omaggio a Ernesto Balducci
Il tramonto catastrofico della soggettività egoico-bellica
1. Nel pensiero di Ernesto Balducci si parte da un dato di fatto preciso, e cioè dalla natura singolare e, per certi versi, unica, della fase storico-planetaria che stiamo attraversando: “La situazione è drammatica solo perché la transizione, unica alternativa alla catastrofe, non può essere il semplice prodotto dei processi in corso, essa chiede un dispendio aggiuntivo di libertà creativa. Lasciati a se stessi o assecondati, con quell’etica della rassegnazione che è il loro aroma religioso, questi processi non potranno non condurre al loro sbocco naturale, che è di distruzione. La transizione implica una rottura di continuità che potrà darsi solo se sul peso di inerzia che ancora governa il moto della storia prevarranno le risorse latenti in seno alla specie, se insomma l’uomo, facendo convergere gli imperativi della libertà con quelli della necessità oggettiva, si farà, per la prima volta nella sua storia, artefice della propria genesi”.
Questa consapevolezza di attraversare una soglia epocale di fine-ricominciamento era diffusa in tutte le menti più illuminate del XX secolo: da Jung a Heidegger, da Bonhoeffer a Eliot, da Simone Weil a Ungaretti, da Einstein a Giovanni XXIII, ed ha sconvolto la storia mondiale producendo tra l’altro quei totalitarismi che si presentarono proprio come i nuovi cominciamenti della storia, le nuove ere, i nuovi regni millenari, le nuove umanità finalmente redente e liberate. Proprio gli esiti catastrofici prodotti da queste risposte totalitarie all’esigenza (reale) di un nuovo inizio, che premeva nel grembo della storia, hanno fatto sì che in questi ultimi venti/trenta anni la coscienza del transito antropologico in atto si sia molto affievolita e banalizzata tra i sogni di una fine della storia di tipo neoliberista (Fukuyama) e le nebulose aspirazioni new age ad una imminente Età dell’Acquario.
Eppure è proprio da una rinnovata riflessione sui caratteri e sulla portata della transizione in atto che dovremo ripartire, se vogliamo che il pensiero creativo riprenda in mano il destino dell’uomo, sottraendolo agli automatismi di una tecnologizzazione planetaria, guidata sostanzialmente dal mercato.
2. La prima cosa da sottolineare in tempi come i nostri, in cui non si fa che parlare, in modi spesso generici e approssimativi, di una post-modernità, che sembra più che altro l’esaurimento nervoso, l’infinito sfinirsi dell’epoca moderna, è che ciò che sta tramontando è una figura ben più ampia di umanità, una figura che sembra contenere dentro i propri sviluppi millenari tutte le figure di soggettività umana che si sono configurate sulla terra dal neolitico in poi. La fine della modernità va cioè letta come un precipitare di tutta la storia culturale umana in un unico punto di svolta: finisce la modernità dunque, ma va a finire al contempo in questa fine l’intero ciclo cristiano-occidentale, e in questo tramonto vengono poi a tramontare simultaneamente tutte le altre culture del pianeta.
Che cosa hanno in comune tutte queste culture? E cioè: quale figura umana sta veramente tramontando in questo Occidente, inteso non più come area geografica, ma appunto come epoca planetaria di declino e di trans-figurazione?
Balducci direbbe che si sta consumando la figurazione bellica che finora ha dominato in tutte le culture che conosciamo: “Nella storia etnologica il mondo moderno è l’ultima fase di quella rivoluzione – senza dubbio la più importante tra quelle compiute dall’umanità – che fu il passaggio dal paleolitico al neolitico avvenuto circa 10.000 anni fa nella fascia che va dalla Grecia all’Iran. (…) Il principio costitutivo di quel progetto era il dominio dell’uomo sulla natura (lo squilibrio ecologico cominciò allora), del maschio sulla femmina, dell’uomo sull’uomo, di una classe sull’altra, di una città sull’altra, fino alla nascita degli imperi antichi e degli stati moderni. L’espressione tipica della nostra civiltà originaria fu la guerra, l’organizzazione dell’aggressività collettiva il cui scopo era l’assoggettamento o lo sterminio dell’altro”.
Potremmo dire che questo tipo di soggettività bellica si configuri e si rafforzi per contrapposizione: io sono tanto più me stesso (un soggetto), quanto più mi separo da te (Dio, natura, altro), oggettivandoti (e cioè mettendoti a distanza), per dominarti (concettualmente e/o fisicamente).
Questa forma di soggettività ego-centrata non genera dunque solo l’io in guerra, che si contrappone polemica-mente all’altro (alla femmina, al pagano, al barbaro, all’eretico, all’ebreo etc.), escludendolo o perseguitandolo, per rafforzare il proprio senso di identità; ma anche tutte quelle forme di conoscenza che si basano appunto sul rafforzamento di un io che conosce solo attraverso la rappresentazione oggettiva della realtà.
