Oppure qualcos’altro è possibile? Oppure c’è dell’Altro da scoprire? Su questa seconda ipotesi si gioca la scommessa di tutta la vita di Emily: “Le sole notizie che conosco/ sono bollettini tutto il giorno/ dall’Immortalità.// I soli spettacoli che vedo/ domani e oggi/ forse l’Eternità// l’Unico che incontro/ è Dio”(827).

3. Ma come conquistare quest’intimità con l’Eterno, questa nuova chiaro-veggenza? E poi che cosa realmente riusciamo a intravedere da lì, da quello stato?
Potremmo dire così, seguendo la lezione di Emily: per toccare almeno in minima parte il mistero della (nostra) eternità, e cioè della vita come esperienza eterna, dobbiamo reiteratamente morire a quel punto di vista mortale, che ordinariamente ci imprigiona. Anticipando la morte, scopro in me qualcosa che non è mortale, un’adesione all’essere da cui scaturisce un nuovo dire, oltre che un nuovo vedere, come precisa molto bene Yves Bonnefoy a proposito di Baudelaire: “Morto, già morto, già colui che è morto in un qui e in un adesso, Baudelaire non ha più bisogno di descrivere un qui e un adesso. E’ in loro e la sua parola li reca”. Questo morire coincide con il crollo di ogni nostro orientamento “naturale”: “Sentivo un funerale nel cervello”(280). Per vedere l’Eterno la nostra mente spazio-temporalizzata dev’essere cioè letteralmente liquidata, insieme alla visione del mondo che su di essa si fonda: “il tempo qui non aveva più base,/ era svanita ogni misura “(1159).

4. In questi istanti supremi (cfr. The Soul’s Superior instants, 306) l’Anima concepisce l’Eterno come una dimensione del tutto familiare: l’Eternità non è altrove o dopo la morte; ma si rivela come il risvolto, la custodia d’amore del tempo mortale (1684). Ed è proprio l’Anima umana quell’essere bifronte, la “finita infinità”(1695), che coniuga l’Eterno (il Cielo) al tempo de-finito (la Terra), che cioè li tiene insieme, consustanziale ad entrambi (370). L’Anima umana, se resta fedele all’Eternità cui appartiene, se adesso se ne ricorda (cfr. Forever is composed of nows, 624), concepisce appunto l’Eterno (pro-creandolo) nelle sue forme temporali, e allora questi momenti passeggeri, questi corpi transitori, questi fiori che amiamo non sono destinati al nulla (che non è), ma sono tutti figure dell’Eterno, che provengono dall’Eterno, sono anche ora nell’Eterno, e torneranno nell’Eterno, da cui mai si separarono. E’ solo l’Anima che deve imparare a concepire le cose così, a svegliarsi, e quindi a concepire anche se stessa come figlia e insieme come madre dell’Eterno, riconoscendo la propria sovrana dignità: “Il Paradiso dipende da noi./Chiunque voglia/Vive nell’Eden, nonostante/Adamo e la cacciata”(1069). Qui Emily tocca il mistero centrale del cristianesimo: l’Anima-Maria, ri-coniugata con l’Eterno (“Bride of the Father and the Son/Bride of the Holy Ghost”, 817), concepisce l’Eterno come Figura Umana de-finita, come Figlio, che è insieme figura finita ed immagine eterna: figura che la morte non può quindi distruggere, ma anzi riconsegna allo splendore eterno da cui proviene. L’Anima Umana concepisce quindi l’Eterno non con una semplice comprensione intellettuale, ma con la fatica tutta carnale di una reiterata gravidanza: la concezione dell’Eterno, in altri termini, non è un concetto ma un concepimento.
Vedendo e concependo la vita così, possiamo davvero cantarne la lode, celebrarne la bellezza eterna e passeggera, ed impegnarci in essa con tutto il cuore.

Testo pubblicato nel catalogo della manifestazione Concepire l’infinito, organizzata a Roma dal Comune e dall’Istituzione Biblioteche.