La fragilità estrema dell’umanità contemporanea
come condizione propizia alla trasformazione
Uno dei grandi insegnamenti del Concilio Vaticano II consiste nello spingerci a confrontarci con il mistero di Dio a partire dalla concretezza della vita degli uomini: è nella sapiente lettura di ciò che ci succede, in quanto individui e in quanto collettività umana, nelle nostre umilissime biografie e storiografie, che si fa luce la vera presenza di Dio. Non altrove. Non nelle nostre astrazioni metafisiche, non nelle nostre pretese di catturare il mistero in definizioni più o meno “oggettive”, e neppure in luoghi o in eventi o in riti particolari in cui il divino possa venire catturato e sacralizzato dalla nostra volontà di controllo: “né su questo monte né in Gerusalemme”(Gv 4,21). Il mistero vivente di Dio ci si rivela solo nella concretezza della nostra esistenza storica come senso e salvezza, direzione e liberazione. Perciò la Costituzione pastorale Gaudium et spes precisa che il Popolo di Dio “cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio”(n.11).
I cristiani dunque tentano di discernere le tracce del disegno divino leggendo a fondo la storia che condividono con tutta l’umanità. Non si mettono cioè su qualche piedistallo, non si separano dalle altre persone, non pretendono di occupare uno spazio privilegiato né tantomeno esterno al travaglio della storia, ma condividono con tutti le stesse angosce e le stesse aspirazioni, e anzi vivendole fino in fondo e radicalmente, attendono che lo Spirito ne illumini il significato salvifico, per poterlo poi comunicare alle sorelle e ai fratelli terrestri.
Detto questo, mi sembra che la nostra umanità tardo-moderna soffra di un senso particolare di fragilità. Ognuno di noi deve naturalmente fronteggiare gli elementi costitutivi della fragilità umana: i problemi di salute o finanziari, i lutti o le crisi affettive e coniugali. Ma è come se ogni problema aprisse immediatamente un baratro di insensatezza che è sempre lì sotto i nostri piedi, e che quindi basta un nonnulla per spalancare. La nostra umanità sembra vivere cioè su una sottilissima lastra di ghiaccio che anche una minima incrinatura può spaccare. Siamo perciò fragilissimi, e questo spiega tra l’altro la nostra ritrosia rispetto ad ogni decisione impegnativa, ed anche la sostanziale stagnazione di questi anni. Chi può infatti muoversi agevolmente su una lastra di ghiaccio pronta a spaccarsi?
Questa nostra specifica fragilità dipende dalla fase storico-antropologica che stiamo attraversando, e cioè dalla crisi o dal tracollo di molte certezze millenarie e abitudini mentali su cui gli umani avevano costruito i loro mondi. Questo processo di dissolvimento e di rigenerazione va avanti da secoli in realtà, e coincide con l’epoca della modernità, culminando con l’accelerazione vertiginosa del XX secolo. E non è affatto finito, come i teorici della post-modernità hanno immaginato, sognando magari un qualche “ritorno” del sacro o del religioso in forme premoderne. No, un ritorno è certamente in atto, ma è “in avanti”, come cantava il poeta francese René Char. Torniamo cioè ad interrogarci sul senso della nostra esistenza anche in termini spirituali, ma portando con noi tutta l’evoluzione positiva della modernità: lo spirito critico, la libertà individuale, il rigore scientifico, e così via. Indietro c’è solo l’Egitto delle nostre schiavitù mentali o direttamente politico-religiose, di cui ci siamo a fatica e sanguinosamente liberati.
La nostalgia storica d’altronde non è mai stato un sentimento tipicamente cristiano. Lasciamolo ai pagani e a chi ha sempre qualcosa, un qualche potere normalmente, da perdere o da rimpiangere perché ormai perduto.
Il punto in cui ci troviamo adesso costituisce inoltre una soglia nuova proprio in quanto le stesse traiettorie di senso, fondate sulla ragione scientifica o ideologica, mostrano di essere anch’esse insufficienti. Se infatti la modernità aveva criticato filosoficamente e poi scientificamente le credenze religiose, adesso sono questi stessi strumenti critici ad entrare in crisi, a non dare più alcuna fondazione “razionale” alla nostra vita. Siamo giunti perciò ad una crisi di secondo grado, come la chiama Maurice Bellet. Ed è proprio questa crisi “alla seconda” che fa tremare la terra sotto i nostri piedi, rendendoci così fragili, e a volte così disperati. Il vuoto di senso e il senso di vuoto sono il nostro cibo quotidiano: amarissimo cibo. In queste condizioni, mentre il mondo non possiede alcuna rete di significati condivisi, mentre crollano interi mondi storici gridando istericamente tutti insieme la loro presenza sul palcoscenico telematico globalizzato, in questa spaventosa “rissa delle lingue”, l’essere umano deve continuare ad esistere, a lavorare, tenta di creare comunque rapporti personali significativi, patendo una tensione interiore che diviene ogni giorno più insostenibile. Questo luogo così estremo e doloroso può divenire il luogo di una grande svolta. Il luogo addirittura della nascita di una nuova umanità. Il luogo perciò più propizio, anzi l’unico luogo davvero propizio. Ma procediamo con ordine.