3. Dobbiamo quindi comprendere che nell’attuale fase di esaurimento della soggettività bellica non sta solo tramontando la guerra come principio di identificazione culturale e religiosa, ma anche ogni tipo di rappresentazione oggettiva della realtà, intesa come forma suprema e definitiva di conoscenza. Per interpretare adeguatamente la portata della svolta antropologica in atto dovremmo perciò guardare in più direzioni contemporaneamente. Dobbiamo certamente osservare la crisi della guerra, che lungo il XX secolo, e dopo the great new fact, come Churcill chiamò l’esplosione atomica di Hiroshima, perde non solo ogni aura eroica ed estetica, ma anche ogni legittimazione razionale, divenendo prima fredda, e poi camuffandosi con nomi ambigui tipo peace-keeping o peace-enforcing o ingerenza umanitaria; ma parallelamente dovremmo analizzare lo sfaldamento in ogni settore della ricerca umana della pretesa dell’io ego-centrato di essere il centro di una conoscenza oggettiva assoluta.
Basta scorrere alcune date decisive, per rendersi conto che questo processo di crisi e di smobilitazione dell’egoità (che si rappresenta il mondo oggettivandolo) esplodeva quasi in contemporanea nell’arte e nella psicoanalisi, in filosofia e in fisica, e già a partire dai primi 15 anni del XX secolo: 1907, Picasso finisce le famosissime Demoiselles d’Avignon, dando l’avvio al cubismo; 1909, manifesto del futurismo; 1910, Kandinskij dipinge il primo acquarello che non rappresenta nulla di riconoscibile, e perciò “astratto”; 1913-15 Heidegger pubblica la sua lezione di libera docenza Il concetto di tempo nella scienza storica, che costituisce il primo germe di Essere e tempo, in cui l’esserci dell’uomo viene analizzato come orizzonte aperto dall’invio temporalizzante-illuminante dell’essere stesso, e non più quindi come egoità autofondata, chiusa in se stessa, e statica; 1905, Einstein pubblica la memoria Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento, in cui enuncia la teoria della relatività speciale, e nel 1913 Niels Bohr pubblica La costituzione degli atomi e delle molecole; 1900 Sigmund Freud pubblica L’interpretazione dei sogni, e nel 1913 Totem e tabù; 1912, Carl Gustav Jung pubblica Trasformazioni e simboli della libido.
E’ da questa crisi globale dell’Ego razionalistico, come unico fondamento della convivenza e della conoscenza, che dobbiamo ripartire, riprendendo in un certo senso quel moto rivoluzionario, avviatosi già nel primo decennio del 900, che produsse come sappiamo anche molti effetti catastrofici, ma che possedeva una sua ragione di fondo, con cui non possiamo non fare i conti, perché ora più che mai ci riguarda tutti personalmente, e cioè la fine reale di un’intera figura di umanità.
4. Ed infatti questo processo di passaggio di figura, e quindi di trans-figurazione antropologica, ci sta mostrando di decennio in decennio, e in forme sempre più drammatiche, che il modello ego-centrato di soggettività non è più in grado né di dare un ordine pacifico al mondo, né di dare un senso vitale alle nostre esistenze individuali. Sia a livello macro-planetario e politico-economico che a livello micro-esistenziale stiamo amaramente sperimentando l’insostenibilità di questa forma di umanità, e il suo precipitare nell’insensatezza e nella disperazione: “Siamo sì alla fine della storia, ma solo nel senso che siamo, e da tempo, in una storia che non ha più un fine, non riesce più a proiettare dinanzi a sé un ideale che dia un senso al mutar delle cose. E’ la desperatio, spoglia di quel alone psicologico che la rendeva così suggestiva negli anni dell’esistenzialismo, è la pura e semplice assenza di speranza”.
Dobbiamo tenere insieme questi due livelli della crisi, il mondiale e il personale, l’insostenibilità politica ed ecologica da una parte e quella psicologica dall’altra, di cui per altro si parla sempre troppo poco, in quanto esse in realtà si illuminano e si chiariscono a vicenda, ed anche perché il moto di rinnovamento che dobbiamo avviare dovrà coniugare in modo inedito l’anelito (politico) ad un ordine planetario di maggiore giustizia con l’esigenza pressante di una liberazione personale e di una pacificazione interiore.
L’emersione del nuovo io relazionale
1. Ora proviamo con molta umiltà a chiederci: con quali caratteri sta emergendo questa figura inedita, post-bellica e trans-egoica di umanità ? Dato che dovrò limitarmi a brevissimi cenni, vorrei partire da un ambito un po’ inconsueto, che a mio parere però è stato tra i primi a manifestare i segni di questo passaggio ad una soggettività trans-egoica, e cioè vorrei riferirmi ad una certo tipo di esperienza poetica. E potremmo iniziare proprio con la più celebre frase di Rimbaud: “E’ falso dire: io penso, si dovrebbe dire: io sono pensato. Scusi il gioco di parole: io è un altro”. Dunque innanzitutto il nostro io, quando abbandona l’illusione egoica di essere un nucleo ben definito nei propri confini, quando cioè la smette di difendersi/attaccare, e inizia ad ascoltare, scopre di essere aperto dentro di sé, scopre di essere abitato da dimensioni altre, da profondità abissali, da altre parti di sé tutte da scoprire e con cui entrare in relazione. L’Altro cioè non è solo fuori di noi, per cui non basta eliminarlo o assoggettarlo o tenerlo fuori dalla città/civiltà, per garantirsi un’identità stabile: un ego appunto tutto d’un pezzo. L’Altro è dentro di noi, e ormai non possiamo più evitare di farci i conti: questo fu d’altronde il nucleo profetico dell’intuizione sul destino del XX secolo contenuto sia nello Hyde di Stevenson che nei Démoni di Dostoevskij: l’ombra mostruosa rimossa dall’ego occidentale sta per venire fuori e travolgere le maschere di razionalità e di civiltà di cui l’europeo tra 8 e 900 si era ammantato. Scrive bene anche a questo proposito Balducci: “Non a caso, proprio nell’epoca dell’espansione coloniale, e cioè durante la metodica e spesso criminosa eliminazione dell’Altro, si è sviluppata nella cultura occidentale la scoperta dell’inconscio: negato fuori, l’altro mondo nasce dentro, la scissione esterna diventa interna. (…) L’uomo reietto, il negro è in noi! E’ l’Es freudiano, l’informe continente sommerso (l’Acheronte, diceva Freud), dove si agitano, come in una segreta, le diversità represse, le presenze che per paura abbiamo rigettato nell’ombra”.
2. Ma l’io che si pone in ascolto delle proprie profondità non incontra soltanto i materiali rimossi dalla propria coscienza egoica. E cos’altro incontra? Torniamo a Rimbaud: “Per me è evidente: assisto allo schiudersi del mio pensiero: lo osservo, lo ascolto”. L’io trans-egoico, che si pone veramente in ascolto, comprende che il pensiero fiorisce dentro di lui, ma non è lui a produrlo, comprende cioè che il proprio essere un io che pensa è determinato fin dall’origine dalla relazione con un Fiorire, con un Dirsi del pensiero, che si dice proprio attraverso il nostro ascoltarlo. L’Altro in me è dunque il Pensiero stesso, ascoltando il quale io parlo, e quindi sono, e così illumino (di significato) il mondo. L’Altro è il Principio Pensante ascoltando il quale io dò sempre nuovo inizio al mondo, ri-generandolo. In tal senso la creatività dell’io trans-egoico è davvero radicale: pensando (dal Principio) non rispecchia un mondo già dato una volta per tutte, ma pro-crea il mondo stesso nella sua sempre maggiore verità e bellezza. La conoscenza dell’io trans-egoico è dunque pro-creativa: produttiva e non solo riproduttiva: è co(n)-naisance, per dirla con Claudel: co-nascita di me e del mondo ogni volta che provo a dire che cosa sia la realtà e cosa sia io stesso.
Per cui davvero enorme diviene la responsabilità umana.
Questo carattere radicalmente creativo dell’io trans-egoico viene fuori con forza da tutte le ricerche scientifiche e teoretiche più avanzate del XX secolo, per le quali diviene sempre più evidente, come direbbe Fritjof Capra che: “La cognizione non è una rappresentazione di un mondo che esiste indipendentemente, ma è piuttosto una continua generazione del mondo tramite il processo della vita”. L’essere umano sta comprendendo che nel proprio processo (auto)conoscitivo “con il suo stesso passo genera i cammini sui quali posa i piedi”, come sintetizza bene l’epistemologo Mauro Ceruti.
3. Proviamo dunque a stilare qualche lineamento di questa nuova figura di umanità che sta emergendo attraverso i tracolli e gli sfinimenti di quella egoico-bellica.
Questo nuovo io sa innanzitutto di essere in trans-figurazione, e quindi si mantiene flessibile, metamorfico, nomadico, non si blocca, non si de-finisce troppo, non si reclude, e perciò ama una certa liquidità.
Sa di essere radicalmente in trans-figurazione in quanto si sa in relazione con il Principio stesso della creazione: sa che la verità dell’io umano è essere in relazione con l’Infinito Principio Genetico che continua a dargli inizio, e quindi a ricominciarlo, a ri-generarlo.