Di fronte a questa voragine esistenziale, che si radica in uno sconvolgimento storico-culturale di portata antropologica, le strategie predominanti in questi ultimi due o tre decenni sono state due: la deriva nichilistica e la regressione fondamentalistica. O ci si acquieta nella rassegnazione, adattandosi alle piccole gratificazioni offerte dall’universo tecnico-mercantile, e mimetizzandosi nell’anonimato sociale, perseguendo così il più antico espediente biologico per sopravvivere, che è appunto il mimetismo. Oppure si regredisce in qualche mondo culturale e/o religioso di tipo precritico, dottrinario, autoritario, e rigido, che mi dia almeno l’illusione di essere qualcosa di preciso. Queste due strategie della nostra figura morente di umanità sono tanto inadeguate quanto profondamente distruttive. Alla lunga o ci uccidono o ci spingono ad uccidere.
Paradossalmente invece la crisi la superiamo solo vivendola fino in fondo, e cioè comprendendo che la figura di umanità che sta tramontando in questo Occidente planetarizzato deve tramontare.
Dobbiamo comprendere molto meglio che ciò che sta tramontando è solo il nostro io bellico, quella modalità di essere umani, di costruire la nostra identità (sessuale o religiosa o politica) contrapponendoci polemica-mente all’altro da noi: odiandolo, separandoci, escludendo, facendo insomma la guerra. E’ questa la figura di umanità che sta tracollando dentro e fuori di noi. Questo è il segno più grande di questi tempi. Questo è il segno da capire. Tutto ciò che in me si regge sulla separazione, sull’autosufficienza, sulla chiusura autoriflessa, sta miseramente mostrando la propria nullità essenziale. Questo è il senso evolutivo del nichilismo. E tutto ciò che a livello storico-culturale e religioso abbiamo costruito su quella forma mentis ego-centrata, ancora una volta escludendo e uccidendo l’altro/a, sta crollando e crollerà fino in fondo.
Ma in questo punto di crolli non c’è poi più nulla? c’è solo il nulla dell’annientamento di ogni significato? Oppure è proprio lì, in questa fragilità estrema, in questo indebolimento senza rimedio della mia umanità, che può nascere qualcos’altro? Possediamo un modello di questa dinamica? Possediamo un modello che ci insegni che l’estrema fragilità, la passione finale, il fallimento di tutte le ragioni e di tutte le speranze solo umane, costituiscano il luogo di una nascita nuova dell’Uomo? A me sembra che i misteri della Pasqua non ci parlino d’altro. Tra il venerdì santo e la domenica di Pasqua l’essere umano si trans-figura infatti proprio attraversando la crisi definitiva di ogni pretesa di autosufficienza. In tal senso la disperazione odierna può essere il luogo propizio di un passaggio di umanità, che è poi l’unica via che ci si apre ancora davanti: la porta stretta della trans-figurazione.
Per cui alla persona fragilissima che ognuno di noi è non dobbiamo proporre irreali e antistorici modelli di forza, baldanzosi ritorni alle certezze tutte belliche del Medioevo, ma innanzitutto l’accoglimento della propria debolezza come luogo di trasformazione e di salvezza. Dobbiamo insegnare che l’indebolimento e la stessa disperazione del nostro io autosufficiente, sono il prezzo inevitabile di una transizione verso una figurazione ben più dilatata e spaziosa e spirituale di umanità. Dobbiamo comprendere e insegnare col nostro comportamento che ciò che oggi sta entrando in crisi, dovrà andarci ancora più radicalmente, fino al punto in cui impareremo che il ghiaccio spaccato doveva diventare acqua fluente, nuova corrente di vita, affinché i deserti dell’anima e della storia potessero rifiorire.
Un mondo intero sta realmente finendo. Una mia figurazione umana sta realmente finendo. Si sta consumando. Più resistiamo al mutamento, più sarà lungo e doloroso. Abbiamo bisogno di comprendere bene i segni di questo passaggio nella nostra vita personale e nella storia del mondo. Abbiamo bisogno cioè di un accompagnamento personale lungo il processo della nostra trans-figurazione, e di una lettura ispirata dei tempi che ci aiuti a discernere ciò che sta tramontando definitivamente da ciò che va preservato attraverso il mutamento.
Le donne e gli uomini di oggi non hanno bisogno di prospettive di accomodamento, che risulteranno sempre più velocemente invivibili, ma di percepire in questa fine ineluttabile il fresco e profumato respiro di un Ricominciamento. Hanno bisogno di un annuncio credibile della Pasqua, che ci sappia dire nelle nostre concretissime situazioni: “Sì, una forma della tua personalità si sta sfaldando, un certo modo di essere maschio o femmina non ha più senso, una certa modalità di essere cristiano o musulmano o buddista sta letteralmente scomparendo, determinati modi di essere prete, suora, scrittore, monaco, casalinga, medico, di sinistra, di destra etc. sono svuotati di senso, sono maschere vuote ormai, maschere mortuarie. Ma tutto ciò è un bene. Ti stai liberando di infinite illusioni, presunzioni, arroganze, egoismi inconsci. Stai crescendo. Non avere paura. La tua fragilità, perfino la tua disperazione, sono il luogo privilegiato del mutamento. Lasciati svuotare. Lasciati purificare. Lasciati trans-figurare. Ciò che c’è di buono non andrà mai perduto. E il resto è solo l’escremento della (tua) storia. Al fondo di ciò che può sembrare un fallimento c’è l’invenzione di Dio, la sua creatività, la sua bontà, il suo disegno che vuole fare di te ben altro rispetto a tutto ciò che tu credi di essere e che continui disperatamente a difendere.”
Io penso che se sapremo trasmettere questo messaggio, che è davvero una buona notizia, il Vangelo sarà compreso e accolto ad un nuovo livello, proprio attraverso la grande crisi pasquale che stiamo attraversando.
Articolo pubblicato nella rivista “Via Verità e Vita – Comunicare la fede”, n.2 marzo/aprile 2006, anno LV