In quanto si sa in relazione costitutiva con il Principio, sa anche di essere altrettanto costitutivamente in relazione con tutti gli altri uomini e donne che sono anch’essi dei soggetti, proprio in quanto derivano il loro essere dallo stesso Principio. Cosa che oggi ci viene ripetuta non solo dai mistici, ma dagli stessi scienziati, come per esempio il premio Nobel per la fisica Erwin Schroedinger: “Per quanto possa sembrare inconcepibile al senso comune, voi, e tutti gli altri esseri senzienti, costituite un tutto indivisibile”. Questa consapevolezza alimenta non solo quella coscienza di fraternità universale, che è alla base di ogni progetto democratico, ma anche una coscienza ecologica profonda, come stiamo constatando negli ultimi decenni.
La creatività radicale dell’io trans-egoico, e quindi la sua libertà altrettanto radicale, in quanto fondata sulla relazione costitutiva col Principio stesso della creazione, determina poi, come abbiamo detto, un nuovo senso di responsabilità: l’essere umano comprende che il destino stesso del mondo, ad un livello addirittura inconcepibile o perlomeno ancora incomprensibile per noi, è connesso con le sue scelte evolutive o involutive.
4. Ora, per concludere, ci chiediamo: questa figura di soggettività umana essenzialmente in relazione col Principio della Creazione, inteso come Pensiero Originario, e quindi con tutte le altre persone e con il cosmo; questo essere umano che diviene consapevolmente ministro della ri-generazione del mondo nella sua unità e quindi nella vera pace, e che realizza la propria più autentica umanità aprendosi a relazioni sempre più intime e profonde con i propri fratelli, non è proprio l’Immagine di Uomo che Cristo ha incarnato, e quindi la perfetta Immagine di Dio che ognuno di noi è chiamato a diventare? Insomma tutti i lineamenti della nuova umanità che abbiamo individuato nel loro emergere spontaneo dai travagli stessi della storia contemporanea, non appartengono tutti e senza alcuna eccezione al mistero cristologico dell’Uomo-Dio? E allora non staremo attraversando una fase storico-planetaria in cui questo mistero ci chiede di essere compreso e incarnato ad un inedito livello di profondità, al di là delle assimilazioni, ancora in parte egoico-belliche, compiute dalle chiese cristiane finora? Non sarà questa l’epoca della Cresima del Mondo, dopo il Battesimo compiuto 2000 anni fa in Palestina? E questa Cresima, intesa come comprensione e accettazione più adulte e responsabili del mistero, non si sta preparando da secoli proprio attraverso i conflitti e le contraddizioni della modernità, che, nella loro spinta evolutiva, hanno costretto il cristianesimo storico ad un continuo processo di purificazione e di verifica storica? Non dovremmo perciò rileggere l’intera epoca moderna in chiave escatologica, per individuarne le direttrici veramente evolutive, e cioè l’emersione del Nascente, e proseguirne così la gestazione, in vista del parto?
5. Lasciamo queste domande ai tempi della loro maturazione, e cioè del loro divenire al contempo evidenti e necessarie. Ciò che mi sembra fin da adesso prioritario è la necessità di offrire aiuti concreti alla nuova umanità emergente. Dobbiamo dirci con chiarezza che diventare uomini e donne di pace, trans-egoici e post-bellici, non ci viene affatto naturale, e non basta la sola buona volontà, né tantomeno i soli proclami ideologici. Dobbiamo ideare cammini concreti in cui l’umanità inedita possa essere aiutata a fiorire, a liberarsi delle tante paure che imprigionano l’uomo vecchio nella sua distruttività. Enorme è oggi perciò il problema formativo, e, a livello ecclesiale, il problema catechetico. Ma solo la rianimazione di itinerari formativi (e iniziatici) adeguati all’umanità del XXI secolo, potrà rianimare anche quella nuova creatività culturale e politica di cui abbiamo urgentissimo bisogno. Come si diceva, i due livelli, quello della liberazione psicologico-spirituale e quello della creatività operativa anche politica, non possono più essere separati, ma debbono alimentarsi a vicenda, illuminarsi a vicenda, se non vogliamo replicare i copioni ormai esauriti e nefasti di una liberazione politica senza trasformazione umana, o di una pseudo-liberazione interiore senza coinvolgimento nelle lotte per la giustizia.
E vorrei concludere con una delle voci profetiche più forti del XX secolo, Etty Hillesum, che nel pieno della persecuzione razziale del 1942 in Olanda, già sapeva dire: “Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare, e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. E’ l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove.(…) Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo”.
Pubblicato nel volume Verso l’uomo inedito: oltre il soggetto – Dall’intersoggettività ad una nuova convivialità fraterna, nei Quaderni della Fondazione Balducci.